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Poster con disegno e testo dell'art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
© UN Photo

Articolo 24 - Un bell'articolo

Autore: Antonio Papisca

Articolo 24

Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite

 

L’Articolo 7 (lettera d) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è più esplicito nel dire che gli stati sono obbligati a garantire una remunerazione del lavoro “che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo … il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi”.

A sua volta, l’Articolo 37 della Costituzione Italiana stabilisce che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunciarvi”.
Siamo in presenza di disposizioni di perentoria precettività, i cui termini applicativi sono fissati, e costantemente aggiornati, dal legislatore nazionale all’interno del dialogo sociale tra governo, sindacati dei lavoratori, associazioni padronali.

La persona umana non è una macchina (anche questa però è soggetta ad usura …) e deve avere la possibilità reale di sviluppare tutte le sue potenzialità in adeguati periodi di riposo e di fertile ricreazione. Anche il lavoro è, deve essere occasione di sviluppo della persona secondo dignità. E’ per questo che la legislazione internazionale in materia disciplina minuziosamente le condizioni di lavoro, che devono essere idonee a garantire la salute dei lavoratori. In concreto, è interpellata la responsabilità personale del datore di lavoro insieme con quella di sopraordinati organismi di sorveglianza.

La civiltà dei diritti umani insieme con la civiltà del lavoro ha portato a stabilire che c’è l’obbligo di rispettare il diritto alle ferie e allo svago anche del detenuto-lavoratore. Una sentenza della Corte Costituzionale del 2001 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge del 26 luglio 1975 n.354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria. La Corte motiva che il diritto al riposo annuale integra una di quelle ‘posizioni soggettive’ che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione.

L’Articolo 24 della Dichiarazione parla anche di “svago” per il lavoratore, cioè di fruizione di momenti ludici e di ricreazione culturale e artistica. Il lavoratore deve avere la possibilità di prendere parte liberamente alla vita culturale, come dispone l’Articolo 27 della Dichiarazione. Questo ci porta a considerare le ferie come un periodo che, come dicevano i nostri avi, ritempra il corpo e lo spirito. Insomma, una salubre parentesi nella routine lavorativa tanto più necessaria quanto usurante è il tipo di lavoro. Il diritto allo svago ha un significato e una portata non circoscrivibili alla logica dell’una tantum. Ha a che fare con la coltivazione di umanesimo negli stessi luoghi di lavoro. Sono dunque interpellati architetti, artisti visivi, musicisti per arricchire di bello gli uffici, le fabbriche, i cantieri.
Questi pensieri sembrano appartenere al mondo dei sogni o delle fatuità nel tempo che viviamo, disturbati come siamo da tante insicurezze. La realtà del precariato e della disoccupazione insieme con l’ambigua proposta della flexicurity ha come risultato quello di bruciare o comunque di rendere superfluo l’umanesimo del e nel lavoro. L’assenza o l’intermittenza del lavoro, lo stesso lavoro in settori dell’economia informale, costituiscono di per sè “ferie”, ma ferie stressanti e drammatiche, per così dire a tempo indeterminato, segnate non dalla possibilità di ritemprarsi e svagarsi più del solito, ma dall’ansia, dalla frustrazione, dal risentimento nei confronti di sistemi di governo che sono sudditi del mercato e della speculazione finanziaria, che considerano le politiche per la “piena occupazione”, prescritte dalle norme internazionali, non un obbligo ma un optional. Si pensi ancora a chi, per mantenere sé e la propria famiglia, ha doppio o triplo lavoro, magari anche con lavoro notturno continuativo… . Si pensi al lavoro in regime di ‘caporalato’ o a quello degli immigrati ‘irregolari’.

Che senso ha per queste masse di umanità precaria l’Articolo 24 della Dichiarazione?
C’è disagio nel tentare di trovare la risposta ad un interrogativo che interpella la coscienza e la responsabilità di tutti. Ma non si può restare inerti nella tristezza e nell’arrendersi ai determinismi. La cultura, anzi il sapere dei diritti umani, ci dice: sforzati di tradurre i diritti umani in una organica e coerente Agenda politica.

Risorse

Aggiornato il

17/7/2009