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23/1/2006 (Archivio storico)

10 anni di Tavola della Pace: la via Perugia-Assisi alla pace positiva


20° Seminario nazionale

“Non c’è pace senza una politica di pace”
In occasione del decennale della Tavola della Pace - “Ritorniamo ad Assisi”

Sacro Convento di San Francesco
13-14 gennaio 2006

“10 anni di Tavola della Pace: la via Perugia-Assisi alla pace positiva/The Perugia-Assisi Way to Positive Peace”

Riflessioni di Antonio Papisca
Centro Diritti Umani dell’Università di Padova

1. La Tavola della Pace nasce ufficialmente nel gennaio del 1996, nel mezzo del decennio segnato dalle aspettative e dalle delusioni del dopo-’89, dall’estensione della de-regulation dal campo dell’economia a quello delle istituzioni e dalla collegata riproposizione dell’unilateralismo negli affari internazionali, dal rilancio della guerra quale strumento fisiologico delle relazioni fra stati, dallo stallo della riforma delle Nazioni Unite.

La “Tavola” è la risposta all’esigenza, condivisa da numerose formazioni di società civileed enti di governo locale, di convergere sull’obiettivo strategico di costruire la pace attraverso lo sviluppo della democrazia dall’ambito nazionale a quello internazionale e la realizzazione di un’economia di giustizia all’insegna di “tutti i diritti umani per tutti”.

Partendo dall’elementare assunto che non c’è democrazia senza sedi e percorsi istituzionali in cui esercitare ruoli di legittimazione e di partecipazione politica popolare e che non ci sono diritti umani concretamente “agibili” senza le garanzie che appunto le istituzioni devono fornire quale loro compito primario, la Tavola della Pace denuncia il fortissimo deficit democratico che tuttora grava sul sistema delle relazioni internazionali: le numerose istituzioni di cui questo è dotato, dalle Nazioni Unite alle organizzazioni regionali, mancano del più di legittimazione e di partecipazione che, alla luce delle esigenze di global governance accentuatesi negli ultimi decenni, è indispensabile per il corretto ed efficace esercizio delle loro funzioni.

La ‘sfida’lanciata dalla Tavola è quella dell’innesco di processi di genuina democrazia internazionale (transnazionale e cosmopolitica) ‘dalla città all’ONU’ quale presupposto per l’attuazione di quanto proclamato dall’articolo 28 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni essere umano ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”. E’ il concetto di pace positiva - che è allo stesso tempo, indissociabilmente, pace sociale, pace interna e pace internazionale -, da costruire in base al duplice principio dell’interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani (economici, sociali, culturali, civili, politici, di solidarietà) e della sussidiarietà, territoriale e funzionale. La sfida della democrazia internazionale rende evidente l’incoerenza di coloro che, mentre da un lato si stracciano le vesti per il persistente “deficit democratico” dell’Unione Europea, dall’altro, rimangono insensibili di fronte al deficit democratico sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (dove dove il Consiglio di Sicurezza è investito della competenza di decidere l’uso della forza militare!) sia dell’intero sistema di Agenzie specializzate delle Nazioni Unite (si pensi in particolare al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale) sia della sopravvenuta Organizzazione Mondiale del Commercio.

2. Con la Tavola della Pace il movimento pacifista in Italia fa un considerevole balzo in avanti nel manifestarsi quale soggetto di società civile capace di attivare sinergismi per la costruzione di una nuova cultura politica, segnata dall’orientamento all’azione, da una forte dimensione internazionale, da una altrettanto forte sensibilità per il destino delle istituzioni, e dall’ancoraggio al paradigma etico-giuridico dei diritti umani internazionalmente riconosciuti.

