Risoluzione 1973 (2011) del Consiglio di Sicurezza
La Risoluzione 1973 è il naturale seguito della Risoluzione 1970 a fronte del rifiuto di Gheddafi di adempire a quanto in essa disposto, in particolare di porre immediatamente fine alla violenza, di andare incontro alle legittime domande della popolazione e di rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario.
Ora si passa ai fatti, cioè l'ONU decide di autorizzare l'uso della forza militare con l'obiettivo primario di proteggere la popolazione - "i civili e gli insediamenti urbani civili", compresa la città di Bengasi -, escludendo categoricamente il dispiegamento di "una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma e in qualsiasi parte del territorio libico".
Il divieto di volo riguarda "il decollo, l'atterraggio e il sorvolo nel territorio libico di velivoli registrati in Libia o gestiti da cittadini o compagnie libiche'. La sola eccezione è per voli a scopo umanitario.
A usare la forza sono autorizzati gli stati membri, che potranno agire 'singolarmente' o attraverso organizzazioni o accordi regionali in stretta cooperazione con il Segretario Generale delle Nazioni Unite.
La Risoluzione 1973 specifica altri punti della precedente, in particolare quelli che riguardano l'embargo sulle armi e il congelamento dei beni della famiglia Gheddafi e di altri esponenti del suo regime.
La parte assolutamente nuova riguarda quella che possiamo chiamare la cabina di regia dell'intera operazione, pilotata dal Consiglio di Sicurezza attraverso l'apposito Comitato istituito dalla Risoluzione 1970 e il Segretario Generale. Di questa cabina fanno parte un nuovo organismo creato ad hoc, il "Panel di sette esperti", e la Lega degli Stati Arabi. Dunque, a guidare e controllare che la delicata operazione si svolga nel rispetto della legalità internazionale, viene messa in opera una struttura politica per così dire pluralista, alla quale sono associate anche l'Unione Africana e la Organizzazione della Conferenza Islamica, espressamente citate nella Risoluzione.
Il tutto avverrà dunque con la piena legittimazione dell'ONU e sotto il suo "coordinamento politico", non sotto il suo comando, ruolo che le è tuttora precluso dal fatto di non disporre di una forza di polizia militare permanente come previsto dall' articolo 43 della Carta: "Al fine di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, tutti i membri delle Nazioni Unite si impegnano a mettere a disposizione del Consiglio di Sicurezza, a sua richiesta e in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l'assistenza e le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale".
Nel caso della Risoluzione 1970 il richiamo è stato, specificamente, all'articolo 41, che dispone per la comminazione di sanzioni di carattere non militare. Nella nuova Risoluzione, che appunto autorizza l'uso della forza, il riferimento è, genericamente, al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, laddove sarebbe stato appropriato richiamare l'articolo 42, il quale stabilisce che "se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell'articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite". E' appena il caso di sottolineare che, ai sensi della Carta, né l'ONU nè gli stati possono fare 'guerre' intese come operazioni finalizzate alla distruzione dello 'Stato nemico" (comprensivo di governo, di popolo e di territorio).
In conclusione, quanto deciso con la Risoluzione 1973 va collocato in un contesto caratterizzato dal fatto che c'è la domanda esplicita di intervento della Comunità internazionale da parte di una popolazione che rivendica il diritto di autodeterminarsi liberamente, c'è la pressione dell'opinione pubblica internazionale, c'è la esplicita richiesta di Organizzazioni regionali quali la Lega Araba, l'Unione Africana, la Conferenza Islamica. E c'è la nuova politica del Presidente Obama, con la sua opzione per il multilateralismo istituzionale e per il ruolo prioritario delle Nazioni Unite. C'è la prova che le Nazioni Unite dispongono di un serbatoio di forte legittimazione.
Occorre profittarne per mettere l'ONU nella condizione di agire più prontamente e di assicurare il governo della globalizzazione a fini di pace e di giustizia, anche in campo economico e finanziario: questo può avvenire a condizione che si affronti con determinazione il problema della sua riforma, soprattutto della sua democratizzazione.
Ancora una volta, l'Unione Europea ha esitato e non ha parlato ad una sola voce: la Germania è stata il giocatore scettico ed esitante, con un ruolo che non premia la sua ambizione a divenire membro permanente del Consiglio di Sicurezza.