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Una veduta di navi arrugginite e abbandonate dopo il ritiro del mare a Muynak in Uzebkistan
© UN photo/Eskinder Debebe

Rapporto annuale dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani sulle relazioni tra cambiamenti climatici e diritti umani (2009)

Autore: Chiara Madaro

Con la Risoluzione 7/23 del marzo 2008, il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite ha affidato all'Alto Commissario per i diritti umani il compito di svolgere uno studio sulle relazioni tra i diritti umani e i cambiamenti climatici, in risposta alle richieste pervenute dal Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), costituito da un gruppo di scienziati di varie dicipline, provenienti da ogni parte del mondo (per l'Italia, il Prof. Riccardo Valentini-Università della Tuscia) che si occupano di studiare cause ed effetti dei cambiamenti climatici.

Nel Rapporto dell'Alto Commissario vengono indagate le implicazioni dei cambiamenti climatici nel godimento dei diritti fondamentali. Nel Rapporto si afferma che cicloni tropicali di intensità crescente, ondate di calore sempre più frequenti ed estreme, precipitazioni piovose sempre più violente, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento dei livelli del mare con la conseguente scomparsa di piccole isole minano alla base la capacità degli individui e dei popoli vulnerabili di fruire dei più essenziali diritti espressi nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

Il Rapporto osserva inizialmente che i cambiamenti climatici impongono degli obblighi per i Paesi delle Nazioni Unite, in quanto comportano gravi implicazioni per il godimento dei principali diritti umani, in particolare per i popoli indigeni e rurali, definiti 'custodi di quei luoghi della terra in cui esiste la maggiore biodiversità' e dunque risorsa di inestimabile valore per il genere umano.

Tra le principali conseguenze dei cambiamenti climatici in atto figurano le migrazioni di massa. Il Rapporto stima, infatti, che, entro il 2050, 150 milioni di persone saranno costrette a spostarsi a causa dei fenomeni collegati ai cambiamenti climatici, come desertificazione, scarsità di risorse idriche, tempeste e inondazioni. In questo clima si prevede un aumento della violenza nei confronti dei gruppi maggiormente vulnerabili allo scopo di assicurarsi le risorse utili alla sopravvivenza sulla Terra.

Il Rapporto si sviluppa in quattro Capitoli:

Il Capitolo I discute i principali elementi che caratterizzano il cambiamento del sistema climatico e che hanno conseguenze particolarmente gravi per i diritti fondamentali di alcuni popoli:

  • contrazione delle aree ricoperte dalla neve e scioglimento dei ghiacci;
  • innalzamento del livello del mare e delle temperature delle acque marine;
  • crescente frequenza di alte temperature atmosferiche e ondate di calore;
  • aumento dei fenomeni delle precipitazioni piovose eccessive e delle aree interessate da allagamenti;
  • aumento dell'intensità dei cicloni tropicali.

In questo quadro, viene ricordato che i paesi industrializzati hanno maggiormente contribuito alle emissioni antropogeniche di gas climalteranti; tuttavia, gli effetti di queste emissioni sono distribuiti in maniera del tutto impari, poichè colpiscono prevalentemente i paesi in via di sviluppo, che invece non hanno avuto un ruolo significativo rispetto alle odierne alterazioni climatiche. Una iniquità sottolineata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC): l'Art.3, conosciuto anche come "l'articolo dell'uguaglianza", fa riferimento alle 'responsabilità comuni ma differenziate' da parte di ogni paese delle Nazioni Unite nell'affrontare il problema dei cambiamenti climatici ed affida ai paesi industrializzati il compito di segnare il passo attraverso 'buone pratiche' e programmi di collaborazione che trasferiscano il know how ai paesi in via di sviluppo. Il Rapporto ricorda poi la Dichiarazione di Stoccolma, adottata nel 1972 in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano. All'Art.1 della Dichiarazione si legge che "esiste un fondamentale diritto alla libertà, all'eguaglianza, ad adeguate condizioni di vita, in un ambiente la cui qualità sia tale da permettere una vita di benessere e dignità". In questo, la Dichiarazione riflette il pensiero generale secondo cui è possibile pensare nell'ottica di una relazione e interdipendenza tra diritti umani e ambiente.

Il Capitolo II studia le implicazioni del cambiamento del sistema climatico. La previsione secondo cui le temperature globali aumenteranno nei prossimi anni induce anche a prevedere effetti negativi sui vari ecosistemi naturali. L'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e l'inquinamento hanno innescato un processo irreversibile le cui implicazioni risiedono nel mancato godimento di specifici diritti (vita, salute, cibo acqua, ecc.), nella vulnerabilità di gruppi specifici come donne, bambini e popoli indigeni, nei conflitti, nell'instabilità, nella violenza e nella dislocazione imposti dai cambiamenti climatici.

A tal proposito, il Rapporto cita i risultati di uno studio secondo cui le instabilità prodotte dalle conseguenze dei cambiamenti climatici porteranno, nei prossimi anni, a violenti conflitti in almeno 46 paesi, coinvolgendo circa 2.7 miliardi di persone. Le aree maggiormente esposte a tali rischi sono l'Africa Sub-Sahariana, l'Asia e l'America Latina. Queste considerazioni impongono politiche di mitigazione e adattamento; tuttavia, le scelte compiute nell'ambito dell'UNFCCC e del Protocollo di Kyoto non sembrano sufficientemente adeguate. Il Rapporto sottolinea, infatti, che nei documenti prodotti in seno alla Convenzione si promuove il ricorso a combustibili di origine agricola allo scopo di ridurre le emissioni di gas-serra dovute ai combustibili fossili. Ma questa idea non tiene conto dell'elemento umano: la coltivazione estensiva di carburante di origine vegetale, infatti, toglierebbe spazio alle coltivazioni finalizzate all'alimentazione umana con conseguente aumento dei prezzi dei generi di prima necessità.

Il Capitolo III si concentra, invece, sugli obblighi realtivi ai diritti umani che gli stati devono garantire. Gli Stati hanno innanzitutto l'obbligo di proteggere gli individui da minacce prevedibili per i diritti umani in relazione ai cambiamenti climatici. E' il caso, ad esempio, del rischio di esondazione in alcune aree. A riguardo, la giurisprudenza della Corte europea sui diritti umani ha dato alcune indicazioni su come il fallimento delle misure prese contro rischi prevedibili possa essere indirizzata alla violazione dei diritti umani. In un caso, la Corte ha individuato la violazione del diritto alla vita qualora le autorità statali non adottino una pianificazione territoriale e delle politiche di emergenza adeguate.

Il capitolo, infine, ricorda il principio di precauzione espresso nell'Art.3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in cui si afferma che la mancanza di piena certezza scientifica non deve essere usata dagli Stati come ragione per posticipare quelle decisioni che potranno prevenire o minimizzare le cause dei cambiamenti climatici, mitigandone gli effetti dannosi.

Il Capitolo IV, infine, delinea alcune considerazioni riassuntive in merito alla relazione che lega diritti umani e cambiamenti climatici.

Risorse

Aggiornato il

24/10/2011