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Il movimento pacifista italiano matura e rielabora velocemente le esperienze fatte negli anni ottanta con le mobilitazioni contro i missili e con la partecipazione attiva alle grandi Convenzioni europee per il disarmo nucleare (END). La folta partecipazione al varo ufficiale della “Helsinki Citizens Assembly”, HCA, nel novembre del 1990 a Praga, segna un punto di svolta: il tema dei diritti umani e della legalità internazionale fondata sulla Carta delle Nazioni Unite, sulla Dichiarazione universale e sull’Atto finale di Helsinki assume piena visibilità e diventa trasversale ai vari filoni di riflessione e ai vari campi d’azione del pacifismo e dell’associazionismo solidarista più in generale.

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Il 1991 è segnato dall’estesa mobilitazione del pacifismo italiano ed europeo contro la Guerra del Golfo e contro la violenza divampata nella ex Jugoslavia. Su questo secondo fronte si segnalano in particolare due iniziative realizzate nel quadro della HCA: la riunione di luglio a Belgrado con leaders politici (tra i quali Milovan Gilas) e di società civile delle varie Repubbliche della Federazione jugoslava e l’imponente Marcia-carovana della pace Trieste-Lubiana-Belgrado-Sarajevo di settembre. Nel cuore di Belgrado avviene l’incontro con esponenti di società civile, intellettuali e gruppi vari, tra i quali il gruppo delle mamme dei disertori (madri in nero). In una delle tante riunioni, viene presentato il documento della Commissione diritti umani della HCA, preparato dal Centro diritti umani dell’Università di Padova (responsabile della suddetta Commissione), nel quale si sosteneva la piena legittimità del diritto-dovere di disertare le guerre, a cominciare dalle guerre civili: considerate, queste, in analogia alla tortura e ai comportamenti inumani e degradanti per i quali vige l’assoluto divieto sancito da apposite convenzioni giuridiche internazionali.

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Sempre nel 1991, la (prima) guerra del Golfo viene lucidamente percepita negli ambienti pacifisti quale sinistro segnale di una linea di tendenza degli stati a riappropriarsi di quello ius ad bellum (diritto di fare la guerra) che la Carta delle Nazioni Unite ha loro giuridicamente sottratto. Si reagisce diffusamente in Italia alla arbitraria, mistificatoria giustificazione di quella guerra, presentata dal Governo in Parlamento quale “operazione di polizia delle Nazioni Unite”. Come mai prima, circola ai livelli locali la Carta delle Nazioni Unite (si pensi ai Comuni dichiaratisi allora ‘non belligeranti’), la si “scopre” in perfetta consonanza con l’articolo 11 della Costituzione repubblicana, si affina la sensibilità per il “nuovo” Diritto internazionale che si radica appunto nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

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Sempre nel 1991, nel mese di marzo a Perugia, durante l’Assemblea del “Coordinamento degli enti locali per la pace” (l’aggiunta “e i diritti umani” nella denominazione del Coordinamento avverrà per decisione dell’Assemblea di Napoli dell’ottobre 2002), viene lanciata la proposta di inserire nei nuovi Statuti di Comuni eProvince quella che è oggi comunemente chiamata la “norma pace diritti umani” e il cui testo standard recita: "Il Comune x (la Provincia x), in conformità ai principi costituzionali e alle norme internazionali che riconoscono i diritti innati delle persone umane, sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e promuovono la cooperazione fra i popoli - Carta delle Nazioni Unite, Dichiarazione universale dei diritti umani, Patto internazionale sui diritti civili e politici, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia -, riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. A tal fine il Comune (la Provincia) promuove la cultura della pace e dei diritti umani mediante iniziative culturali e di ricerca, di educazione, di cooperazione e di informazione che tendono a fare del Comune una terra di pace. Il Comune (la Provincia) assumerà iniziative dirette e favorirà quelle di istituzioni culturali e scolastiche, associazioni, gruppi di volontariato e di cooperazione internazionale".

