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Aprile 2011: la Corte di giustizia europea disapplica la norma italiana che punisce con la reclusione l'immigrato che non ottempera all'ordine di allontanamento

Autore: Paolo De Stefani

La Corte di giustizia europea (procedimento C-61/11 PPU) ha emesso il 28 aprile 2011 una sentenza con cui risponde alla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dalla Corte d’appello di Trento il 2 febbraio 2011 (procedimento penale contro Hassen El Dridi, alias Soufi Karim). Il giudice italiano chiedeva di verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’art. 14, comma 5-ter del testo unico sull’immigrazione (Dlgs 286/1998), norma introdotta dal “pacchetto sicurezza 2009” (l. 15 luglio 2009, n. 94). Questo comma, in vigore dall’estate del 2009, fissa la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero immigrato irregolarmente in Italia che non adempia all’ordine datogli dal questore di lasciare entro cinque giorni il territorio italiano (la pena è da sei mesi a un anno se la situazione irregolare dipende dal fatto che il permesso di soggiorno è scaduto da oltre due mesi o in altri casi simili). Tale ordine viene emesso quando l’immigrato irregolare non può essere trattenuto nei centri di identificazione ed espulsione o comunque quando non risulta possibile espellerlo attraverso l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine o con respingimento. Lo straniero è processato per direttissima e, se condannato, viene disposta comunque l’espulsione tramite accompagnamento alla frontiera; se però anche in questo caso l’espulsione non può essere eseguita, lo straniero è nuovamente destinatario di un ordine di espulsione a cui deve ottemperare entro cinque giorni. Se anche quest’ordine resta privo di esecuzione, la punizione per lo straniero irregolare può aumentare fino a cinque anni di reclusione.

I giudici della Corte del Lussemburgo dovevano stabilire se tale normativa confligge o meno con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con la Direttiva 2008/115 (cosiddetta “Direttiva rimpatri”), che gli stati erano tenuti a trasporre nei relativi ordinamenti entro il 25 dicembre 2010, cosa che l’Italia peraltro non ha fatto. La Direttiva, in particolare i suoi artt. 15 e 16, stabilisce procedure comuni a tutti i paesi europei in materia di rimpatrio o espulsione dei cittadini di paesi terzi presenti illegalmente nel territorio nazionale. Tra i principi di fondo che essa introduce vi sono quelli di dare la precedenza ai rimpatri volontari; di accordare allo straniero irregolare tempi di ottemperanza all’ordine di rimpatrio che vanno dai sette e i 30 giorni; se sussiste pericolo di fuga, l’immigrato irregolare può essere sottoposto a particolari vincoli e può anche essere disposto il suo allontanamento immediato e, in casi eccezionali, l’uso di strumenti coercitivi per realizzare il rimpatrio. In vista dell’espulsione, lo straniero può essere quindi trattenuto con privazione della libertà personale per un periodo che può andare fino ad un massimo (tassativo) di 18 mesi in strutture dedicate o comunque separate da quelle dove sono detenuti gli autori di reato. La privazione della libertà in ogni caso non deve essere protratta oltre una misura ragionevole, per non violare il fondamentale diritto alla libertà personale.

La Corte ritiene che, nonostante la "Direttiva ritorni" non sia stata trasposta dall’Italia nel proprio ordinamento, le sue disposizioni in materia siano comunque sufficientemente chiare e precise da poter essere invocate dagli individui contro lo stato membro che ha colpevolmente mancato all’obbligo di trasposizione.

I giudici della Corte di giustizia dell'Unione Europea non contestano il fatto che la legge italiana abbia introdotto un reato di immigrazione clandestina e soggiorno irregolare dello straniero. In effetti questo reato è stato introdotto dalla legge 94/2009 all’art. 10-bis del Dlgs 286/1998 sull’immigrazione, il quale non è oggetto della pronuncia. Gli stati, in altre parole, possono scoraggiare l’immigrazione e il soggiorno irregolare dei cittadini di stati terzi prevedendo a loro carico delle sanzioni penali. Ma tali norme penali non devono compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla legislazione dell’Unione. Ora, la Direttiva 2008/115 si pone come obiettivo la realizzazione del rimpatrio (preferibilmente volontario) dell’immigrato irregolare; la legge italiana, che trasferisce sull’immigrato la responsabilità per l’incapacità delle proprie autorità di eseguire l’espulsione facendolo oggetto di una sanzione penale, non risponde adeguatamente agli obiettivi stabiliti dalla Direttiva e si pone in contrasto con la sua attuazione. In altri termini, la norma che punisce come reato la mancata ottemperanza all’ordine di allontanamento stabilito dal questore non può essere applicata senza mettere in pericolo l’effetto utile della Direttiva. La Direttiva non mira a punire gli immigrati irregolari, ma a realizzare, secondo procedure omogenee a livello europeo, il suo rimpatrio. L’art. 14, comma 5-ter del testo unico sull’immigrazione deve quindi essere disapplicato.

La sentenza – giova ripeterlo – non riguarda il controverso art. 10-bis del testo unico sull’immigrazione, quello che introduce il reato contravvenzionale di immigrazione o soggiorno illegale (“lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico […] è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro”). La Corte costituzionale italiana, con la sentenza 250/2010, ha riconosciuto al legittimità costituzionale di questa norma, nonostante le forti perplessità che essa ha sollevato. La commissione di tale reato non impedisce peraltro l’esecuzione della misura amministrativa dell’espulsione o del respingimento (e, se questa è eseguita, il giudice penale pronuncia sentenza di non  luogo a procedere). Alla procedura per l’accertamento della contravvenzione e l’irrogazione della relativa sanzione penale si sovrappone quindi la procedura amministrativa, che prevede l’espulsione o l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale. La mancata ottemperanza alla misura amministrativa dell’ordine di allontanamento è punita a sua volta, come abbiamo visto, in forza dell'art. 14.5-ter, con una sanzione penale piuttosto severa (fino a quattro o cinque anni di reclusione) che si cumula, per così dire, con la misura dell’espulsione, nel caso quest’ultima sia effettivamente eseguita.

Il giudice italiano, a seguito della sentenza della Corte di giustizia europea, dovrà disapplicare la norma che fissa la sanzione penale a carico dello straniero che non ha ottemperato l’ordine di allontanamento. L’impegno dello stato, ribadito dalla Direttiva ritorni, rimane quello di procedere al rimpatrio. Resta inoltre impregiudicata la commissione da parte dello straniero irregolare del reato di immigrazione irregolare (art. 10-bis del testo unico). Sulla compatibilità dell'art. 10-bis con la Direttiva del 2008 ha presentato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea il giudice di pace di Mestre in data 16 marzo 2011 (Relatore giudice Trucillo).

Non è dunque corretto dire che la Corte di giustizia ha “cancellato” il reato di immigrazione o soggiorno irregolare introdotto con il pacchetto sicurezza 2009: tale reato, punito con l’ammenda da 5000 a 10.000 euro, persiste; diventa viceversa inapplicabile l’ulteriore e più grave norma punitiva che sanzionava l’inottemperanza all’ordine di allontanamento disposto dal questore.

Aggiornato il

11/5/2011