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22/12/2008 (Archivio storico)

Tribunale internazionale per il Ruanda: ergastolo a Bagosora, Ntabakuze and Nsengiyumva per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.


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Il 18 dicembre 2008, la prima Camera Giudicante del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ha emesso la sentenza nel caso “Military I”, nel quale sono stati coinvolti quattro imputati che, nel 1994, ricoprivano la posizione di ufficiali superiori nell'esercito ruandese: il Colonnello Théoneste Bagosora, Direttore di Gabinetto del Ministero della Difesa ruandese; il Generale Gratien Kabiligi, capo dell'ufficio per le operazioni militari (G-3) dello staff generale dell'esercito; Il Maggiore Aloys Ntabakuze, comandante del Battaglione del Commando Paracadutisti e il Colonnello Anatole Nsengiyumva, comandante del settore operativo di Gisenyi.

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Il processo, al di là delle responsabilità dei singoli, era finalizzato a chiarire il ruolo giocato nel genocidio del 1994 dalle forze armate ruandesi fedeli alla fazione estremista hutu del governo.

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La Camera ha condannato Bagosora e gli altri imputati all'ergastolo per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, mentre ha assolto Kabiligi da tutte le accuse e ne ha ordinato la liberazione. La Camera ha inoltre assolto ciascuno degli imputati per cospirazione a commettere genocidio.

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La Camera ha accertato che, nei primi giorni dopo la morte del Presidente Habyarimana, avvenuta il 6 Aprile 1994, Bagosora era la massima autorità presso il Ministero della Difesa ruandese, la persona quindi dotata di effettivo controllo sulle forze armate fedeli al regime. È stato giudicato responsabile per l'uccisione, avvenuta il 7 aprile, della Primo Ministro Agathe Uwilingiyimana, di Joseph Kavaruganda, Presidente della Corte Costituzionale, oltre che di Frédéric Nzamurambaho, Landoald Ndasingwa e Faustin Rucogoza, esponenti di partiti diversi da quello del presidente assassinato e ministri della coalizione di Governo guidata da Agate Uwilingiyimana. Bagosora è stato inoltre condannato per l'assassinio di dieci peacekeepers di nazionalità belga, uccisi dai soldati ruandesi a Camp Kigali il 7 aprile, nonché per numerosi omicidi e atrocità commesse da soldati e membri delle milizie estremiste hutu (interhamwe) nei territori di Kigali e Ginsey tra il 6 e il 9 aprile 1994.

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Ntabakuze è stato giudicato colpevole, in quanto comandante del Battaglione d'élite del Commando Paracudisti, per la partecipazione dei soldati sotto il suo comando ad uccisioni presso Kabeza, Nyanza Hill e presso l’Institut Africain et Mauricien de Statistiques et d’Economie (IAMSEA) a Kigali.

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Nsengiyumva è stato condannato per i massacri all'Università Mudende, nella parrocchia di Nyundo e per l'uccisione mirata di civili presso la prefettura di Giseny, area sotto il suo comando operativo. È stato ritenuto inoltre colpevole di aver inviato milizie presso l'area del Bisesero nella prefettura di Kibuye per uccidere rifugiati Tutsi nel giugno 1994.

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L'Accusa aveva asserito che Kabiligi aveva fatto distribuire armi e partecipato ad incontri in cui si pianificava il genocidio, oltre aver commesso vari crimini specifici, molti dei quali commessi presso i blocchi stradali istituiti nell'area di Kigali. Kabiligi tuttavia ha fatto valere un valido alibi per tutte queste vicende e l’accusa non è riuscita a provare oltre ogni ragionevole dubbio che egli avesse il controllo operativo sugli autori delle violenze.

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L’aspetto più importante della sentenza è probabilmente la mancata condanna degli imputati per cospirazione ai fini di commettere genocidio. La Corte ha ritenuto non sufficienti le prove addotte dall’accusa volte a dimostrare che fin dal 1991 esisteva negli ambienti governativi e delle forze armate un piano per far scatenare un genocidio contro i tutsi. L’esercito ruandese, in altre parole, secondo la Corte, è sì stato implicato nel genocidio esploso dopo il 6 aprile, ma non lo aveva programmato: la “efficienza” con cui i militari si sono mossi nelle ore immediatamente successive alla morte del presidente Habyarimana è spiegabile con l’esistenza di piani militari volti a proteggere il territorio dall’invasione delle forze militari tutsi del Fronte patriottico ruandese. Il fatto che nei discorsi e nei documenti che richiamavano tali piani il riferimento al “nemico” fosse spesso confuso con quello all’etnia tutsi non è elemento sufficiente per concludere che la pianificazione militare riguardasse un genocidio piuttosto che un’azione militare di resistenza.

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Altrettanto importante è la ricostruzione che la sentenza fa degli eventi intervenuti nelle ore successive all’abbattimento dell’aereo del presidente e del ruolo che in tali frangenti hanno avuto i militari, sotto il comando “de facto” di Bagosora: a loro si deve l’assassinio della primo ministro e lo scatenamento del terrore contro gli appartenenti all’ala moderata della classe dirigente hutu.

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Il processo si era aperto il 2 aprile 2002 davanti alla Camera terza. Dopo la mancata rielezione di un giudice e il ritiro annunciato di un altro, il caso è stato trasferito, con il consenso degli imputati, nel giugno 2003, alla Camera prima, composta dai giudici Erik Møse, norvegese (Presidente), Sergei Alekseevich Egorov, Russo e Jai Ram Reddy, delle Fiji.

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Durante il processo sono stati ascoltati 242 testimoni, 82 per l'Accusa e 160 per la Difesa. Il processo si è concluso dopo 408 giorni. Nel corso dei procedimento sono state emanate più di 300 provvedimenti giudiziarie.

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L'Accusa è stata guidata da Barbara Mulvaney, statunitense.

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Il collegio di difesa comprendeva gli avvocati Raphaël Constant, della Martinica (difensore di Bagosora); Paul Skolnik, canadese, (difensore di Kabiligi); Peter Erlinder, americano (difensore di Ntabakuze); e Kennedy Ogetto, keniano (difensore di Nsengiyumva).

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La sentenza completa non è ancora disponibile: sarà comunque accessibile dall’indirizzo internet:

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https://69.94.11.53/ENGLISH/cases/Bagosora/index.htm .

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Una sintesi è disponibile all’indirizzo:

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https://69.94.11.53/ENGLISH/cases/Bagosora/Summary/Mil.118.12.08.pdf

Aggiornato il

16/7/2009