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Significativo e caloroso l’appoggio dato, in quella e in altre occasioni, dall’indimenticabile Ernesto Balducci. Negli anni a seguire la proposta viene fatta propria da migliaia di enti di governo locale, dando luogo ad un evento politico-istituzionale che rimane tuttora unico al mondo e il cui significato può essere così riassunto: in Italia, gli ordinamenti sub-nazionali si collegano esplicitamente, oltre che con la Costituzione nazionale, anche con le fonti del ‘nuovo’ Diritto internazionale che ha la sua radice nella Carta delle Nazioni Unite. Gli enti di governo locale si fanno pertanto assertori dell’effettività del Diritto internazionale per la pace e i diritti umani e così rafforzano la loro legittimazione ad agire per la pace, i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà al di là e al di sopra dei confini nazionali, cioè nello spazio trans-territoriale che è proprio dei diritti umani e la cui agibilità si ispira al principio secondo cui “il riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (incipit della Dichiarazione universale). E’ la scelta forte e irrevocabile della “via istituzionale alla pace” - via nonviolenta, democratica - che contribuisce a sviluppare i rapporti di collaborazione tra le istituzioni locali e il mondo dell’associazionismo e del volontariato e favorisce la convergenza delle forze pacifiste al di là delle differenti ascendenze ideologiche.

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Nel 1992 viene lanciato, attraverso l’Associazione per la Pace, un ”Appello per la democratizzazione delle Nazioni Unite”, prontamente sottoscritto da numerosi esponenti del mondo della cultura, della solidarietà e della politica, fra i quali Norberto Bobbio e don Tonino Bello.

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Significativamente, la Rivista “Nigrizia” contribuisce a dare visibilità organica a questo percorso di nuova cultura politica conla rubrica “Diritti umani e…” nei dodici fascicoli del 1992, con la rubrica “L’ONU dei Popoli” nei dodici fascicoli del 1993, con la rubrica “Osservatorio internazionale” nei ventiquattro fascicoli del 1994 e del 1995.

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In questo contesto di feconda “aratura”, di cui abbiamo segnalato soltanto alcuni dati significativi,prende origine, nel 1995, la “Assemblea dell’ONU dei Popoli”, a cadenza biennale, iniziativa che manifesta subito caratteri di vera e propria infrastrutturalità. A partire da quell’anno, la storica Marcia della Pace Perugia-Assisi, oltre che rinfoltirsi numericamente, accentua il suo impatto simbolico: essa diventa sigillo di legittimazione popolare nei riguardi di quanto elaborato in termini di analisi critica e di progettualità politico-istituzionale dall’Assemblea dell’ONU dei Popoli che immediatamente la precede.

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La prima edizione dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli è da inscrivere nella storia del pacifismo come l’evento più rilevante, quanto a specificità di contenuti e a capacità di mobilitazione popolare, non soltanto tra quelli realizzati in Italia nel quadro delle ‘celebrazioni’ del 50° anniversario delle Nazioni Unite, ma anche tra quelli attuati nel mondo intero. Nel gennaio del 1996, durante la sua visita in Italia, l’allora Segretario Generale Boutros-Boutros Ghali (puntualmente informato dalla indimenticabile Nadia Iunes, Direttrice dell’Ufficio delle Nazioni Unite a Roma, uccisa nell’agosto 2004 nell’attentato di Bagdad contro la sede della delegazione delle Nazioni Unite in cui perse la vita anche Sergio Vieiro de Mello, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani) riconobbepubblicamente il rilievo dell’evento e manifestò la sua gratitudine per le formazioni di società civile che l’avevano reso possibile (in Campidoglio, auspici sempre Nadia Iunes e l’allora sindaco Rutelli, ci fu l’incontro caloroso tra i promotori dell’ONU dei Popoli e B.B.Ghali).

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La piattaforma di denunce e proposte, messa a punto in occasione della prima Assemblea dell’ONU dei Popoli, segna i successivi sviluppi del pacifismo italiano. In particolare, in occasione della terza edizione dell’Assemblea, nell’ottobre del 1999, viene messo in circolazione il documento “Per un nuovo ordine internazionale democratico e pacifico” contenente lo schema dell’ordine mondiale basato sul principio secondo cui “il riconoscimento della eguale dignità di tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti eguali e inalienbaili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo (Dichiarazione universale dei diritti umani), in contrapposizione al modello “gerarchico” e bellicoso portato avanti dalla superpotenza.

