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Una donna taglia l'erba per nutrire il bestiame a Lamaku, Nepal orientale
© UN photo/Gayle Jann

Piantagioni, alberi geneticamente modificati e diritti dei popoli indigeni

Nel novembre del 2005 a Vitoria, in Brasile, si è tenuto un importante meeting in cui si è discusso di piantagioni, di alberi geneticamente modificati e del loro impatto sulle comunità locali. Il meeting è stato organizzato dal Movimento mondiale per le foreste pluviali, in collaborazione con il Global justice ecology project.

In questo consesso, rappresentanti governativi, non governativi e genetisti si sono interrogati sugli effetti simili che le piantagioni e le monocolture producevano in ogni parte del mondo. In Brasile, ad esempio, ci si riferisce alle piantagioni con l'espressione 'deserti verdi' per l'effetto che essi hanno sulla diversità biologica. In Sudafrica, sono invece conosciute come 'cancro verde' a causa della tendenza degli eucalipti a diffondersi anche oltre le piantagioni, nella vegetazione spontanea. In Cile, infine, sono chiamate 'soldati verdi', in quanto distruttive, ma anche perché piantate in filari e perché hanno la tendenza a diffondersi costantemente e inesorabilmente. Queste piantagioni hanno conosciuto un grande boom durante i regimi autoritari. In Cile con Pinochet, in Brasile durante il regime dittatoriale, in Sudafrica durante l'apartheid.

Un altro tema interessante ha riguardato le strategie corporative che sono sorte negli anni post-autoritari. In quegli anni le corporazioni iniziarono a fare accordi con i piccoli proprietari terrieri e le comunità locali in modo da non dover acquistare i terreni. Le piantagioni a crescita veloce, infatti, impoveriscono il suolo ed esauriscono le scorte idriche, rendendo il terreno poco fertile in poco tempo. Grazie a questi accordi, le compagnie potevano facilmente abbandonare i terreni quando questi smettevano di essere produttivi. In Ecuador, questa strategia permise ad alcune compagnie di stabilire piantagioni in posti altrimenti inaccessibili. Le corporazioni promisero alle comunità rurali del luogo che avrebbero avuto una parte dei proventi una volta che fossero stati venduti gli alberi. In realtà, i guadagni non compensavano minimamente il duro lavoro che le comunità rurali dovevano sostenere e così ci furono le prime ribellioni con la rottura dei contratti e l'incendio delle piantagioni.

Un'altra tendenza è quella di stabilire piantagioni su aree agricole già esistenti. In Cile questo è accaduto sul territorio dei Mapuche, nella regione di Lumaco. Dal 1988 al 2002, la percentuale delle piantagioni di Lumaco è aumentata dal 14% al 52%. Il 98% dei prodotti forestali cileni sono esportati nel Nord America e in Asia, e il controllo di più di due milioni di ettari di eucalipti in tutto il paese è nelle mani di due compagnie. Le conseguenze della conversione dei terreni sono ricadute interamente sui Mapuche, costretti a spostarsi in aree più povere di risorse e circondate da piantagioni. In questo modo, la povertà è cresciuta esponenzialmente tra i Mapuche e Lumaco è oggi tra le più povere regioni del Cile, con il 60% della popolazione al di sotto della soglia di povertà e il 33% in povertà estrema.