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6/1/2015
Un'allegoria della giustizia si sovrappone alla bandiera dell'UE
© European Union

Adesione dell'UE alla CEDU: la Corte di Giustizia esprime parere negativo sul Progetto di accordo

Il 18 dicembre 2014 la Corte di Giustizia dell'UE (CGE) ha adottato il parere 2/13 pronunciandosi sulla compatibilità del Progetto riveduto di accordo per l'adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti umani (CEDU), presentato a Strasburgo lo scorso 10 giugno 2013.

La CGE, in particolare, sottolineando la peculiarità dell'ordinamento giuridico dell'Unione, ha identificato sei principali profili di incompatibilità del Progetto con il diritto primario dell’Unione riguardanti, rispettivamente: l'applicazione dell'articolo 53 CEDU rispetto ai diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE (CDFUE); la preservazione del principio della fiducia reciproca fra gli Stati membri dell'UE; l'autonomia ed efficacia del meccanismo del rinvio pregiudiziale alla luce del Protocollo XVI alla CEDU; la compatibilità tra l'art. 344 TFUE e l'art. 33 CEDU; il meccanismo del convenuto-aggiunto (co-respondent) e del previo coinvolgimento della CGE; l'attribuzione esclusiva alla CtEDU della competenza a pronunciarsi sulla violazione dei diritti in ambito PESC/PESD.

In ragione di tutti gli aspetti identificati la Corte ha quindi concluso che il progetto di accordo sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU non è compatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione.

Tenuto conto, da un lato, dell'efficacia giuridica dei pareri adottati dalla CGE ai sensi dell'art. 218(11) TFUE e, dall'altro lato, dell’obbligo posto dal Trattato di Lisbona per l’Unione di aderire alla CEDU (art. 6(2) TUE), il Consiglio e la Commissione dovranno ora attivarsi per riaprire i negoziati con il Consiglio d’Europa al fine di adottare un nuovo accordo di adesione in linea con il parere della CGE.

Di seguito si riporta il testo integrale del comunicato stampa relativo al parere 2/13 del 18 dicembre 2014:

"La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («CEDU») è un accordo internazionale multilaterale concluso in seno al Consiglio d’Europa (1). Essa è entrata in vigore il 3 settembre 1953. Tutti i membri del Consiglio d’Europa sono Parti contraenti di tale convenzione.

In un suo parere del 1996 (2) la Corte aveva già affermato che, allo stato del diritto comunitario vigente a quell’epoca, la Comunità europea non era competente ad aderire alla CEDU.

Dopo di allora, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione hanno proclamato, nel 2000, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla quale il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha conferito il medesimo valore giuridico dei Trattati. Il Trattato di Lisbona ha altresì modificato l’articolo 6 del Trattato UE, il quale ora prevede, da un lato, che i diritti fondamentali, quali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e, dall’altro, che l’Unione aderisce alla CEDU (3). Tuttavia, a quest’ultimo proposito, il Protocollo n. 8 (4) dispone che l’accordo di adesione deve soddisfare talune condizioni intese in particolare a garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell’Unione e del diritto dell’Unione e che l’adesione dell’Unione non incida né sulle sue competenze né sulle attribuzioni delle sue istituzioni.

A seguito di una raccomandazione della Commissione, il Consiglio ha adottato, il 4 giugno 2010, una decisione che autorizza l’avvio dei negoziati relativi a un accordo di adesione. La Commissione è stata designata quale negoziatore. Il 5 aprile 2013 i negoziati si sono concretizzati in un accordo sui progetti di strumenti d’adesione. In tale contesto la Commissione si è rivolta, in data 4 luglio 2013, alla Corte di giustizia per ottenere il suo parere in merito alla compatibilità del progetto di accordo con il diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE (5).

Nel suo parere pronunciato in data odierna, la Corte, dopo aver ricordato che il problema della mancanza di una base giuridica per l’adesione dell’Unione alla CEDU è stato risolto dal Trattato di Lisbona, sottolinea che, poiché l’Unione non può essere considerata uno Stato, l’adesione deve tenere in considerazione le caratteristiche particolari dell’Unione medesima, ciò che è per l’appunto quanto imposto dalle condizioni che gli stessi Trattati hanno stabilito per l’adesione.

Precisato ciò, la Corte osserva anzitutto che, in virtù dell’adesione, la CEDU, al pari di qualsiasi altro accordo internazionale concluso dall’Unione, vincolerebbe le istituzioni di quest’ultima e gli Stati membri e formerebbe dunque parte integrante del diritto dell’Unione. L’Unione sarebbe sottoposta, al pari di qualsiasi altra Parte contraente, ad un controllo esterno avente ad oggetto il rispetto dei diritti e delle libertà previsti dalla CEDU. L’Unione e le sue istituzioni sarebbero dunque assoggettate ai meccanismi di controllo previsti da tale convenzione e, in particolare, alle decisioni e alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo («Corte EDU»).

