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Colombe, simbolo di pace, liberate nei pressi della moschea di Hazrat-i-Ali, Afhanistan, nella giornata internazionale della pace, che ricorre il 21 settembre.
© UN Photo/Helena Mulkerns

Il lungo processo di standard setting del diritto alla pace

Autore: Andrea Di Fabio, Volontario di Servizio Civile Nazionale

A partire dall'adozione della Carta delle Nazioni Unite nel 1945, si è sviluppato, in seno alla comunità internazionale, un processo di standard setting del diritto alla pace (right to peace). Tale processo, tutt'ora in corso, coinvolge numerosi attori (organizzazioni internazionali, organizzazioni regionali, istituzioni parlamentari internazionali, governi locali, organizzazioni della società civile) ed è caratterizzato dalla presenza e progressiva evoluzione di diversi e interconnessi approcci alla pace. Attraverso l'analisi degli strumenti di soft-law e hard-law adottati dagli attori coinvolti nel processo, è possibile affermare che, nel tempo, si è progressivamente passati da approcci alla pace di natura prevalentemente politica, ben consolidati e ampiamente accettati dalla comunità internazionale, ad approcci più specificamente giuridici e per questo maggiormente osteggiati, che tendono a concepire la pace come un diritto e, di conseguenza, come un obbligo per gli Stati. Questi approcci dovrebbero trovare completa armonizzazione nella Dichiarazione sul Diritto alla Pace, attualmente dibattuta al livello del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Il diritto umano alla pace affonda le proprie radici in due strumenti di estrema importanza: la Carta delle Nazioni Unite (1945) e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948). Essi identificano lo stretto legame esistente tra pace e diritti umani, individuando il riconoscimento e il rispetto universale dei diritti umani come mezzo per raggiungere e mantenere la pace, obiettivo fondamentale del sistema delle Nazioni Unite. E' a partire da tali strumenti che si sono sviluppati, nel corso del tempo, nove diversi (sebbene interconnessi) approcci alla pace:

1. La pace come aspirazione e obiettivo politico           

Tale approccio trova espressione nei trattati istitutivi di numerose organizzazioni regionali e internazionali (Unesco, Unione Europea, Consiglio d'Europa, Organizzazione degli Stati Americani, Unione Africana, ASEAN, ecc.). Questi trattati riconoscono l'impegno a garantire la pace e la sicurezza a livello regionale e internazionale tra gli obiettivi fondanti delle rispettive organizzazioni.

2. La pace come sistema di sicurezza collettivo

Questo approccio è stato sviluppato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso l'adozione di tre importanti risoluzioni nel corso della 5° sessione del 1950. Esse identificano i tre pilastri della pace intesa come sistema di sicurezza collettivo: la centralità delle Nazioni Unite nel mantenimento della pace internazionale (multilaterale) e del sistema di sicurezza; il disarmo; la condanna della propaganda contro la pace.

3. La pace come ordine sociale e internazionale

L'articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani introduce l'approccio alla pace intesa come ordine sociale e internazionale all'interno del quale tutti i diritti umani e le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzate. Di conseguenza, secondo Papisca, il significato dell'articolo 28 è che tutti gli esseri umani possiedono un diritto alla pace, sia a livello “domestico” (sociale) sia internazionale. Inoltre, l'articolo 28 implica la necessità di ristrutturare la società in modo tale che, a livello nazionale e internazionale, l'eguaglianza e la dignità della persona umana possano essere pienamente garantite.

4. La pace come diritto a vivere in pace

Un importante passo avanti nel riconoscimento della pace come diritto autonomo è rappresentato dalla Dichiarazione sulla Preparazione delle Società a Vivere in Pace, adottata dall'Assemblea Generale nel 1978. La Dichiarazione proclama due principi fondamentali. Il primo riconosce a ogni nazione e ogni essere umano il diritto a vivere in pace (dimensione individuale e collettiva del diritto); il secondo definisce la progettazione, preparazione o iniziazione di una guerra di aggressione come crimine contro la pace, proibito dal diritto internazionale. Nella Dichiarazione gli Stati vengono identificati come controparte principale (duty-holder) del diritto alla pace.

5. La pace come diritto dei popoli

Dall'adozione della Dichiarazione sulla Preparazione delle Società a Vivere in Pace (1978) l'enfasi sui doveri degli Stati è diventato un elemento sempre più importante nell'elaborazione del diritto alla pace. La Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Pace, adottata dall'Assemblea Generale nel 1984, dopo aver solennemente proclamato che tutti i popoli hanno un “sacro” diritto alla pace, sancisce che la tutela di tale diritto costituisce un “obbligo fondamentale” per ogni Stato. Al fine di rispettare tale dovere, gli Stati devono implementare politiche volte a eliminare la minaccia della guerra e l'uso della forza nelle relazioni internazionali e devono impegnarsi nella risoluzione delle dispute internazionali attraverso strumenti di pace. Sulla scia di tale approccio, una risoluzione dell'Assemblea Generale, adottata nel 1985, dichiara nel Preambolo che la pace è un diritto inalienabile di ogni essere umano: si tratta dell'unico strumento delle Nazioni Unite che considera la pace come un diritto individuale. Al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, il diritto dei popoli alla pace è stato riconosciuto in strumenti giuridicamente vincolanti tra i quali la Carta Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli (1986).

