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Vera Vigevani Jarach

Incontro con Vera Vigevani Jarach

Madre de Plaza de Mayo, testimone ai processi di Roma contro i militari argentini per crimini contro l'umanità durante il periodo della dittatura (1976-1983)

Venerdì 19 novembre 2010, dalle 9.00 alle 10.30

Scienze Politiche, Aula B1

via del Santo 22

Padova (PD)

Vera Vigevani Jarach, madre de Plaza de Mayo, sarà presente a Scienze Politiche. Attiva collaboratrice dell'associazione 24marzo, che raccoglie le vittime del regime militare argentino e promuove l'applicazione di processi giudiziari nei confronti dei responsabili dei crimini contro l'umanità avvenuti in Argentina.

L'incontro è promosso dalla Cattedra di Lingua Spagnola, prof. Antonella Cancellier- Dipartimento di Studi internazionali della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Padova. La partecipazione è libera.

Si può visionare il video dell'intervento qui: parte 1, parte 2.

Trascrizione dell'intervento:

"Questa maniera di svolgere le cose sotto un silenzio assoluto, perché questa dittatura aveva preso nota di quanto era successo prima in Cile, pochi anni prima, in cui tutto era stato visto, messo veramente alla portata di tutti: si era visto lo stadio di Santiago del Cile con i prigionieri, era stato quasi spettacolare questo colpo di stato e questa situazione vissuta in Cile in quell'epoca, e nel mondo si era saputo e c'erano state forti reazioni.

La dittatura argentina ha voluto cambiare le cose e fare tutto in silenzio e coprire questo di nebbia e speravano
nell'immunità assoluta, cosa che finalmente non è successa, oltre ad ammazzare a seppellire come NN nelle fosse comuni, oltre a gettare dall'alto con gli aerei, i terribili voli della morte che si fecero per diversi anni a partire dalla ESMA che era la Escuela de Mecánica de la Armada della marina militare argentina.
Ebbene, oltre a questo pretendevano assolutamente di cancellare, cancellare le vite, cancellare l'identità, cancellare tutto, cosa che non è avvenuta e non avverrà, almeno finché noi vivremo, non avverrà sicuramente e speriamo che non avvenga anche grazie a questa trasmissione della memoria che cerchiamo di fare.

Oggi, e consiglio a tutti, di stare molto attenti a quanto succede in America latina, perché è un momento
specialissimo in cui tutti questi paesi dell'America latina che hanno sofferto le dittature in quegli anni, che hanno
avuto, come imposizione delle dittature, l'introduzione di un modello sociale ed economico liberistico a causa del
quale anche le economie sono andate distrutte, perché si sono favoriti certi settori e altri sono stati fortemente
giustificati, tutte le industrie incipienti e anche quelle già avviate e questo sta succedendo in molte parti del mondo anche oggi, anche nel mondo occidentale, anche nel mondo che consideravamo il primo mondo, riguardo al nostro. Ebbene, tutto questo ha una certa continuità per un lungo tempo anche dopo il recupero della democrazia, ma ad un certo punto dopo diverse presidenze, abbiamo avuto quasi di colpo due presidenze che hanno capovolto la situazione e oggi sono al potere in Argentina e anche in altri paesi dell'America latina, direi i compagni, le persone che in quell'epoca avevano quei progetti, e quei progetti si stanno realizzando, gradualmente, ma si stanno realizzando.

Nel caso argentino, che è quello che conosco meglio ma noi stiamo comunque molto attenti a quello che succede
negli altri paesi [dell'America latina] oggi c'è una specie di socialdemocrazia, sono governi peronisti, il peronismo è una cosa molto difficile da capire perché è un movimento enorme che va dall'estrema sinistra all'estrema destra, in questo momento c'è un governo di centro-sinistra, ma quello che si sta facendo è portare dei grandi cambiamenti che erano quei cambiamenti che erano l'obiettivo di questa gioventù e di questi movimenti di militanza.

