A A+ A++

Rashida Manjoo, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze dal 2009
© UN Photo/Paulo Filgueiras

Il contributo di Rashida Manjoo: un approccio olistico alla violenza

Autore: Milena Anzani, MA in Istituzioni e politiche dei diritti umani e della pace, Università di Padova / Volontaria di Servizio Civile Nazionale

Nel corso dell’11°sessione del Consiglio diritti umani (giugno 2009), il mandato di Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze viene assunto da Rashida Manjoo (Sud Africa) per un periodo iniziale di tre anni, poi rinnovato per altri tre anni nel 2013 con Risoluzione 23/25.

Succedendo nel suo incarico alle precedenti Relatrici speciali Radhika Coomaraswamy (Sri Lanka, 1994-2003) e Yakin Ertürk (Turchia, 2003-2009), Rashida Manjoo riprende e ripropone il discorso sulla violenza contro le donne secondo un approccio olistico e multidimensionale, volto a comprendere le interconnessioni esistenti tra le diverse forme di discriminazione e le molteplici forme di violenza diretta contro le donne.

Fondato sui principi di universalità, indivisibilità e interdipendenza dei diritti umani, questo tipo di approccio si interroga sugli aspetti sociali e individuali, nonché sulle cause e sui fattori di discriminazione che contribuiscono ad accrescere le disuguaglianze tra donne e uomini e che determinano l’inasprirsi degli episodi di violenza. In base a questa prospettiva, la violenza contro le donne non si manifesta come un fatto isolato e accidentale, ma si colloca lungo un continuum spazio-temporale che si snoda dal livello interpersonale a quello strutturale, dalla sfera privata a quella pubblica, dalla dimensione domestica a quella comunitaria, fino all’arena transnazionale.

Nel corso del suo mandato, la Relatrice speciale ha preparato i seguenti Rapporti tematici:

  1. il Rapporto A/HRC/17/26 del 2011 che si occupa del nesso e dell’interrelazione tra la violenza contro le donne e le discriminazioni di genere;
  2. il Rapporto A/66/215 del 2011 che fornisce un quadro della violenza di genere, descrivendo le forme e i luoghi della violenza, nonché le difficoltà per superarla;
  3. il Rapporto A/HRC/20/16 del 2012 che tratta il tema degli omicidi legati al genere;
  4. il Rapporto A/67/227 del 2012 che si focalizza sulla violenza contro le donne con disabilità;
  5. il Rapporto A/HRC/23/49 del 2013 che riguarda le responsabilità degli Stati nel contrastare il fenomeno;
  6. il Rapporto A/HRC/26/38 del 2014 che descrive l’impegno e i limiti delle Nazioni Unite negli ultimi vent’anni nel combattere la violenza di genere, indicando le sfide attuali.

1) Il Rapporto A/HRC/17/26

Come emerge dal primo Rapporto tematico del maggio 2011 (A/HRC/17/26), la violenza nei confronti delle donne, in tutte le sue forme e manifestazioni, sia che venga praticata in situazioni di pace, sia che si verifichi in contesti di conflitto o di post conflitto, si configura allo stesso tempo come causa e come conseguenza di oppressione e disuguaglianza e costituisce una discriminazione di genere, poiché diretta contro la donna in quanto donna.

Influendo negativamente in ogni ambito della vita e in ogni settore sociale, politico, economico e culturale, la violenza contro le donne determina quindi l'aumento di disparità e di iniquità tra sessi e riduce la donna in uno stato di subordinazione all'interno della società e della comunità di appartenenza.

Oltre a individuare le diverse forme, le cause e le conseguenze della violenza in relazione alle discriminazioni di genere, il Rapporto analizza nello specifico le gerarchie economiche e/o sociali sia inter-genere, ossia tra uomini e donne, sia intra-genere, ossia tra le stesse donne, che acutizzano il problema della violenza. Secondo Rashida Manjoo, anche se potenzialmente tutte le donne corrono il rischio di essere vittime di violenza, non tutte le donne sono egualmente esposte a tale rischio. Povertà, conflitti, discriminazioni, mancanza di sicurezza economica e sociale, limitato accesso all'educazione, alle informazioni e alle risorse materiali, culture stereotipate e sistemi patriarcali sono alcuni dei fattori che generano e consolidano relazioni di forza inter e intra genere, rendendo alcune donne maggiormente vulnerabili alla violenza rispetto ad altre.

All'interno del Rapporto si afferma che l’esistenza di molteplici forme di violenza contro le donne così come il fatto che questo tipo di violenza sia il risultato dell'intersecarsi di diversi tipi di discriminazione rendono necessaria l'adozione di strategie poliedriche e multidimensionali per contrastare in maniera efficace il fenomeno. Un modello strategico programmatico e "uguale per tutti" che non tiene conto né delle variabili strutturali e individuali, né dei numerosi contesti di appartenenza non è in grado di rispondere adeguatamente al problema. Prevenire e combattere la violenza contro le donne significa pertanto dotarsi di un insieme di pratiche, di politiche e di misure giuridiche appropriate che diano effettività al principio di uguaglianza sostanziale.