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3. La Tavola della Pace nasce sull’onda del successo di idee, partecipazione, rappresentatività, visibilità internazionale della prima edizione dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli. L’originale approccio “Rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite”, adottato in quella occasione, si impone all’attenzione internazionale e contribuisce a collocare la Tavola della Pace tra le punte più avanzate, quanto a capacità di elaborazione culturale e progettualità politica, delle formazioni organizzate e dei movimenti di global civil society.

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Nelle cinque edizioni che seguono, l’agenda della Tavola assume caratteri di sempre più marcata strategicità: il destino delle Nazioni Unite viene collegato a quello dell’ordine mondiale, i fenomeni politici a quelli economici e ambientali, il futuro dell’Unione Europea a quello delle Nazioni Unite, del Mediterraneo e dell’Africa alla luce di un modello di ordine mondiale più giusto, pacifico, equo, solidale e democratico. I documenti dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli, insieme con quelli relativi al Seminario internazionale organizzato a Padova nel novembre del 2004 all’insegna di “Reclaim our United Nations” (in preparazione del World Social Forum di Porto Alegre) costituiscono un ricco bacino di idee e di ‘anticipazioni’. Unitamente alla spettacolarità della Marcia e alla miriade di eventi locali che la precedono e la seguono - organizzati in stretta collaborazione con gli enti di governo locale e regionale –, tali documenti contribuiscono a fare acquisire alla Tavola il definitivo riconoscimento internazionale e la sua legittimazione a giocare, in seno al più vasto movimento pacifista transnazionale, un ruolo di traino per quanto riguarda le articolazioni progettuali e le mobilitazioni operative della “via istituzionale alla pace”.

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4. Di fronte ad un percorso così ricco, complesso, in costante crescita, di così ampio rilievo internazionale e considerando che la Tavola della Pace non ha la forma istituzionale di una ONG o comunque di una entità giuridicamente costituita, viene spontaneo domandarsi: ma com’è stato possibile?

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Una prima risposta è che, più che la magnitudine organizzativa e i caratteri formali, contano le idee, la capacità di anticipare, di sempre collegare alla denuncia la proposta, di aggregare forze anche molto diverse fra loro, il saldo ancoraggio al paradigma dei diritti umani e della legalità internazionale. Come dire: la qualità dell’albero si giudica dalla qualità dei frutti e questi, nel nostro caso, sono complessivamente buoni, molto buoni.

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La Tavolaè un “coordinamento” vitale, nel senso più genuino del termine, capace di restare ‘movimento’ nonostante i ragguardevoli sviluppi infrastrutturali costituiti dall’Assemblea dell’ONU dei Popoli, dalla collegata Marcia della Pace Perugia-Assisi e dagli organici programmi di educazione a pace e diritti umani in ambito scolastico ed extrascolastico.

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Ci si può anche azzardare a dire che la Tavola gode già di una propria “rendita di posizione”, da sviluppare, beninteso, cooperativisticamente, e le cui risorse sono così riassumibili, indicativamente:

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  • è simbolo di identificazione culturale-politica per vasti strati di società civile;
  • ha favorito e alimenta la convergenza di forze di società civile di diversa ascendenza ideale e politica, laiche e religiose;
  • ha diffuso e alimenta la cultura “pace diritti umani economia di giustizia democrazia internazionale”;
  • contribuisce ad “equipaggiare” di strutture e programmi gli enti di governo locale (assessorati alla pace e ai diritti umani, iniziative di cooperazione allo sviluppo e di solidarietà internazionale, mobilitazioni per la pace, per le Nazioni Unite, per il ripudio della guerra nella Costituzione europea, ecc.);
  • contribuisce ad arricchire la dimensione politica delle iniziative di economia di giustizia, commercio equo e solidale, banca etica, norma etica,ecc.;
  • contribuisce a rendere sempre più visibile la dimensione internazionale della cultura delle formazioni di società civile e degli enti di governo locale e regionale;
  • contribuisce a diffondere l’insegnamento e l’educazione alla pace e ai diritti umani negli ambienti scolastici ed extra-scolastici;
  • ha certamente influenzato l’iniziativa di numerose università intesa ad attivare Corsi di laurea e Masters nello specifico campo della pace, dei diritti umani, della cooperazione allo sviluppo;
  • gode dell’appoggio costante dei grandi sindacati;
  • è riuscita a innescare il coinvolgimento del mondo della stampa;
  • sul piano mondiale, ha “anticipato” movimenti, organizzazioni non governative e altre forze politiche nel mettere a punto, organicamente, la strategia “rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite” con una serie di proposte organiche;
  • ha trovato risonanza in almeno una prestigiosa “Internazionale” partitica;
  • ha diffuso la puntuale conoscenza di essenziali elementi di legalità internazionale;
  • ha contribuito a demistificare le “guerre dei diritti umani” e le “guerre umanitarie”.

