violenza di genere

La lotta alla violenza di genere può diventare un business? Il caso del Centro Antiviolenza di Belluno, a rischio chiusura

1522 una panchina rossa per ricordare tutte le donne vittime di violenza. No alla violenza sulle donne
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Sommario

  • Premessa
  • La situazione a Belluno
  • Novità normative
  • La denuncia
  • Il rischio 
  • Lotta alla violenza di genere come business?

Premessa 

La violenza basata sul genere, inclusa la violenza domestica, come definita nella Convenzione Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - cosiddetta Convenzione di Istanbul - è una grave violazione dei diritti umani, in particolare nei confronti delle donne, come già indicato nella Dichiarazione di Pechino e nella relativa Piattaforma d’Azione del 1995, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979) e il suo Protocollo opzionale (1999), e con la Raccomandazione generale n° 19 del CEDAW sulla violenza contro le donne. Con la legge 27 giugno 2013, n.77 l'Italia, tra i primi Paesi europei, ha ratificato la "Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica", adottata dal Consiglio d'Europa a Istanbul l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014. è stata sottoscritta dal nostro Paese il 27 settembre 2012. È il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che propone un quadro normativo completo e integrato a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. Interviene specificamente nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela. La sua struttura è basata sulle “tre P”: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli. A queste viene aggiunta una quarta “P”, quella delle politiche integrate, allo scopo di agire efficacemente su un fenomeno caratterizzato da grande complessità e da molteplici determinanti. All’interno della seconda “P” - protezione e sostegno delle vittime - si colloca l’attività dei Centri Antiviolenza (abbreviati CAV), vale a dire strutture in cui vengono accolte le donne che subiscono o che sono minacciate da qualsiasi forma di violenza. I CAV offrono diversi servizi alle vittime di violenza domestica, violenza psicologica, violenza sessuale, stalking e violenza economica: innanzitutto accoglienza telefonica e colloqui personali e consulenza legale, ma poi anche e soprattutto ospitalità nelle cosiddette “case rifugio”, strutture a indirizzo segreto che forniscono un alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini e bambine, consentendo così l'interruzione della violenza domestica.

 

La situazione a Belluno

Nella provincia di Belluno - la più estesa del Veneto a livello di superficie e la meno popolosa a livello demografico - opera un unico Centro Antiviolenza, gestito da Belluno Donna Onlus tramite personale volontario adeguatamente formato. L’Associazione gestisce due case rifugio di tipo B: casa Belluno-Donna (operativa dal 2009), Casa Silvia (operativa dal 2020) e Casa Maria Grazia (operativa dal 2025). Le case permettono di accogliere donne che si rivolgono al Centro in quanto vittime di violenza, per le quali il disagio abitativo-lavorativo-economico è preponderante, e non mettono a rischio, nell’immediato, la loro incolumità fisica. L’ospitalità non è legata a una situazione di emergenza e offre una permanenza di medio termine finalizzata all’allontanamento della donna e dei figli e delle figlie dalla situazione di violenza. Tutte le case sono gestite e coordinate da un gruppo di lavoro composto dalla responsabile, dalla referente e dalle operatrici volontarie. Le operatrici effettuano un accesso settimanale in orari variabili a seconda delle necessità e della presenza delle donne ospiti e dei/le loro figli/e. Questa modalità di intervento è pensata per fornire un supporto alle ospiti, favorire le relazioni tra loro, sorvegliare il buon andamento della convivenza e il rispetto del regolamento senza interferire troppo con la loro vita privata. Considerata la capienza delle case, il periodo di ospitalità concesso alle donne e ai loro figli/e va dai 6 ai 12 mesi. Viene garantita la privacy e la tutela della riservatezza delle donne e dei/le figli/e. La strutturazione del servizio - è utile sottolinearlo - si basa sul volontariato. E f inora è stata possibile anche grazie a finanziamenti pubblici erogati tramite la Regione del Veneto, la Provincia di Belluno e alcuni Comuni. Per entrare nel dettaglio, la strutturazione volontaristica significa che il CAV è raggiungibile telefonicamente in alcune fasce orarie durante le quali a turno i volontari garantiscono la propria presenza e disponibilità a essere reperibili. 

