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5/2/2015
Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

Corte europea dei diritti umani: due condanne per l’Italia per violazione del rispetto della vita privata e familiare

La Corte europea dei diritti umani, con due sentenze emesse nel corso del mese di gennaio 2015, ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 8 relativo al rispetto della vita privata e familiare.

Nel primo caso, Paradiso e Campanelli c. Italia (n. 25358/2012), la Corte ha condannato l’Italia per non aver dato il giusto peso al superiore interesse del minore scegliendo di allontanare dai ricorrenti un bambino nato all’estero a seguito di maternità surrogata in vitro.
 
I ricorrenti avevano stabilito in Russia un contratto per maternità surrogata e, rientrati in Italia, avevano chiesto la trascrizione del certificato di nascita del bambino. A tal richiesta il Consolato italiano a Mosca informava il Tribunale per i Minorenni competente della non regolarità della procedura per false attestazioni. Di conseguenza, oltre al procedimento penale, si apriva una procedura presso il Tribunale per i Minorenni per la dichiarazione di adottabilità del minore, il quale veniva allontanato dai ricorrenti e posto in affido presso terzi.

La Corte ritiene applicabile l’art. 8 CEDU in ragione dell'esistenza di una famiglia de facto, ossia per il legame esistente tra i ricorrenti ed il bambino anche se convissuti solo per un breve periodo (6 mesi). La violazione della citata disposizione convenzionale discende dal fatto che, nel bilanciamento tra l’interesse superiore del minore e l’interesse pubblico, le autorità nazionali hanno scelto di allontanare il minore sulla base della mancanza di vincoli biologici tra quest’ultimo ed i ricorrenti, ricorrendo alla misura estrema dell'allontanamento riservata alle situazioni di pericolo effettivo per i minori.

Inoltre, la Corte rammenta la situazione precaria dal punto di vista amministrativo, in quanto il minore è rimasto per un lungo periodo privo d’identità e quindi nella condizione di non poter essere iscritto a scuola, esser vaccinato etc. Infine, rispetto alla questione etica della maternità surrogata ed il suo divieto nella normativa italiana, la Corte non si è pronunciata.

Il secondo caso, Manuello e Nevi c. Italia (n. 107/2010), riguarda una condanna per il mancato rispetto dei legami familiari tra nonni e nipote. I ricorrenti, nonni paterni, a seguito dell’imputazione del figlio per presunte molestie sessuali ai danni della figlia, hanno visto interrotti i rapporti con la nipote. Infatti, il Tribunale per Minorenni competente, nel procedimento per la decadenza della responsabilità genitoriale del padre, dopo aver in un primo momento autorizzato i contatti, ha deciso di vietarli in quanto contrari all’interesse del minore. L’iter giudiziario è iniziato presso il Tribunale per i Minorenni nel 2002 ed è terminato con la sentenza di legittimità nel 2009.
La Corte riconosce nell’ambito dell’articolo 8 l’obbligazione positiva in capo allo Stato di adottare le misure adeguate per la riunificazione tra minori ed i loro genitori e parenti, se nell’interesse superiore del bambino.

Nel caso specifico, la Corte sottolinea come siano trascorsi tre anni dalla prima istanza dei ricorrenti per l’esercizio del diritto di visita ad una decisione provvisoria del Tribunale per i Minorenni di ripresa dei contatti e mai stata eseguita dai Servizi sociali. Inoltre, l’interruzione complessiva dei rapporti è stata di dodici anni, comportando danni irreparabili al legame tra nonni e nipote.
Di conseguenza, pur riconoscendo il margine di apprezzamento di cui godono gli Stati nella scelta delle misure da attuare, la Corte ha ritenuto che lo Stato italiano non abbia posto in essere sforzi adeguati e sufficienti per preservare i legami familiari tra i ricorrenti e la nipote, violando il diritto degli interessati al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 CEDU.

Secondo le statistiche della Corte europea dei diritti umani (1959-2014), le violazioni dell’articolo 8 da parte dell’Italia sono di 145 casi su 2.312 giudicati, ammontare che si distanzia dalle violazioni per la durata dei procedimenti e giusto processo (n. 1.462) e per il rispetto della proprietà privata (n. 351).