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La lista potrebbe anche essere più lunga.

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In conclusione, nell’arco di dieci anni l’impatto della cultura politica della Tavola - una cultura a tutto tondo, costantemente aggiornata, sistematica, strategica, progettuale, innovativa,…- sul mondo di società civile, compresa la scuola e l’università, è stato considerevole: siamo per così dire in presenza di una genuina “certificazione di qualità”.

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Non altrettanto può dirsi per quanto riguarda la ricaduta della Tavola nei riguardi degli ambienti governativi e partitici. La spiegazione va ricercata, principalmente, nella non ricettività, se non addirittura nella aprioristica chiusura dei loro vertici (fatta naturalmente, ogni debita, rara, eccezione).

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Il sospetto è che, al di là del supponente disinteresse e del vischioso auto-referenzialismo di tali ambienti, ci sia in essi il timore di un sorpasso o di un surclassamento culturale o comunque il fastidio per un’indebita intrusione, insomma: “lasciateci fare, noi politici siamo autosufficienti quanto a capacità di elaborazione culturale, progettualità strategica…”.

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5. Il futuro prossimo della Tavola: sviluppare la “Via d’Assisi alla pace positiva”, The Assisi Way to Positive Peace.

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Occorre:

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  • preservare e alimentare la preziosa risorsa costituita dalle varie identità dei partecipanti: “differenze in dialogo per convergere” su una comune piattaforma politica di alto rilievo politico e di altrettanto elevata caratura morale;
  • rendere sempre più visibile la sana laicità dell’operare, all’insegna dei grandi valori umani universali riconosciuti dal vigente Diritto internazionale quali “diritti della persona e dei popoli”;
  • arricchire di ulteriori contenuti l’originale identità della Tavola quale laboratorio permanente di cultura politica e di serbatoio di risorse umane cui attingere per ruoli politici attivi ai vari livelli;
  • alimentare il dialogo e la collaborazione solidaristica all’interno della sua ampia e variegata rete di membri, per l’ulteriore sviluppo della cultura “pace diritti umani dalla Città all’ONU”, appunto la Via d’Assisi alla pace positiva;
  • preservare e alimentare lo “spirito di movimento” di società civile globale;
  • rendere sempre più puntuale l’attenzione per i problemi della legalità internazionale, la salute democratica delle istituzioni dal micro livello locale al macro livello europeo e mondiale,lo sviluppo delle iniziative di economia di giustizia, in particolare il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite e dei processi d’integrazione regionale a cominciare da quello gestito dall’Unione Europea;
  • sviluppare la consapevolezza dell’altissimo valore, non soltanto simbolico, di aprire orizzonti all’azione dei due poli originari della sussidiarità: il polo territoriale (comuni, regioni) e il polo funzionale solidaristico (associazioni, movimenti, gruppi di volontariato),diconsolidare l’alleanza e di sviluppare sinergismi tra il mondo dell’associazionismo e quello delle istituzioni di governo locale;
  • collaborare con gli enti di governo locale e regionale per il dialogo interculturale finalizzato alla realizzazione della “città inclusiva” e per l’installazione e il funzionamento di strutture organizzative permanenti (assessorati, dipartimenti, uffici, consulte per pace, diritti umani, cooperazione allo sviluppo, solidarietà internazionale, difensori civici, ecc.);
  • sviluppare la collaborazione con le organizzazioni e i movimenti per i diritti delle donne;
  • rafforzare l’alleanza con le grandi forze sindacali;
  • sviluppare rapporti di collaborazione col mondo della scuola e dell’università;
  • sviluppare i rapporti con le organizzazioni intergovernative, in particolare con le Nazioni Unite, l’Unesco, lo Undp, il Parlamento Europeo, il Comitato delle Regioni dell’UE,il Parlamento Panafricano;
  • sviluppare i rapporti con le organizzazioni internazionali degli enti locali;
  • sviluppare i rapporti con le Internazionali partitiche;
  • sviluppare i rapporti con le organizzazioni internazionali religiose più sensibili ai problemi della pace, dei diritti umani e della giustizia sociale.