Riconoscendo l'obbligo dei Governi di proteggere, promuovere e garantire i diritti umani delle donne, la relatrice speciale invita gli Stati a rispettare gli impegni assunti a livello nazionale e internazionale per eliminare la violenza di genere in ogni forma e manifestazione, sia in ambito pubblico sia in quello privato e raccomanda di accrescere gli sforzi nella lotta ai pregiudizi e agli stereotipi che alimentano la violenza. La Relatrice sottolinea inoltre l'importanza di supportare e di valorizzare il lavoro della società civile in questa direzione e richiede agli organi delle Nazioni Unite di tutela dei diritti umani, in particolare allo UN Women, di seguire l'approccio olistico e di gender-mainstreaming nelle azioni dirette contro la violenza e le discriminazioni di genere.

2) Il Rapporto A/66/215

Queste raccomandazioni diventano oggetto di analisi di un ulteriore Rapporto del 2011, presentato all'Assemblea generale (A/66/215). In questa relazione, Rashida Manjoo oltre a fornire una panoramica sugli obiettivi e sugli aspetti principali del proprio mandato, ricostruisce il complesso quadro di riferimento del fenomeno della violenza di genere, mettendo in luce le sfide e i nodi critici che ne ostacolano il superamento. Nello specifico, nella prima sezione, la trattazione si focalizza sulle diverse forme e manifestazioni di violenza contro le donne che avvengono in quattro sfere principali, nella famiglia, nella comunità, a livello nazionale se perpetrata o condonata dallo Stato e nell'arena transnazionale, illustrando le difficoltà nel distinguere il confine tra l'ambito pubblico e quello privato della violenza di genere. Nella seconda parte, invece, il Rapporto si sofferma sulla questione della responsabilità dello Stato di agire con la dovuta diligenza per prevenire e per combattere ogni forma di violenza contro le donne, per perseguire e punire gli autori della violenza, per proteggere le vittime e per garantire loro una giusta riparazione.

Infine, anche in questo Rapporto, si rileva la necessità di adottare un approccio olistico per comprendere la natura e le radici della violenza contro le donne. Come già anticipato nel Rapporto A/HRC/17/26, questo approccio richiede come presupposto i seguenti elementi:

  • considerare i diritti umani come universali, interdipendenti e indivisibili;
  • collocare la violenza lungo un continuum che spazia dal livello interpersonale a quello strutturale;
  • prendere in considerazione sia le discriminazioni individuali/ dirette, sia quelle strutturali/ indirette;
  • analizzare le gerarchie socio-economiche inter/ intra genere.

L'approccio multidimensionale necessita inoltre dell'impiego di risorse umane e materiali per valutare e monitorare l'impatto delle politiche, delle norme legislative e dei servizi contro la violenza sulle donne.

Tra le raccomandazioni proposte dalla Relatrice si ricordano, tra le altre, quelle che consigliano l'adozione di leggi e politiche pubbliche nel campo dell'educazione, finalizzate a superare gli stereotipi e i pregiudizi alla base della violenza di genere e a far crescere nelle donne la consapevolezza dei loro diritti. L'adozione di una legislazione specifica, lo sviluppo di programmi di sostegno alle vittime, la promozione di campagne di sensibilizzazione, la previsione di corsi di formazione gender-oriented per le forze dell'ordine, i giudici e il personale giudiziario, l'approvazione di un piano nazionale contro la violenza di genere sono tutte azioni che concorrono a fronteggiare il problema.

Singoli interventi di riparazione che tentano di porre rimedio a situazioni di abuso senza prendere in esame la complessità del fenomeno si rendono incapaci di migliorare la condizione delle donne e di garantire loro la piena uguaglianza, la dignità e il rispetto dei loro diritti. La lotta per garantire i diritti umani delle donne, come emerge dal Rapporto, resta una sfida collettiva che implica una azione congiunta e concertata tra Stati e attori non statali, con particolare riferimento alle organizzazioni della società civile che si occupano di donne e della tutela dei loro diritti.

3) Il Rapporto (A/HRC/20/16)

Pur avendo definito standard normativi a livello internazionale per sradicare il problema, l’evidenza dimostra tuttavia come negli ultimi tre decenni la violenza contro le donne rimanga una questione irrisolta in ogni parte del mondo, una vera e propria epidemia globale causata dal persistere delle discriminazioni di genere, della disuguaglianza e dalla radicalizzazione della violenza stessa.