6. La pace come cultura di pace

L'approccio della “cultura di pace”, così come questa è definita dall'Unesco, è stato formalmente inglobato nell'agenda dell'Assemblea Generale negli anni '90, grazie, in particolare, al lavoro del Segretario Generale dell'Unesco Federico Mayor e alla conseguente implementazione di una serie di iniziative al livello delle Nazioni Unite. Tra queste spiccano l'adozione della Dichiarazione e del Programma d'Azione per una Cultura di Pace (1999) e, più recentemente, l'adozione della Dichiarazione sull'Educazione e la Formazione ai Diritti Umani (2011) da parte dell'Assemblea Generale.        

7. La pace come requisito vitale per il pieno godimento dei diritti umani

Il fondamento di questo approccio è contenuto in una risoluzione adottata dall'Assemblea Generale nel 2003. Essa, in linea con le precedenti Dichiarazioni e sulla base dei principi contenuti nella Carta delle Nazioni e dell'articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dichiara che la pace è un requisito vitale per il pieno godimento di tutti i diritti umani e che la tutela e la promozione della pace costituisce un obbligo fondamentale per ogni Stato. Di conseguenza, gli Stati, oltre a implementare politiche volte all'eliminazione della minaccia della guerra, alla rinuncia dell'uso della forza nelle relazioni internazionali e alla risoluzione delle controversie internazionali attraverso strumenti di pace, devono impegnarsi nella promozione di un sistema internazionale basato sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusi il diritto allo sviluppo e il diritto all'autodeterminazione dei popoli.        

8. La pace come diritto di solidarietà

La nozione di diritti umani di terza generazione (o diritti di solidarietà) si è sviluppata a partire dagli anni '70. Tale approccio, nato all'interno dell'Unesco, è stato progressivamente adottato e sviluppato dall'Esperto Indipendente delle Nazioni Unite sui diritti umani e la solidarietà internazionale. Per loro natura, l'implementazione di tali diritti necessita della cooperazione internazionale e di interventi e attività congiunte e coordinate. Tale generazione di diritti include: il diritto allo sviluppo economico e sociale, il diritto a beneficiare del patrimonio comune dell'umanità, il diritto a un ambiente salubre, il diritto all'assistenza umanitaria e a ricevere soccorso in caso di catastrofi, il diritto alla pace.   

9. La pace come diritto umano individuale (e collettivo)           

La pace come diritto autonomo individuale e collettivo non è mai stata riconosciuta dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tale approccio è stato invece sviluppato dall'Unesco e dal Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite. In particolare, nel 2010, il Consiglio Diritti Umani ha richiesto al Comitato Consultivo di elaborare una bozza di Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Pace. Tale Comitato ha successivamente proposto di rinominare il testo, conferendogli il titolo di Dichiarazione sul Diritto alla Pace. La bozza di Dichiarazione è stata presentata nel 2012. L'articolo 1 sancisce che gli individui e i popoli hanno diritto alla pace. Tale diritto è universale, indivisibile, interdipendente, interconnesso. In linea con le precedenti Dichiarazioni, gli Stati sono riconosciuti come controparti principali (duty-holders) del diritto alla pace. Inoltre, la bozza afferma che l’attuazione del diritto alla pace necessita dell'ampio coinvolgimento di numerosi attori (società civile, accademia, media, imprese, e l’intera comunità internazionale) e identifica 11 temi centrali relativi a tale diritto: sicurezza umana; disarmo; educazione e formazione alla pace; diritto all'obiezione al servizio militare; resistenza e opposizione all'oppressione; peacekeeping; diritto allo sviluppo; ambiente; diritti delle vittime e dei gruppi vulnerabili, rifugiati e migranti. Sulla base di tale bozza, il Consiglio Diritti Umani ha deciso, durante la sua 20° sessione (2012), di istituire un gruppo di lavoro intergovernativo (open-ended) con il mandato di negoziare una versione definitiva della Dichiarazione sul Diritto alla Pace.

Infine, è importante sottolineare che parlamenti, governi, enti locali e organizzazioni della società civile sono partner fondamentali e pienamente legittimati nel processo di riconoscimento del diritto umano alla pace. Nel corso del tempo, infatti, tali attori hanno organizzato numerose campagne globali e adottato risoluzioni e dichiarazioni che anticipano il riconoscimento formale del diritto umano alla pace da parte di Stati e organizzazioni internazionali. Alcuni esempi di tali organizzazioni sono: Inter-Parliamentary Union, Latin America Parliament, United Cities and Local Governments, International Association of Peace Messenger Cities, Spanish Society for the Advancement of International Human Rights Law.

Pubblicazioni

Aggiornato il

4/2/2016