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A livello nazionale, tra le priorità per l’azione della Tavola in Italia si segnalano:

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  • la creazione delle “Istituzioni nazionali dei diritti umani”, quali organismi ‘indipendenti’: Commissione nazionale dei diritti umani, Difensore civico nazionale, Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, secondo lo schema raccomandato dall’ONU e dal Consiglio d’Europa a partire dal 1993;
  • l’avvio della prassi di una seduta annuale del Parlamento nella forma di “Forum sui diritti umani”, in particolare per la discussione sia dei Rapporti periodicamente presentati dal Governo alle apposite istanze internazionali sia dei Rapporti di critica e proposta provenienti da queste ultime;
  • l’avvio della prassi parlamentare di periodiche ‘udienze conoscitive pace diritti umani sviluppo’ con il coinvolgimento di associazioni, enti locali, università, gruppi religiosi;
  • la costituzione, presso il Ministero Affari Esteri, di un tavolo permanente “pace diritti umani democrazia internazionale” con la partecipazione delle formazioni di società civile e degli enti di governo locale.

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6. Per quanto riguarda l’azione politica sul piano internazionale, occorre continuare a monitorare l’attività di riforma delle Nazioni Unite insistendo sulla necessità della loro democratizzazione, dunque ribadendo e aggiornando il dossier di proposte elaborato fin dalla prima edizione dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli.

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Occorre subito condurre una capillare campagna d’informazione e denuncia nei confronti di quanto si sta preparando per stravolgere la logica della Carta delle Nazioni Unite in materia di pace e sicurezza. Nei recenti Rapporti ufficiali sulla riforma, compreso quello del Segretario Generale intitolato “In larger freedom” (marzo 2005), si fa un’arbitraria distinzione tra “uso della forza” e “peacekeeping” e si assume che del primo siano titolari (soltanto) gli stati e del secondo le Nazioni Unite. Mentre all’ONU rimarrebbero i “Caschi Blu” (angelicati…), per gli stati si allargherebbero le possibilità di “usare la forza” (pesante): in via “successiva” ad attacco armato, in via “pre-emptiva” se la minaccia è imminente, in via “preventiva” se la minaccia è non-imminente o latente, in via “protettiva” se si è in presenza di genocidi ed efferatezze simili (questa tipologia è nel Rapporto del Segretario Generale). Nella sostanza, la “guerra preventiva” che non è potuta entrare all’ONU per la porta principale, vi entrerebbe dalla finestra. La prospettiva che si va delineando è quella della “guerra facile” (the easy war), cioè della destabilizzazione permanente del pianeta.

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E’ appunto di fronte a questa terrificante prospettiva, avvalorata dal riarmo in atto, che occorre alzare il livello della denuncia: contro la menzogna di cui parlail Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace 2006 e perla verità della legalità internazionale.

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Occorre insistere nel denunciare con forza, opportune et inopportune, il tentativo in atto da parte del governo della superpotenza (e di altri governi che opportunisticamente le si accodano) di riprendersi lo ius ad bellum cancellato dalla Carta delle Nazioni Unite.

