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Rendiamo insopportabile l’ingiustizia

Antonio Papisca (2012)

Tipologia pubblicazione

: Human Rights Academic Voice

Lingua

: IT

Contenuto

Sintesi dell’intervento svolto alla sessione “Rendiamo insopportabile l’ingiustizia” del Convegno internazionale “Don Oreste Benzi, testimone e profeta per le sfide del nostro tempo” organizzato dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, 26-27 ottobre 2012.

"Dare voce ai poveri, oltre che farsene portatori” (Don Oreste Benzi).

Con risoluzione adottata nel corso della 21a sessione ordinaria (settembre 2012), il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità le ‘Linee guida su povertà estrema e i diritti umani’. L’importante documento sottolinea che la povertà estrema, fenomeno multidimensionale, non è inevitabile e che il suo sradicamento costituisce, innanzitutto per gli stati, un obbligo non soltanto morale ma anche giuridico ai sensi del vigente diritto internazionale dei diritti umani. In quanto persone umane, i poveri sono titolari di tutti i diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti e devono essere posti nella condizione di partecipare in prima persona all’adozione e alla messa in opera di congrue politiche pubbliche e misure positive a tutti i livelli dei processi di governance e delle funzioni di government. L’ottica delle Nazioni Unite è quella del dar voce ai poveri anche attraverso iniziative che favoriscano il loro empowerment: donde l’importanza dell’educazione e della formazione ai diritti umani di tutti, in particolare dei poveri quali "titolari dei diritti fondamentali e agenti del mutamento”. Questo può avvenire attraverso la messa in atto di appropriate forme associative a carattere transnazionale.

Si parla tanto di illegalità e di come sradicarla, in ottica prevalentemente ‘sicuritaria’ e di giustizia penale.

Con il neoliberismo è in atto una macro-illegalità che riguarda la sfera dei diritti umani economici e sociali: è la negazione dello stato sociale.

Occorre fare giustizia. Ma quale giustizia? Come per la pace, dove si distingue tra pace negativa e pace positiva, anche per la giustizia occorre fare la stessa distinzione.

Spesso dimentichiamo l’antico detto: summum ius, summa iniuria.

La giustizia che si esprime attraverso le sentenze dei tribunali è una giustizia necessaria e irrinunciabile, ma parziale.

E’ la giustizia ex post factum, a violazione avvenuta di diritti fondamentali.

La giustizia forte è quella che si fonda sui diritti che ineriscono alla dignità di ‘tutti i membri della famiglia umana’, valore sommo nel cui rispetto sta “il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” (Preambolo della Dichiarazione Universale).

I principi cardini di questa legalità forte, da garantire ante factum, cioè in via preventiva, sono:

eguaglianza di tutte le persone, in quanto titolari dei medesimi diritti innati internazionalmente riconosciuti;

interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani: civili, politici, economici, sociali, culturali.

Ambedue questi principi sono innervati nel dato, meglio nella verità ontologica dell’integrità dell’essere umano, fatto di spirito e di materia, di anima e di corpo.

La folla dei poveri fa parte della categoria dei gruppi vulnerabili.

Ma mentre per taluni gruppi (bambini, donne, persone con disabilità, detenuti) ci sono convenzioni internationali che impongono precisi ‘obblighi’ giuridici, per i poveri siamo appena arrivati allo stadio della ‘raccomandazione’ di portata etico-politica, le Linee guida appunto.

Facciamo intanto tesoro di questo documento delle Nazioni Unite, per sostenere innanzitutto l’idea che i diritti umani siamo noi ("la persona è il diritto umano sussistente", Antonio Rosmini) e che la loro garanzia presuppone una Agenda, in cui ciasun capitolo abbia per titolo un diritto umano e per contenuto l’indicazione di specifiche politiche sociali e misure positive.

La politica e la classe dirigente si rinnovano nella misura in cui si dimostrino capaci di tradurre il sapere dei diritti umani in azioni concrete, a cominciare da quelle che comportano il governo dell’economia secondo dettami di giustizia sociale.

Questo imperativo etico e politico deve valere per l’Italia come per l’Unione Europea e il sistema delle Nazioni Unite.

Secondo giustizia e legalità positiva, la prospettiva di government per questi tre livelli di governance deve essere quella di una economia di giustizia, quindi di welfare all’insegna di tutti i diritti umani per tutti.

Per l’Unione Europea si ricorda che essa deve operare nella prospettiva della ‘economia sociale di mercato’ secondo quanto espressamente stabilito dal Trattato di Lisbona, e che in base a quest’ultimo la Carta dei diritti fondamentali dell’UE ha assunto il carattere della norma giuridicamente vincolante. Occorre sottolineare che la Carta contiene sia i diritti civili e politici sia i diritti economici, sociali e culturali, per ciò stesso vincolando anch’essa l’Unione, con la forza della norma costituzionale (propria della materia dei diritti umani) a politiche di welfare e a rifondare la ‘cittadinanza dell’UE’, finora limitata ai ‘cittadini’ degli stati membri, nel senso di ancorarla ai diritti della ‘persona’.

Quanto al sistema delle Nazioni Unite, occorre costringere le sue agenzie economiche, in particolare il Fondo Monetario Internazionali, a rispettare le finalità e i principi della Carta delle Nazioni Unite, quindi ad abbandonare una volta per tutte la strategia strangolatoria del cosiddetto aggiustamento strutturale operata nei confronti degli stati e della stessa Unione Europea. Bisogna rompere le catene dell’imperante monetarismo che favorisce la speculazione finanziaria a detrimento dell’economia reale. Dunque, lotta senza quartiere al determinismo monetarista.

Provocazione, per così dire metagiuridica. C’è una povertà trascendente che è beatitudine e dovrebbe essere vissuta attivamente: “Beati i poveri in spirito perchè di essi è il regno dei cieli”. Nella città dell’uomo, è la via del coraggio progettuale, anche spes contra spem, del disarmo della superbia, la via dell’empowerment per l’uso, in politica, del soft power: potere noviolento, fatto di dialogo, persuasione, partecipazione, inclusione.

Aggiornato il

30/05/2019