Contro il terrorismo più forza all’ONU

È a dir poco inquietante la disinvoltura con cui anche in ambienti istituzionali si disattende il Diritto internazionale adducendo il motivo della inevitabilità della guerra. È una china pericolosissima sia perché, relativizzando la norma giuridica, si intaccano principi di etica sociale e si fa violenza alle coscienze di molti, sia per i danni che si arrecano direttamente alle fondamenta costituzionali di un ordinamento, qual è il nostro, la cui identità è fortemente segnata, oltre che dai principi democratici, anche dall’aggancio alla parte innovativa del Diritto internazionale. Mi riferisco a quella che prende origine dalla Carta delle Nazioni Unite e si sviluppa con altre importanti Convenzioni giuridiche, in particolare quelle relative ai diritti umani. Con queste norme si sono voluti introdurre principi di “stato di diritto” anche nel sistema delle relazioni internazionali, allo scopo di farle uscire, una volta per tutte, dallo stato di plurisecolare “primitività”, che ha favorito la strutturale prevaricazione dei più forti sui più deboli. I principi fondamentali del nuovo Diritto internazionale sono il rispetto della eguale dignità umana delle persone e dei diritti che a queste ineriscono, la proscrizione della guerra, il divieto dell’uso della forza per risolvere le controversie internazionali, l’obbligo di risolverle per via pacifica (cooperazione, negoziato, giurisdizione, ecc.). Questi principi fanno rinvio ad un preciso modello di ordine mondiale, non gerarchico, in cui le organizzazioni internazionali multilaterali giocano un ruolo centrale nel promuovere la comunicazione e la cooperazione e nel gestire un sistema di sicurezza collettiva. La Carta delle Nazioni Unite stabilisce l’obbligo per gli stati di destinare, una volta per tutte, parte delle loro forze armate ad una forza militare permanente sotto autorità delle Nazioni Unite, debitamente addestrata a svolgere funzioni che non possono che essere di polizia. Gli statuti delle cosiddette “organizzazioni regionali difensive” – tra le quali la NATO – si radicano esplicitamente nella Carta delle Nazioni Unite e condividono con questa, nel rispetto dei medesimi principi, l’obiettivo della prevenzione dei conflitti e del mantenimento della pace e della sicurezza.
La Costituzione della Repubblica Italia, è bene ricordarlo, fu redatta quando la Carta delle Nazioni Unite era già in vigore ed era in corso di elaborazione il testo della Dichiarazione universale dei diritti umani. L’Italia era un paese “sconfitto” e la sua Costituzione doveva anche servire a farla ammettere all’ONU, cosa che avverrà nel 1955. Gli articoli della Costituzione più significativi per il ruolo dell’Italia nel sistema internazionale sono l’articolo 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili della persona), l’articolo 10 (conformità dell’ordinamento italiano “alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”), l’articolo 11 che così recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Il senso di quest’ultimo articolo si spiega soltanto se lo si pone in relazione al modello di ordine mondiale prefigurato dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare per quanto attiene alla struttura e alle modalità di gestione del sistema di sicurezza collettiva. In altri termini, l’uso del militare da parte dell’Italia, al di fuori della ‘eccezione’ del diritto di autotutela da esercitarsi ‘a caldo’ per respingere un atto di aggressione portato al proprio territorio da un altro stato, può avvenire legittimamente soltanto nel contesto di operazioni intraprese dall’ONU, nonché dalla NATO, dalla OSCE (Organizzazione per le sicurezza e la cooperazione in Europa) e dall’Unione Europea (in prospettiva) in stretto coordinamento con le Nazioni Unite. L’osservanza di questa disciplina giuridica è dunque indissociabilmente legata al funzionamento delle organizzazioni internazionali. Deve esser chiaro che stati hanno l’obbligo di mettere queste organizzazioni, a cominciare dalle Nazioni Unite, in grado di assolvere efficacemente, tempestivamente, ai loro rispettivi mandati statutari. Il ritornello “siccome l’ONU è incapace, facciamo per conto nostro” va denunciato con forza come pretestuoso, se è vero che le Nazioni Unite sono capaci di fare ciò che gli stati (soprattutto i cinque che detengono seggio permanente al Consiglio di Sicurezza) vogliono che facciano. Va denunciato un alibi che costa caro in vite umane, in danaro, in violenza alle coscienze.
Che fare? In un mondo sempre più interdipendente, sempre più vulnerabile, la via legale, razionale e ragionevole della governabilità non può che passare attraverso il rilancio delle istituzioni internazionali multilaterali, sedi trasparenti del confronto politico e della cooperazione. Il sistema internazionale è attrezzato di leggi, organismi, procedure, è come una casa dotata di elettrodomestici utili, la cui spina non è però inserita. Questo dipende dalla volontà politica degli stati più forti, a meno di dimostrare che la loro forza può esprimersi soltanto, o soprattutto, con le armi. Il terrorismo va affrontato – represso, prevenuto – facendo funzionare gli attrezzi della sicurezza collettiva. Devitalizzare i siti istituzionali multilaterali a vantaggio di “vertici” per pochi e di “coalizioni belliche” sta facendo correre il serio rischio di tornare indietro alla barbarie del farsi giustizia da sé. Per non rimanere intrappolati nella logica perversa della “inevitabilità” occorre che gli stati che più contano, e tra questi certamente l’Italia, facciano confluire la loro forza dentro le Nazioni Unite e ne asseriscano, legittimamente, la democratizzazione e l’autorità.
Tra gli obiettivi prioritari di questa strategia devono figurare la rapida messa in funzione della Corte penale internazionale, la costituzione di un corpo di polizia giudiziaria (militare e civile) delle Nazioni Unite, la creazione di una Assemblea parlamentare delle medesime, la rimessa in moto della riforma del Consiglio di sicurezza, ovviamente il potenziamento dell’Unione Europea, il sostegno delle attività delle organizzazioni non governative genuinamente indipendenti e solidariste.