Siccome sempre si parla di testimonianze di trasmissione della memoria io sempre penso e ci penso da molto, ma negli ultimi tempi ancora di più, cosa resterà di tutto ciò? Di tutto questo lavoro che facciamo, di tutte queste
testimonianze? Penso sempre che la nostra è la memoria del vissuto, ma cosa sarà la memoria del non-vissuto?
Perché tra un paio di generazioni...io, disgraziatamente, mia figlia era figlia unica, ma ci sono delle madri [de Plaza de Mayo] che hanno figli, nipoti, nipotini e quelli hanno una relazione diretta con il vissuto, ma dopo un po' di generazioni non c'è più, ci sono i libri di Storia, ci sono i documenti, e cosa resterà?
E allora la cosa più importante è pensare quali sono le cose essenziali da trattenere e lì c'è una grande
responsabilità da parte nostra, ma anche da parte di chi ci ascolta, perché a noi ce lo dicono tanto spesso: "Ma
basta! Fatela finita col passato, pensate al presente!", ma è proprio perché pensiamo al presente e al futuro che ci impegnamo.
Il presente (che siete voi, ma siamo anche noi) si trova in situazioni difficili spesso, situazioni di crisi, di crisi
economica, di crisi sociale, con, a volte, avvisaglie di possibili ripetizioni di questi fatti. Cosa si può fare?
Ed è lì il momento in cui le esperienze vissute possono forse servire. Allora, del caso nostro cosa possiamo dire?
Possiamo dire che di fronte al mandato, al consiglio imperativo che ci davano: "Silenzio! Il silenzio è salute" -
dicevano, effettivamente c'è stato il silenzio, ma non è stato totale il silenzio...c'è stato un silenzio terribile: c'è stato il silenzio della società, della maggior parte della società che ci guardava male, guardava dall'altra parte, c'è stato il silenzio di tutte le fonti possibili d'informazione, c'è stato il silenzio della stampa, c'è stato il silenzio della diplomazia dei paesi stranieri, delle ambasciate, anche della Chiesa, con un nunzio apostolico che ci batteva sulle spalle e ci diceva poveretti, però poi giocava a tennis con l'ammiraglio Massera, o l'ambasciata nostra italiana che ha chiuso le porte perché c'era un codazzo di persone, di oriundi italiani, che si rivolgevano alla propria ambasciata per essere aiutati, l'ambasciatore ha chiuso le porte perché gli dava fastidio e anche la Farnesina, dall'altra parte.
Purtroppo non solo l'Italia, tutti i paesi hanno avuto questo atteggiamento. Malgrado tutto questo silenzio, malgrado questo imperativo, malgrado i pericoli che c'erano ci sono state delle resistenze. Questo è uno degli insegnamenti, si può resistere anche nelle peggiori situazioni, si può anche nelle peggiori situazioni aiutare il prossimo.
Però, come si supera la paura? Agendo, facendo qualcosa. Ieri non so come mai ma mi è venuto in mente di fare un paragone con la montagna: quando sei in montagna e ti arrampichi e ad un certo momento non vedi gli appigli, hai una paura terribile, cosa fai? Ti immobilizzi? No, cerchi di fare qualcosa, ed è quello che abbiamo cercato di fare noi madri ed è quello che hanno fatto in Argentina non solo le madri ma anche altri ed è bene ricordarlo e citarlo.
Per esempio, tornando all'espressione dell'arte: c'è stato un ciclo che si chiamava ciclo del "Teatro abierto", in
piena dittatura, (io parlo della città di Buenos Aires) diversi teatri, piccoli e grandi, hanno realizzato il "Teatro
abierto" con la collaborazione di attori, registi, scenografi, insomma tutto il mondo del teatro e davano degli sketch o opere corte, in cui il tema del presente, della violenza, di questi crimini di lesa umanità, tutte queste cose erano messe in scena nella maniera meravigliosa che ha il teatro di dire le cose, di denunciare con i mezzi che detta l'immaginazione e l'arte, ed è stato un esempio.

Poi c'è stata anche la stampa clandestina, c'è stata perfino un'agenzia di stampa clandestina che passava le notizie e le dava ai corrispondenti stranieri, per esempio, o ai giornalisti che nei propri giornali non potevano pubblicare niente, ma le spedivano all'estero queste notizie, e le notizie arrivavano, ma purtroppo per molti anni queste notizie che arrivavano all'estero non venivano pubblicate.
Il caso, per esempio, dell'Italia, visto che siamo in Italia ed è quello che conoscete meglio, c'è il caso del Corriere
della Sera. Il Corriere della Sera era nelle mani di Rizzoli e c'era un'influenza diretta della Propaganda 2, la P2,
rappresentata da Licio Gelli che aveva il passaporto argentino, fatto alla ESMA, questo centro clandestino dove
sono sfilate 5000 persone, per fortuna ci sono molti sopravvissuti che hanno raccontato ciò che vi accadeva in
questo posto, ebbene una delle cose che accadevano alla ESMA è la falsificazione dei documenti e lì hanno dato
un passaporto falso argentino a Licio Gelli, per cui lui era rappresentante in Italia degli interessi argentini.

