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10/2/2015
50 studenti e volontari in servizio civile dell’Università di Padova portano 28 cartelli con la scritta “Diritto umano alla pace” in 28 lingue diverse, alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi 2014.

Il rispetto della legalità internazionale e la rinnovata centralità delle Nazioni Unite: l’unica alternativa alle guerre

Nel 70° anniversario delle Nazioni Unite e della fine della Seconda Guerra Mondiale, le diagnosi dei conflitti in corso abbondano, ma non sono sufficienti se non sono accompagnate da puntuali prescrizioni. Per essere legittime ed efficaci, le proposte devono conformarsi ai principi e alle norme della legalità universale che si fonda sulla Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il nuovo Diritto internazionale che pone al centro dell’ordine mondiale il rispetto della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inalienabili.

Gli eventi bellici in corso in varie parti del mondo sono illegali perché violano il divieto di usare la forza per la risoluzione delle controversie internazionali, disattendono l’obbligo di risolverle pacificamente (art. 2 della Carta delle Nazioni Unite), più in generale violano i diritti fondamentali della persona e dei popoli, a cominciare dal diritto alla vita.

La guerra, qualsiasi guerra, nega la vita, uccide i soggetti originari dei diritti, è esecuzione permanente di pena di morte collettiva.

Insieme con i diritti umani individuali sono flagrantemente violati i diritti collettivi, dal diritto di auto-decisione dei popoli al diritto allo sviluppo e al diritto alla salvaguardia dell’ambiente naturale.

Molti conflitti violenti riguardano in particolare il diritto all’autodecisione dei popoli. Cosa dispone il Diritto internazionale al riguardo?

L’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce, tra i propri fini, quello inteso a «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisone dei popoli».

L’identico articolo 1 dei due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, trasforma il ‘principio’ in ‘diritto fondamentale’:

«1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza. ... ».

Per il continente europeo dispone il Principio VIII dell’Atto Finale di Helsinki (1975):

«VIII. Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli

Gli Stati partecipanti rispettano l'eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all'autodeterminazione, operando in ogni momento in conformità ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alle norme pertinenti del diritto internazionale, comprese quelle relative all'integrità territoriale degli Stati.

In virtù del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale.

Gli Stati partecipanti riaffermano l'importanza universale del rispetto e dell'esercizio effettivo da parte dei popoli dei diritti eguali e dell'autodeterminazione per lo sviluppo di relazioni amichevoli fra loro come fra tutti gli Stati; essi ricordano anche l'importanza dell'eliminazione di qualsiasi forma di violazione di questo principio».

Dove c’è legittima rivendicazione del diritto di autodeterminazione dei popoli, occorre utilizzare lo strumento del negoziato e l’esercizio del diritto deve avvenire in modo libero e pacifico sotto controllo delle Nazioni Unite e di altre istituzioni multilaterali: nel continente europeo, l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, OSCE.Va sottolineato con forza che questo diritto fa parte del codice internazionale dei diritti umani e, come tale, va esercitato nel pieno rispetto di tutti i diritti umani, compresi i diritti delle minoranze. L’esito del processo di autodeterminazione non necessariamente deve tradursi in forme di secessione da preesistenti stati, ma può utilmente consistere in forme avanzate di self-government all’interno di più ampi contesti di sicurezza e cooperazione.

La prevenzione dei conflitti e la loro risoluzione pacifica sono via maestra di pace, da percorrere con iniziative di disarmo reale e la messa in funzione del sistema di sicurezza collettiva, come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. In presenza di conflitto violento, l’eventuale interposizione internazionale deve essere decisa e gestita dall’ONU nel rigoroso rispetto della Carta.

Si ricorda che la Strategia europea in materia di sicurezza adottata dall’UE nel 2003 e aggiornata nel 2008 si colloca pienamente all’interno di una visione dell’ordine mondiale che fa costante riferimento al Diritto internazionale dei diritti umani e alla centralità dell’autorità sopranazionale delle Nazioni Unite, secondo un approccio incentrato sulla persona umana e coerente con il concetto di “sicurezza umana”. I principi enunciati per la PESC nell’art. 21 del Titolo V del Trattato di Lisbona parlano chiaro al riguardo:

«1. L'azione dell'Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l'allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale».

E’ diventato luogo comune, anche nel lessico dei governanti, usare l’espressione ‘metterci la faccia’. La traduzione non volgare è: ‘assumersi la propria responsabilità’. Le guerre nascono nella mente di qualche governante, con tanto di nome e cognome, per tramutarsi in carneficine fratricide sul campo.

Vale qui il severo monito lanciato da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2005: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”.

Come recita il Preambolo della Costituzione dell’UNESCO, «è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace».

Urge dunque sviluppare una vasta mobilitazione di informazione e di educazione per i diritti umani e la pace, anche per arginare l’orgiastico uso in atto di concetti e modalità d’azione propri della geopolitica, che pongono sullo stesso piano pace e guerra, esaltano l’egoistico interesse nazionale, banalizzano la portata di principi e norme della legalità internazionale, disprezzano più o meno apertamente la visione universalista dell’ordine mondiale contenuta nella Carta delle Nazioni Unite, umiliano l’impegno delle organizzazioni della società civile per la costruzione della pace positiva.

Perché sia efficace, l’educazione di cui c’è urgente bisogno deve essere indirizzata «al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace» (art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).

Per restituire alle Nazioni Unite il potere che è stato flagrantemente usurpato dagli stati più potenti a partire dalla prima guerra del Golfo e dalle ‘guerre facili’ che ne sono seguite, occorre far conoscere gli ideali della Carta e il nuovo diritto internazionale dei diritti umani che ne è derivato. Allo stesso tempo occorre democratizzare l’ONU creando una Assemblea parlamentare, potenziando il sistema di protezione internazionale dei diritti umani e dando più voce alle ONG e ai Governi Locali.

Il 70° anniversario delle Nazioni Unite che, significativamente coincide con il 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, offre l’occasione perché sia convocata una sessione speciale dell’Assemblea Generale per l’adozione della Dichiarazione sul Diritto alla Pace, attualmente oggetto di aspra discussione in seno al Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite.

 

Padova, 10 febbraio 2015

 

Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova

Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti Umani, Democrazia e Pace dell’Università di Padova