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Foto in bianco e nero di un gruppo di bambini mentre leggono il poster con la Dichiarazione universale dei diritti umani, 1950.
© UN Photo

Il riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani

Autore: Andrea Cofelice

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (NU) approvava la Dichiarazione universale dei diritti umani quale pilastro del nuovo ordine internazionale che si andava costituendo dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Già l’articolo 1 della Carta delle NU del 1945 proclamava, tra gli scopi dell’Organizzazione, quello di “promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti”. Con la Dichiarazione del 1948, per la prima volta nella storia, la Comunità internazionale si dotava di uno strumento di portata universale, “ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni”.

Il Preambolo della Dichiarazione, in particolare, sostiene l’importanza di un sistema universale basato sui diritti umani come premessa imprescindibile per perseguire la pace e la sicurezza internazionali, lo sviluppo e la democrazia. Vi si afferma, infatti, che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. 

Nella Dichiarazione universale viene attribuita pari importanza e dignità (preconizzando, dunque, uno stesso livello di protezione) sia ai diritti economici, sociali e culturali, sia ai diritti civili e alle libertà politiche, rendendo esplicito, in questo modo, l’obiettivo sancito nella Carta delle NU di promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà.

Il testo della Dichiarazione si sviluppa in 30 articoli chiari e concisi.

L’articolo 1 individua il fondamento universale dei diritti umani, in quanto asserisce che tutti gli esseri umani sono eguali poiché condividono l’essenza stessa della dignità umana e che i diritti umani sono innati, spettanti a ciascun individuo, per cui non sono né privilegi appartenenti ad una ristretta elite di persone, né tanto meno concessioni che possono essere accordate o revocate da parte di una qualsiasi autorità pubblica o privata.

L’articolo 2 riconosce il valore universale di una vita libera da discriminazioni.

Nel primo blocco di articoli, dall’articolo 3 all’articolo 21, vengono enunciati i diritti civili e politici: il diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza personale, riconosciuto nell’articolo 3, costituisce la premessa dei successivi diritti civili e politici, quali la libertà dalla schiavitù, dalla tortura e dalla detenzione arbitraria, ma anche il diritto ad un giusto processo, alla libertà di espressione, di movimento e alla privacy. L’art. 18 costituisce il pilastro della libertà di espressione, sancendo il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione.

Il secondo blocco di articoli (22-27) fa riferimento ai diritti economici, sociali e culturali di cui ciascun essere umano è titolare. Il caposaldo di questo gruppo di articoli è l’articolo 22, il quale riconosce che ciascun individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale: in altri termini, ogni essere umano ha diritto alla realizzazione di quei diritti economici, sociali e culturali indispensabili per la piena attuazione della propria dignità e libertà, nonché per il completo sviluppo della propria personalità. I cinque articoli che seguono elaborano i diritti necessari per il godimento di questo fondamentale diritto alla sicurezza sociale: si tratta di diritti economici legati al lavoro e ad un’equa remunerazione (art. 23); di diritti sociali atti ad assicurare un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere personali e della propria famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari (art. 25); di diritti culturali, in particolare il diritto all’educazione (art. 26) e alla partecipazione alla vita culturale della comunità (art. 27).

Infine, l’articolo 28 definisce il concetto di “pace positiva”, intesa innanzitutto come un certo tipo di “ordine” sia interno ad un paese (ordine sociale) sia esterno (ordine internazionale). Esso proclama implicitamente che tutte le comunità ai vari livelli, dal quartiere al mondo, debbano informarsi al medesimo tipo di ordine che si definisce e si consegue attraverso il rispetto degli eguali diritti innati delle persone, ovunque nel mondo e in qualsiasi occasione. L’articolo 29 richiama i doveri di ogni singola persona nei confronti della comunità, sottolineando che solo in essa è possibile il pieno e libero sviluppo della propria personalità.

La Dichiarazione costituisce oggi il documento relativo ai diritti umani più conosciuto e citato al mondo, tradotto in 336 lingue nazionali e locali. Essa rappresenta l’affermazione di un comune sentire del genere umano, un’aspirazione e una visione condivisa di un mondo più giusto e solidale, nonché un insieme di norme e di standard universalmente accettati che informano in maniera sempre più consistente tutti gli aspetti delle relazioni umane, sia in quanto individui, sia in quanto membri appartenenti a collettività, all’interno delle singole comunità e tra le nazioni.

Inoltre, la Dichiarazione universale costituisce il fondamento del diritto internazionale dei diritti umani: ha ispirato le convenzioni e le dichiarazioni per la promozione e protezione dei diritti umani, è stata incorporata nelle costituzioni e nei sistemi normativi di molti Paesi e legittima l’attività dei difensori dei diritti umani che operano in tutte le parti del mondo.

Le NU hanno rappresentato senza dubbio il principale motore del processo di positivizzazione dei diritti umani, contribuendo a creare progressivamente un quadro giuridico internazionale in grado di tradurre, in termini vincolanti per gli Stati anche dal punto di vista formale, gli enunciati della Dichiarazione. Al termine di lunghi lavori protrattisi fino al 1966, l’Assemblea Generale delle NU adottò due distinti Patti internazionali (Covenants, Convenzioni giuridiche) rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali. Questi atti giuridici internazionali costituiscono l’asse portante del cosiddetto Codice universale dei diritti umani (International Bill of Human Rights), che si completa con altre convenzioni (processo di standard-setting di creazione delle norme), aventi per obiettivo quello di potenziare la tutela di alcuni diritti specifici, nonché dei diritti fondamentali di categorie di persone particolarmente vulnerabili:

  1. Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD- 1965); 
  2. Convenzione contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW - 1979);
  3. Convenzione internazionale contro la tortura (CAT - 1984);
  4. Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC - 1989);
  5. Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (ICRMW - 1990);
  6. Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006);
  7. Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate (2006).

Risorse

Aggiornato il

17/9/2009