Per molti anni il Corriere della Sera riceveva le notizie mandate dal suo corrispondente, che era Giangiacomo Foà
che io vedevo perché lavoravo all'ANSA per cui venivano tutti i giornalisti italiani, lui mandava le notizie, ma le
notizie non venivano pubblicate. C'è stato un cambio di direzione del giornale, ad un certo punto è passato in altre mani e a partire da quel momento hanno cominciato a pubblicare. Hanno pubblicato una prima lista di italiani e oriundi italiani scomparsi e poi di colpo tutti i giornali hanno cominciato a parlare e lì si è spezzato, si è incrinato questo silenzio. Sempre ci voleva uno spunto di decisione e di coraggio ed è questo che è necessario imparare, che questo serve e questo salva, come salvano ed aiutano tutti i gesti di solidarietà, in tutti gli ordini della vita verso una persona che ne ha bisogno, verso un gruppo che ne ha bisogno, verso un paese che ne ha bisogno, verso un mondo che ne ha bisogno.

Mi viene in mente un'altra cosa che voi avete saputo sicuramente: oltre alla scomparsa delle persone e
dell'uccisione di tanta gente, ci sono stati i furti dei bambini, ed è il tema dell'identità. Così come la presenza dei
nomi nel parco [il "Parque de la Memoria", monumento alle vittime del terrorismo di stato, presso Buenos Aires]
significa preservare l'identità di quelli che hanno voluto cancellare.
Ci sono stati comunque parecchi casi, per fortuna, di rinvenimento nelle fosse comuni, sepolti come NN, di
scheletri che si sono identificati quindi le famiglie hanno potuto, in molti casi, fare un rito funebre.
Ma c'è la storia dei bambini: allora, tra tanta gioventù sequestrata c'erano logicamente tante donne giovani incinte. Le hanno trattate un pochino meglio degli altri, fino al momento del parto, dopo di che hanno portato via i neonati e ammazzato le madri.
Questi bambini sono stati consegnati a famiglie di militari o amici di militari che, consapevoli di tutto questo,
presentavano delle liste, [per esempio] dicevano: "Beh, io vorrei un bambino biondo" oppure "Io ho già due
maschi, vorrei una bambina". E così se li sono portati via e hanno tolto a questi bambini la loro vera identità.
Le nonne di plaza de Mayo da molti anni fanno un notevole lavoro di recupero appoggiate sia dalla capacità di
rintracciare (ormai sono tutti grandi, hanno oltre trent'anni) seguono delle piste come veri Sherlock Holmes e
vengono aiutate da un gruppo di antropologi forensi.
Già se ne sono trovati ed è stata data la vera identità ad un centinaio, ma sono più di quattrocento i casi. Nel caso di questi bambini, quando recuperano la loro identità, non è facile il cambiamento e allora hanno bisogno di
moltissimi aiuti, che gli vengono dati ma non sempre da un giorno all'altro funzionano. C'è sempre un gruppo di
psicologi che li aiuta, poi c'è tutta una "famiglia", ci sono maestri che sono stati i maestri/professori dei genitori,
dei compagni e amici, che cercano di ricostruire la storia del padre e della madre, la storia della loro vera famiglia.
Tra di loro hanno delle reti di solidarietà, per cui si appoggiano tra di loro. Anche loro sono vittime e anche loro
portano questo segno per tutta la vita.
Atroce in se stesso è questo piano perché non è stato un caso, è stata una cosa decisa da questa gente: si è deciso di fare questo. Cioè: hanno rubato, hanno rubato le vite, hanno rubato effettivamente nelle case dove andavano di notte a portar via le persone, rubavano e distruggevano tutto quello che potevano, era il bottino di guerra (lo chiamavano) e rubavano questi bambini.

