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La foto mostra i partecipanti dalla Conferenza di revisione di Durban, (Durban 2)all'interno della sala del Consiglio diritti umani a Ginevra, Svizzera. La conferenza è stata convocata per misurare l'avanzamento nella lotta alla discriminazione razziale e alla xenofobia dalla prima Conferenza tenutasi a Durban nel 2001.
© UN Photo/Jean-Marc Ferre

I diritti umani nel sistema delle Nazioni Unite: il diritto alla non-discriminazione

Autore: Andrea Cofelice

Dichiarazione universale dei diritti umani
Articolo 2: Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Introduzione
Nella Dichiarazione universale, il principio di non discriminazione è indicato come uno dei principi generali per il godimento dei diritti umani. In questo senso, il divieto di discriminazione appartiene a quello zoccolo duro del Diritto Internazionale generale che costituisce lo Ius Cogens, che cioè obbliga tutti incondizionatamente, ed è menzionato nella maggior parte degli strumenti normativi internazionali, a cominciare dall’art. 1 della Carta delle NU, nonché nell’art. 2 comune ai due Patti internazionali del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, e nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (art.2). 

Le NU hanno identificato alcuni specifici gruppi o categorie di persone che sono maggiormente vulnerabili ed esposti al rischio di discriminazione: donne, minori, persone con disabilità, lavoratori migranti. A ciascuna di queste categorie è dedicata una convenzione ad hoc, che normalmente persegue due scopi. Innanzitutto, tali convenzioni ribadiscono di volta in volta il principio di non-discriminazione rispetto al godimento di tutti i diritti umani per ogni categoria di persone individuata. In secondo luogo, tendono ad aggiungere una certa specificità ai diritti umani generalmente riconosciuti sulla base delle circostanze e delle condizioni proprie di questi gruppi.

Normativa: Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale
Adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 1965
Entrata in vigore il 1 aprile 1969
Stati parte: 176
L’Italia ha ratificato in data 5 gennaio 1976.

La Convenzione definisce all’art. 1 il concetto di “discriminazione razziale” nei seguenti termini: “ogni distinzione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”.

Il diritto a non essere discriminati per la propria origine è ormai riconosciuto ampiamente, riportato in tutti i documenti internazionali di tutela dei diritti umani, a conferma che in ambito NU la lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale ha rappresentato fin dalla costituzione dell’organizzazione un obiettivo primario. In questo senso, l’Assemblea Generale ha ribadito il suo impegno nel corso degli anni convocando tre Conferenze mondiali (1978, 1983 e 2001), e proclamando tre Decenni dedicati alla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale (1973-1982, 1983-1992 e 1994-2003). Tra gli altri documenti in materia, si segnalano, inoltre:
- la Convenzione internazionale sulla soppressione e punizione del crimine di apartheid;
- la Convenzione contro la discriminazione nell’educazione;
- la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e discriminazione fondate sulla religione e o il credo.

Meccanismi di controllo: Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale
La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale prevede l’istituzione di un Comitato composto da 18 esperti indipendenti che si riuniscono in sessione ordinaria due volte l’anno a Ginevra, con il compito di monitorare l’implementazione della Convenzione da parte degli Stati membri. Questi ultimi hanno l’obbligo di presentare al Comitato dei rapporti periodici sul modo in cui vengono garantiti i diritti sanciti nella Convenzione a livello nazionale. Il Comitato esamina ciascun rapporto e indirizza le proprie raccomandazioni allo Stato parte sotto forma di “osservazioni conclusive”. La Convenzione prevede anche che il Comitato possa ricevere e considerare sia le comunicazioni interstatali che le petizioni individuali, e possa attivare, qualora sia necessario, dei meccanismi per prevenire eventuali discriminazioni (cd. meccanismi di early warning). 

Si segnala, infine, che in seno al Consiglio diritti umani opera un Relatore Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza, il cui mandato è stato istituito nel 1993 dalla precedente Commissione.

Risorse

Aggiornato il

13/1/2014