 

Novità normative 

La situazione del CAV di Belluno Donna Onlus è stata messa a rischio da una recente decisione assunta in sede di Conferenza Stato-Regioni. Nella seduta del 14 settembre 2022, infatti, è stata recepita la nota del 2 settembre 2022, con la quale il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri ha trasmesso la bozza di modifica dell’Intesa n. 146/CU del 27 novembre 2014, relativa ai requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle case rifugio. È l’articolo 2, comma 2, in particolare a essere particolarmente stringente, in quanto fissa come obbligo minimo per un CAV la presenza di un numero telefonico dedicato, attivo h24. Va da sé che un obbligo simile diventi difficilmente ottemperabile per un Centro Antiviolenza di piccole dimensioni, gestito da volontari, ai quali diventa impossibile garantire la reperibilità 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, festività comprese. 

 

La denuncia

Sulla questione si è mossa immediatamente la Consigliera di Parità della Provincia di Belluno, Flavia Monego. Ha scritto a tutti i Comuni bellunesi, con una richiesta di sottoscrizione, in modo da presentare unitarietà territoriale nella richiesta alla Regione Veneto di derogare all’Intesa per permettere al CAV bellunese di restare operativo e accedere ai contributi regionali pur non potendo ottemperare ai requisiti minimi. «Il problema maggiore è rappresentato dalla richiesta della reperibilità h24, che è insormontabile per una realtà basata sul volontariato e rischia di compromettere il servizio, a tutto danno delle donne vittime di violenza» ha sottolineato Flavia Monego, che ha richiesto una deroga rispetto ai requisiti minimi per Belluno, in virtù della specificità montana. Anche grazie al tamtam mediatico sollevato dalla Consigliera di Parità, nel gennaio 2024 la Conferenza Unificata della Conferenza delle Regioni ha disposto uno slittamento in avanti dell’entrata in vigore dei nuovi requisiti minimi per un CAV. Una proroga di 18 mesi che però terminerà il 30 giugno 2025. 

 

Il rischio 

Ad oggi non sono giunte novità rispetto a ulteriori proroghe né tantomeno a modifiche del testo dell’Intesa Stato-Regioni. Di conseguenza, il problema rimane aperto e la sopravvivenza del CAV bellunese è a rischio. «Le grandi conquiste sociali nascono dall’impegno quotidiano, dai piccoli passi, dalla cooperazione che ognuno può mettere in campo. La grande conquista che ci poniamo come obiettivo oggi è la garanzia di tutele per il Centro Antiviolenza di Belluno, gestito da Belluno Donna» ha scritto la Consigliera di Parità Flavia Monego, in una lettera indirizzata alla Regione del Veneto, a inizio anno. «Il tema dei requisiti minimi dei CAV va risolto, una volta per tutte. Giugno è dietro l’angolo e non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia: ne va della qualità di vita delle donne e dei territori in cui vivono». 

Lotta alla violenza di genere come business?

Non è affatto una provocazione. Perché non si tratta solo ed esclusivamente di dare una strutturazione migliore alla lotta contro la violenza di genere, intento quanto mai indispensabile e nobile. Il pericolo reale è che i nuovi requisiti spazzino via anni di gestione volontaristica dei CAV (la situazione bellunese non è l’unica in Italia) per far spazio a chi invece vuole farne un business. Business che però diventa impossibile in una provincia piccola, poco popolata e territorialmente dispersa come quella di Belluno. La conseguenza inevitabile sarebbe quella di perdita di un presidio fondamentale, e di un servizio indispensabile per le donne. 

Parole chiave

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