Dopo anni in cui non si è potuto fare processi in Argentina, finalmente ecco un'altra dimostrazione che si può.
Dopo anni di leggi sull'impunità si è riusciti ad ottenere l'annullamento di queste leggi e ci sono processi in molte
città dell'Argentina, con condanne, condanne all'ergastolo, condanne dure e con una cosa importantissima che è il fatto che si fa luce su moltissimi dettagli, perché i testimoni li raccontano, si incrociano le informazioni e quindi
vengono a galla molte cose che non si conoscevano.
Quando arriva il momento in cui i rei hanno l'opportunità di difendersi, cosa che non hanno dato a nessuna di
queste persone che hanno ucciso, dicono la loro: non c'è stato mai un caso di pentimento, un caso in cui si chiede perdono, no, tutt'altro: rivendicano le loro azioni, si considerano i salvatori della patria e quindi non si può perdonare, non si può riconciliarsi e la giustizia ci vuole come insegnamento alla società: perché bisogna sapere che chi fa un delitto verrà giudicato e questo è molto importante.
In altri paesi dell'America latina è stato diverso, perché ogni paese ha la sua Costituzione, ha le sue idee, ha la sua gente che decide, in qualche paese in questo momento si sta parlando di fermare questo [i processi penali] e di avere una riappacificazione, in Argentina no.
Alcuni processi li abbiamo avuti in Italia, per fortuna, mentre non si potevano fare in Argentina, per casi di cittadini italiani ci sono stati tre processi, l'ultimo è finito di colpo pochi giorni fa e non si è concluso perché è il processo contro l'ammiraglio Massera, che è morto e quindi non ha potuto essere giudicato fino alla fine...a me l'hanno chiesto perché il giorno dopo mi hanno telefonato dalle radio, io ho detto: "Non ci sarà stato il verdetto finale però la società l'ha già giudicato, la storia l'ha già giudicato assolutamente".
L'ammiraglio Massera è stato il responsabile della Escuela de Mecanica de la Armada, dove ci sono stati migliaia
di detenuti tra cui anche mia figlia.
Io ho queste due storie e queste storie rimangono: io nel '38 avevo dieci anni, vengono le leggi razziali e la prima cosa che tocca a me è la cacciata da scuola, che anche se una è una bambina di dieci anni si sente quando ti cacciano da scuola. Mio padre diceva: "No, qui in Italia non capiterà niente", mia madre invece è stata molto intelligente e ha deciso (come molte volte decidono le donne, perché sono le donne spesso che decidono) e siamo andati in Argentina.
Quando mi mettono un microfono davanti in Argentina, in un corteo, in qualsiasi parte, la prima cosa che dico è: ho due storie.

Mio nonno è rimasto in Italia e l'hanno preso e l'hanno portato ad Auschwitz e l'hanno ammazzato e non
c'è tomba. Guardate, tanti anni dopo, in un altro paese, in altre circostanze, mia figlia, anche lei, la prendono, la
portano in un campo di concentramento e non c'è tomba, nel mio caso non c'è tomba perché [è stata uccisa] coi
"voli della morte", quindi non c'è la possibilità di una tomba.
Queste due storie fanno subito pensare alla gente: "Ma guarda, le cose possono succederti due volte" ed
effettivamente, lo diceva Primo Levi, lo dicono tante altre persone, non solo lui, e va tenuto da conto, non solo da me che l'ho vissuto, o da tanti altri che l'hanno vissuto; c'è una mia compagna delle madri di plaza de Mayo che è una polacca, lei stessa è stata ad Auschwitz, poi si è salvata, è andata a stare in Argentina, si è
sposata, [ha avuto] un figlio, era un fisico e l'hanno preso insieme ad un gruppo di altri 18 fisici che lavoravano in Argentina: ha avuto queste due storie.

Nella vita di una persona possono anche accadere queste cose, l'importante è essere coscienti e attenti, intelligenti e sapere reagire a tempo. A me questa cosa, che ormai la so, la si sa, la si ripete, però a me la prima volta che me l'hanno detto così, in forma terminante [= categorica] è stata una ragazza di Torino, di un liceo che si chiama Massimo D'Azeglio, che mi ha ascoltato come mi state ascoltando voi, poi mi ha scritto una lettera dicendomi: la soluzione di tutto ciò sta nel non essere indifferenti. Con questo si arriverà a quello che noi chiamiamo sempre "¡Nunca màs!". Crederci o no, io ci credo e spero ci crediate anche voi."

Ente promotore

Università degli Studi di Padova

Aggiornato il

11/01/2011