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Il vigente Diritto internazionale sta dalla nostra parte!

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Occorre denunciare che è in atto il tentativo di trasformare l’ONU da “istituzione inclusiva” (ad omnes includendos: tutti i popoli e tutte le nazioni, grandi e piccole) ad “istituzione che esclude”. Il segnale della discriminazione viene anche dal preconizzato Consiglio permanente dei diritti umani, che rimpiazzerebbe l’attuale Commissione diritti umani e dovrebbe essere costitutito soltanto dai paesi “buoni”, con al proprio interno i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, grandi campioni dei diritti umani…

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Occorre denunciare il tentativo di inseminare i suddetti membri permanenti nei nuovi organi che si vanno costituendo, a cominciare da quanto è già avvenuto per la “Commissione per il Peace-building”.

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Occorre denunciare il tentativo in atto di ridurre la consistenza del ruolo delle ONG nel sistema delle Nazioni Unite.

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Occorre intensificare l’azione (informazione, pressione, networking) per il disarmo reale, la distruzione delle armi nucleari e di distruzione di massa, la messa sotto controllo ONU sia del commercio internazionale sia della produzione di qualsiasi altro tipo di armi.

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Occorre operare per salvaguardare la biodiversità e la salute dell’ambiente naturale.

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Occorre operare perché la Convenzione giuridica dell’Unesco sulla diversità culturale entri rapidamente in vigore.

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Occorre guardare all’Unesco con maggiore attenzione ed esercitare pressioniperché finalmente le sia consentito di varare un documento per il riconoscimento giuridico formale della pace quale “diritto umano”, traguardo finora impedito soprattutto dai paesi occidentali.

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Occorre operare per la messa in applicazione dell’articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite (costituzione di una forza di polizia militare e civile permanente dell’ONU), quale presupposto per l’applicazione dell’articolo 42 che stabilisce che l’ONU possa decidere di “agire in proprio”, senza dover delegare agli stati la delicatissima materia dell’uso della forza.

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A questo riguardo, potrebbe aprirsi un interessante percorso di alta politica se si riuscisse a far sì che l’Italia decida (auspicabilmente di concerto con altri paesi dell’Unione Europa) di mettere a disposizione dell’ONU, in via permanente, parte delle proprie forze armate debitamente riconvertite in forze di polizia militare internazionale. In sede UE ci sono già gruppi integrati di rapido impiego (stand-by units). La messa a disposizione permanente dell’ONU ai sensi dell’articolo 43 (dunque una tantum, non di volta in volta, come già accade) farebbe scattare l’applicazione dell’articolo 42 e riscatterebbe l’ONU (e gli altri stati membri) dalla condizione di umiliante, sempre più pericolosa sudditanza nei riguardi dei “5” come previsto dal tuttora vigente articolo 106 (XVII “disposizione transitoria”(!)) della Carta, che recita: “In attesa che entrino in vigore accordi speciali, previsti dall’articolo 43, tali, secondo il parere del Consiglio di Sicurezza, da rendere ad esso possibile di iniziare l’esercizio delle proprie funzioni a norma dell’articolo 42, gli Stati partecipanti alla Dichiarazione delle Quattro Potenze, firmata a Mosca il 30 ottobre 1943 (cioè Usa, Urss, Francia, Regno Unito: Ndr) e la Francia si consulteranno tra loro e, quando lo richiedono le circostanze, con altri Membri delle Nazioni Unite in vista di quell’azione comune necessaria al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.

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Siamo in presenza di una macro-vergogna!! A sessant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale si continua ad essere, tutti, a sovranità limitata rispetto ai “5”!

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Occorre sviluppare una campagna mondiale per l’abrogazione di questo articolo e per sbloccare, una volta per tutte, il cammino di human security e human development che è statutariamente proprio della massima Organizzazione mondiale.