Forme estreme di violenza di genere si manifestano sotto forma di omicidi contro le donne i cosiddetti femmicidi o femminicidi. Stando al primo Rapporto tematico mondiale sui femminicidi (A/HRC/20/16), presentato da Rashida Manjoo nel giugno 2012 durante la 20esima sessione del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, questi tipi di omicidio includono: le uccisioni delle donne da parte del partner o dell’ex partner, gli omicidi per accusa di stregoneria, i delitti in nome dell’onore, gli assassinii nei contesti di conflitto, quelli legati alla criminalità organizzata, ai traffici illeciti e alla tratta di esseri umani, le uccisioni di donne a causa della dote, gli omicidi per motivi etnici, per l’appartenenza a popoli indigeni, per questioni inerenti all’identità e all’orientamento sessuale, gli infanticidi e qualunque altra forma di uccisione che colpisce la donna in quanto e perché donna.

In questo Rapporto, la Relatrice speciale è chiara nell’affermare con convinzione che “a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere, nelle loro diverse manifestazioni ha raggiunto proporzioni allarmanti” e che “culturalmente e socialmente radicati, continuano a essere accettati, tollerati e giustificati”. Sia che avvengano in famiglia o nella comunità di appartenenza, sia che vengano perpetrati o condonati dagli Stati, i femminicidi delle donne restano il più delle volte impuniti e la mancanza di responsabilità e la scarsa affidabilità degli organi statali costituiscono la norma. Non si tratta pertanto di incidenti isolati che accadono all’improvviso, ma si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza. Basti pensare all’omicidio in ambito domestico, la forma di femminicidio che accomuna tutte le donne del mondo, che è il frutto di una pregressa violenza subita nell’ambito della relazione di intimità (a).

I concetti chiave di femminicidio e femmicidio, termini ormai di uso comune grazie alle lotte del movimento femminista, vengono qui definiti “come alternativa alla natura neutra del termine omicidio, che trascura la realtà di disuguaglianza, oppressione e violenza sistematica nei confronti delle donne”. Il complesso rapporto tra violenza di genere e discriminazioni viene sintetizzato dalla Relatrice attraverso l’immagine metaforica di molteplici cerchi concentrici che si intersecano tra loro e si condizionano a vicenda. L’obiettivo è di evidenziare ancora una volta l’intersezionalità dei fattori economici, politici, sociali, culturali e di genere con il manifestarsi della violenza.

Tra le principali sfide da superare per prevenire e combattere il fenomeno, Rashida Manjoo riporta: la mancanza di una raccolta di dati ufficiali relativi ai casi di violenza, la povertà delle informazioni, le difficoltà nell’accesso alla giustizia, l’assente o l’insufficiente formazione sui diritti umani, la scarsa volontà di una radicale trasformazione sociale, la presenza di profonde disuguaglianze strutturali e di forti relazioni di potere nell’ambito pubblico e in quello privato. Di fronte a sfide di tali dimensioni, la Relatrice ribadisce l’importanza di introdurre l’approccio olistico a livello politico, operativo, giudiziario, amministrativo e insiste sul dovere dello Stato di agire secondo il principio della due diligence per contrastare la violenza di genere. L’esercizio della due diligence richiede allo Stato di:

  • perseguire e punire gli atti di violenza commessi da attori pubblici o privati;
  • garantire de jure e de facto l’accesso ad un sistema di giustizia effettivo;
  • trattare le vittime di violenza e le loro famiglie con rispetto e dignità;
  • garantire piena riparazione alle vittime di violenza;
  • identificare e proteggere quei gruppi di donne più vulnerabili che corrono il rischio di subire violenza perché soggette a discriminazione;
  • modificare i modelli sociali e culturali esistenti tra uomini e donne fondati sul pregiudizio, abolire le pratiche tradizionali basate sull’idea di inferiorità della donna, eliminare la suddivisione dei ruoli tra uomini e donne.

4) Il Rapporto (A/67/227)

Il discorso sulle responsabilità degli Stati e sull’obbligo del rispetto della due diligence nella lotta contro la violenza sulle donne viene approfondito ulteriormente dalla Relatrice speciale all’interno di due Rapporti tematici, redatti rispettivamente nell’ottobre 2012 (A/67/227) e nel maggio 2013 (A/HRC/23/49). Il primo dei due Rapporti, presentato all’Assemblea generale, affronta l’argomento violenza di genere/doveri dello Stato in riferimento alla violenza contro le donne con disabilità. La trattazione analizza le manifestazioni, le cause e le conseguenze della violenza, rilevando i rischi e le vulnerabilità a cui sono sottoposte le donne di questa categoria.

Discriminate in quanto donne e discriminate in quanto persone con disabilità, le donne con disabilità sono maggiormente esposte a forme intense di violenza domestica, ad abusi prolungati nel tempo, a trattamenti farmacologici o psichiatrici forzati, a gravi forme di violenza psicologica che originano da atteggiamenti stereotipati, da pregiudizi e dalla paura per chi è “diverso”.

