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29/5/2009 (Archivio storico)
Candela nera stilizzata avvolta da filo spinato
© Amnesty International/Amnesty International

Amnesty International – Rapporto annuale 2009

Amnesty International ha presentato il proprio Rapporto Annuale 2009, che analizza la situazione dei diritti umani in 157 Paesi e territori nell'anno precedente.

"Dietro alla crisi economica si cela un'esplosiva crisi dei diritti umani" - ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International nel corso della conferenza stampa di Roma. "La recessione ha aggravato le violazioni dei diritti umani, distolto l'attenzione da esse e creato nuovi problemi. Prima, i diritti umani erano messi in secondo piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica".

"Il mondo ha bisogno di un nuovo tipo di leadership, di un new deal dedicato ai diritti umani: ha bisogno non di promesse di carta ma di azioni e impegni concreti per disinnescare la bomba a orologeria, di investire nei diritti umani quanto s'investe nell'economia. Miliardi di persone sono private di sicurezza, giustizia e dignità. La crisi che le colpisce ha a che fare con la mancanza di cibo, di lavoro, di acqua potabile, di terra e di alloggio ma anche con l'aumento di disuguaglianza, xenofobia, razzismo, violenza e repressione" - ha sottolineato Weise. Tra gli esempi più evidenti di questa crisi, Weise ha citato:

  • la negazione alle comunità indigene del diritto fondamentale a una vita dignitosa, nonostante la crescita economica in paesi come Brasile, Messico e India;

  • gli sgomberi forzati di centinaia di migliaia di persone da insediamenti abitativi precari o terreni agricoli, in nome dello sviluppo economico;

  • il vertiginoso aumento dei prezzi, che ha provocato altra fame e altre malattie e, in paesi come Corea del Nord, Myanmar e Zimbabwe, l'uso del cibo come arma politica;

  • il persistere della violenza e della discriminazione nei confronti delle donne;

  • la reazione alla pressione migratoria da parte dei paesi di destinazione e di transito, che hanno adottato politiche ancora più restrittive, con l'Europa a indicare il cammino in collusione con governi come Mauritania, Marocco e Libia.

"Osserviamo nel mondo crescenti segnali di rivolta e violenza politica. Il rischio è che la recessione porti con sé maggiore repressione. Lo abbiamo già visto in Tunisia, Egitto, Camerun e altri paesi africani, quando i governi hanno stroncato duramente le proteste contro la situazione economica, sociale e politica. L'impunità della polizia e delle forze di sicurezza è risultata dominante. La Cina e la Russia sono la prova che all'apertura dei mercati non è corrisposta l'apertura delle società. Attivisti per i diritti umani, giornalisti, avvocati, sindacalisti sono stati intimiditi, minacciati, aggrediti, incriminati o uccisi in ogni parte del mondo" - ha affermato Weise.

Mentre si concentrano sui tentativi di rianimare l'economia globale, i leader del mondo trascurano quei conflitti mortali che producono violazioni dei diritti umani di massa.

"Da Gaza al Darfur, dall'est della Repubblica Democratica del Congo al nord dello Sri Lanka, il costo umano dei conflitti è risultato orrendo e la blanda risposta della comunità internazionale è stata scioccante. Le operazioni militari in Afghanistan e Pakistan sono aumentate, tenendo in scarso conto le implicazioni dal punto di vista dei diritti umani. Le crisi sono interconnesse tra loro: ignorarne una per concentrarsi su un'altra non fa altro che aggravarle entrambe. La ripresa dell'economia non sarà equa e non durerà a lungo se i governi non porranno fine alle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà e se non fermeranno i conflitti armati che generano nuove violazioni" - ha puntualizzato Weise.

"I Paesi del G20 si stanno presentando alla ribalta internazionale come un soggetto nuovo, portatore di istanze e soluzioni e che rivendica un peso politico maggiore. Tuttavia, in tema di diritti umani, questo gruppo dimostra di avere un approccio vecchio e fallimentare fatto di violazioni, retorica priva di azione, promozione dei diritti all'estero e negazione in casa propria, copertura politica degli alleati. Il new deal che abbiamo in mente deve evitare tanto gli approcci selettivi quanto i doppi standard in materia di diritti umani" - ha osservato Weise.

Sottolineando come la crisi economica abbia creato un urgente bisogno di cambiamento, Weise ha annunciato il lancio di una nuova campagna globale di Amnesty International, che intende affrontare e fermare le violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà. In Italia, la campagna si chiamerà "Io pretendo dignità". "La povertà è caratterizzata da privazione, disuguaglianza, ingiustizia, insicurezza e oppressione, cioè da una serie di fattori che insieme erodono il primo dei diritti umani: la dignità di ogni essere umano. Per questo, la dignità è al centro di questa nuova campagna. Non è una semplice coincidenza il fatto che la maggior parte dei poveri del mondo siano donne, migranti e appartenenti a minoranze etniche o religiose. Quasi 50 anni fa, Amnesty International venne creata per chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza. Oggi noi pretendiamo dignità per i prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita. La nostra campagna porterà i diritti umani al centro del dibattito sulla povertà e, quello che c'interessa ancora di più, al centro delle soluzioni per contrastare la povertà e per restituire la dignità a ogni essere umano" - ha concluso Weise.

Per quel che riguarda la situazione dei diritti umani in Italia, il Rapporto di Amnesty affronta le seguenti tematiche:

  • Diritti e incolumità di migranti e richiedenti asilo (legislazione sull'asilo; detenzione di migranti e richiedenti asilo all'arrivo; rischi ricorrenti per i diritti umani e il caso Lampedusa; violazioni dei diritti umani nel Mar Mediterraneo; ritardo nei soccorsi e rinvio forzato in Libia; il preoccupante percorso delle norme sull'immigrazione del "pacchetto sicurezza");

  • Diritti umani della popolazione rom (razzismo e aggressioni; legislazione d'emergenza e sgomberi forzati);

  • Tortura e maltrattamenti (con particolare riferimento alle responsabilità della polizia per l'uso della forza e delle armi e ai processi per il G8 di Genova 2001): a distanza di 20 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT), l'Italia resta priva di uno specifico reato di tortura nel codice penale. Di conseguenza, gli atti di tortura e maltrattamenti commessi dai pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni, abuso d'ufficio, falso etc.) e puniti con pene non adeguatamente severe e soggetti a prescrizione. L'Italia non ha ratificato il Protocollo opzionale alla CAT, che imporrebbe l'adozione di meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, tra cui un'istituzione indipendente di monitoraggio sui luoghi di detenzione e non si è dotata di un organismo per il monitoraggio sui diritti umani, né di regole per l'identificazione degli agenti di polizia durante le operazioni di ordine pubblico;

  • Politiche antiterrorismo (responsabilità per le rendition ed espulsioni).