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Più in generale, per quanto riguarda la riforma delle Nazioni Unite occorre insistere nel tenere legati insieme il destino del Consiglio di Sicurezza e quello del Consiglio Economico e Sociale, Ecosoc, affinchè gli obiettivi dello sviluppo umano siano tenuti sullo stesso piano di quelli della sicurezza, in ossequio al principio dell’interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani, e l’Ecosoc abbia i poteri necessari per obbligare Fondo Monetario e Banca Mondiale a operare nel solco dei principi e dei fini della Carta delle Nazioni Unite.

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Occorre insistere per la convocazione di una “Convenzione universale sul futuro delle Nazioni Unite” sulla base dello schema messo a punto in occasione del Seminario internazionale “Reclaim our United Nations” del novembre 2004 a Padova.

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Quanto sopra indicativamente suggerito dovrebbe consentire di ulteriormente sviluppare l’identità propria della Tavola della Pace, che è quella di un grandelaboratorio che, lungi dal sovrapporsi all’identità e ai mandati specifici dei suoi membri, si dimostra capace di far tutti convergere su un’agenda politica di alto profilo innovativo e mobilitante e di farne a tutti percepire il considerevole “valore aggiunto” per il comune cammino sulla “via istituzionale alla pace”.

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7. Riflessione finale.

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Nei dibattiti pubblici, dove si cimentano politici e intellettuali di vetrina, si manifestano spesso supponenza, derisione, astio nei confronti dei pacifisti. Isoliti benpensanti prendono distanze, distinguendo tra pacifisti e (veri) costruttori di pace. E’ una distinzione ridicola e farisaica: come dire ai socialisti, se volete essere genuini dovete chiamarvi socialcostruttori, e agli archivisti, se volete essere genuini dovete chiamarvi archiviatori, e ai violinisti, violinatori…Ridicolo! Più elegantemente, per molti “distinguisti” (“distinguitori”?…) vale la metafora dei sepolcri imbiancati.

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Nei correnti dibattiti politici, c’è sempre qualche benpensante che “concede”, bontà sua: mi sta bene l’impegno per la pace, neppure io voglio la guerra, ma voi pacifisti cosa rispondete di fronte a casi come quelli del Rwanda, del Kosovo, della Bosnia, della Cecenia….)? Quali alternative alla guerra?

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Mi pare che quanto finora puntualmente elaborato e testimoniato dalla Tavola della Pace sia la risposta: esistono alternative reali alla guerra, esse consistono nel rispetto della legalità internazionale, a cominciare dall’obbligo giuridico di far funzionare le legittime istituzioni internazionali, soprattutto l’ONU (dunque senza fare di questa il capro espiatorio di inadempienze e illegalità altrui). Non a caso Giovanni Paolo II, il grande Papa pacifista (col tempo, ne rifulgerà sempre più la radicalità evangelica), ha insistito nel dire che la pace è doverosa perché è possibile: è possibile appunto perché esistono vie che sono alternative alla guerra, perché il pianeta è attrezzato di strumenti che, se adeguatamente messi in funzione, consentono di evitare la trappola dei determinismi bellicistici, perché disponiamo di un ‘nuovo’ Diritto internazionale incomparabilmente più buono e giusto del ‘vecchio’ Diritto delle sovranità statuali-nazionali-armate-confinarie, eccetera, eccetera. La risposta ai benpensanti che “concedono” è: ma voi cosa fate per prevenire i conflitti violenti, per infrastrutturare la cooperazione e il dialogo, per sostenere iniziative di economia di giustizia, per uscire dalla logica dei giochi a somma zero, per evitare che per l’ennesima volta ci si trovi di fronte a quello che voi, troppo spesso, considerate l’inevitabile, per non sprecare risorse umane e finanziarie nell’ennesima avventura senza ritorno….Senza scomodare la vostra integrità morale, dove sta la vostra intelligenza politica?…

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Senza dimenticare, last but not least, quanto dispone perentoriamente l’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrato in vigore nel 1976 e ratificato dall’Italia nel 1977: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge”. Non si vieta ciò che è lecito …

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Aggiornato il

16/7/2009