Per arginare il problema, la Relatrice speciale nelle raccomandazioni invita gli Stati a sostenere un approccio olistico di gender mainstreaming in ogni ambito e in ogni settore, a promuovere una prospettiva di women’s empowerment in contrapposizione a una visione legata alla vulnerabilità, a sviluppare un modello sociale di inclusione che valorizzi le differenze per eliminare le disuguaglianze. La Relatrice raccomanda inoltre di adottare riforme specifiche che tengano conto delle esigenze delle donne con disabilità, in particolare delle donne disabili in stato di detenzione, che migliorino i servizi di cura e le condizioni di vita di queste donne, che tutelino i loro diritti riproduttivi e garantiscano l’accesso alle risorse. Gli Stati hanno il dovere di rimuovere a livello legislativo le norme e i provvedimenti di carattere discriminatorio, di attenersi agli standard internazionali in materia, implementando se ratificate la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (1979) e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006), e di assicurare la creazione di un sistema giudiziario equo, giusto e a supporto delle donne con disabilità. L’invito è di fornire una più ampia raccolta di dati disaggregati (genere, età, disabilità) costruiti sulla base degli indicatori delle Nazioni Unite che indichino le forme, le cause e le conseguenze della violenza contro queste donne. La Relatrice sottolinea infine l’importanza di una corretta informazione da parte dei media e della previsione di programmi di formazione e di sensibilizzazione sul tema.

5) Il Rapporto (A/HRC/23/49)

Il secondo Rapporto tematico, quello del 2013 diretto al Consiglio diritti umani, è interamente dedicato allo studio delle responsabilità e degli obblighi degli Stati in materia. In generale, lo Stato è responsabile di ogni azione e/o omissione commessa da attori statali o da qualunque altro soggetto che agisce per conto dello Stato e secondo il principio della due diligence lo Stato ha anche l’obbligo di intervenire per atti e/o omissioni compiuti da attori non statali. Da quanto emerge dal Rapporto, lo standard della due diligence diventa un parametro di riferimento per accertare gli adempimenti e le eventuali mancanze dello Stato nella lotta contro la violenza sulle donne. Affinché la due diligence sia pienamente rispettata, è necessario che il quadro giuridico-politico stabilito dallo Stato sul piano formale per prevenire e reprimere ogni forma di violenza di genere trovi effettiva applicazione a livello pratico.

6) Il Rapporto (A/HRC/26/38)

Insieme agli Stati, anche le organizzazioni internazionali, prime tra tutte le Nazioni Unite, i media e i membri della società civile sono chiamati a collaborare sul piano politico, giuridico e operativo per produrre linee d’azione specifiche, meccanismi di monitoraggio, sistemi efficaci di valutazione delle politiche e dei risultati. Il rapporto del 2014 (A/HRC/26/38) focalizza l’analisi proprio sul lavoro svolto dalle Nazioni Unite negli ultimi 20 anni contro la violenza di genere, mostrando gli sviluppi e i limiti incontrati nel contrastare il fenomeno. Tra gli sviluppi, la Relatrice riconosce l’impegno delle Nazioni Unite nel processo di concettualizzazione della violenza di genere e i progressi raggiunti nel definire le cause che la originano e le conseguenze che da essa discendono. Tra i limiti, invece, Rashida Manjoo constata soprattutto la carenza a livello internazionale di uno specifico quadro giuridico di carattere vincolante che assicuri risposte appropriate nel combattere il fenomeno. Per queste ragioni, la Relatrice speciale invita i membri del Consiglio diritti umani a intraprendere le azioni necessarie per colmare il vuoto normativo e per aumentare gli sforzi nella lotta contro la violenza sulle donne. Chiede infine al Segretario generale delle Nazioni Unite di avviare uno studio sull’impatto delle sfide odierne e sugli ostacoli che si incontrano nell’eliminazione di questo fenomeno.

L’eliminazione della violenza di genere richiede pertanto il rispetto degli standard internazionali che disciplinano la materia, l’elaborazione di politiche adeguate di prevenzione e di repressione, l’adozione di misure di protezione delle vittime e sulla promozione di una cultura di pari opportunità fondata sul principio di eguaglianza. L’eliminazione della violenza di genere è una sfida che coinvolge tutti e che necessita di un impegno concertato e di strategie condivise di carattere olistico.

(a): Cfr. B.Spinelli, Il primo rapporto mondiale delle Nazioni Unite sui femminicidi, articolo pubblicato su Femicidio corredo culturale, Casa delle donne per non subire violenza, Bologna, 2011, pp. 131-132.

 

Aggiornato il

29/4/2015