La Corte constata che è certo inerente alla nozione stessa di controllo esterno il fatto che, da un lato, l’interpretazione della CEDU fornita dalla Corte EDU vincolerebbe l’Unione e tutte le sue istituzioni e che, dall’altro lato, l’interpretazione data dalla Corte di giustizia di un diritto riconosciuto da detta convenzione non vincolerebbe la Corte EDU. Tuttavia, essa precisa che ciò non può valere per quanto riguarda l’interpretazione che la Corte stessa dà del diritto dell’Unione e, in particolare, della Carta. A questo proposito, la Corte sottolinea che, poiché la CEDU riserva alle Parti contraenti la facoltà di prevedere standard di tutela più elevati di quelli garantiti dalla CEDU stessa, occorre assicurare un coordinamento tra la CEDU e la Carta.

Infatti, qualora i diritti riconosciuti dalla Carta corrispondano a diritti garantiti dalla CEDU, occorre che la facoltà concessa dalla CEDU agli Stati membri resti limitata a quanto è necessario per evitare di compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta, nonché il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. La Corte constata che il progetto di accordo non prevede alcuna disposizione intesa ad assicurare tale coordinamento.

La Corte considera che l’approccio adottato nel progetto di accordo, consistente nell’equiparare l’Unione ad uno Stato e nel riservare ad essa un ruolo del tutto identico a quello di qualsiasi altra Parte contraente, contravviene proprio alla natura intrinseca dell’Unione. Tale approccio non tiene conto del fatto che gli Stati membri hanno accettato che i loro reciproci rapporti, sulle materie oggetto del trasferimento di competenze all’Unione, fossero disciplinati dal diritto di quest’ultima, con esclusione di qualsiasi altro diritto. Imponendo di considerare l’Unione e gli Stati membri come Parti contraenti non soltanto nei loro rapporti con le Parti che non sono Stati membri dell’Unione, ma anche nei loro reciproci rapporti, la CEDU esigerebbe da ciascuno Stato membro la verifica del rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, ancorché il diritto dell’Unione imponga la fiducia reciproca tra tali Stati membri. Date tali circostanze, l’adesione può compromettere l’equilibrio sul quale l’Unione si fonda, nonché l’autonomia del diritto dell’Unione. Orbene, l’accordo nulla dispone per prevenire un’evoluzione in tal senso.

La Corte rileva che il Protocollo n. 16 della CEDU, firmato il 2 ottobre 2013, autorizza le più alte giurisdizioni degli Stati membri a rivolgere alla Corte EDU domande di pareri consultivi in merito a questioni di principio sull’interpretazione o applicazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla CEDU o dai suoi protocolli. Dato che, in caso di adesione, la CEDU formerebbe parte integrante del diritto dell’Unione, il meccanismo istituito dal protocollo potrebbe pregiudicare l’autonomia e l’efficacia della procedura di rinvio pregiudiziale prevista dal Trattato FUE, segnatamente quando i diritti garantiti dalla Carta corrispondano ai diritti riconosciuti dalla CEDU. Infatti, non è escluso che una domanda di parere consultivo proposta ai sensi del Protocollo n. 16 da un giudice nazionale possa dare avvio alla procedura cosiddetta di «previo coinvolgimento» della Corte (6), creando così un rischio di elusione della procedura di rinvio pregiudiziale. Il progetto di accordo nulla dispone riguardo all’articolazione tra i due meccanismi.

La Corte ricorda poi che il Trattato FUE stabilisce che gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia sull’interpretazione e l’applicazione dei Trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti da questi ultimi (7). Di conseguenza, qualora venga in discussione il diritto dell’Unione, la Corte è competente in via esclusiva a conoscere di qualsiasi controversia tra gli Stati membri nonché tra questi ultimi e l’Unione in merito al rispetto della CEDU. Il fatto che, in base al progetto di accordo, le procedure dinanzi alla Corte non debbano essere considerate come modalità di composizione delle controversie alle quali le Parti contraenti hanno rinunciato ai sensi della CEDU non può essere sufficiente per preservare la competenza esclusiva della Corte. Infatti, il progetto di accordo lascia persistere la possibilità che l’Unione o gli Stati membri sottopongano alla Corte EDU una domanda avente ad oggetto un’asserita violazione della CEDU ad opera di uno Stato membro o dell’Unione correlata con il diritto dell’Unione. L’esistenza stessa di una simile possibilità pregiudica le prescrizioni dettate dal Trattato FUE. Date tali circostanze, il progetto di accordo potrebbe essere compatibile con il Trattato FUE soltanto nel caso in cui la competenza della Corte EDU fosse esplicitamente esclusa per le controversie che oppongono gli Stati membri tra loro ovvero gli Stati membri e l’Unione in merito all’applicazione della CEDU nel quadro del diritto dell’Unione.

Inoltre, nel progetto di accordo, il meccanismo del convenuto aggiunto ha come finalità di assicurarsi che i ricorsi proposti dinanzi alla Corte EDU da Stati non membri, nonché i ricorsi individuali, vengano indirizzati correttamente, a seconda dei casi, contro gli Stati membri e/o contro l’Unione. Il progetto di accordo prevede che una Parte contraente divenga convenuto aggiunto o accettando un invito in tal senso rivoltole dalla Corte EDU o per decisione di tale Corte a seguito di una richiesta della stessa Parte contraente. Quando l’Unione o gli Stati membri chiedono di intervenire quali convenuti aggiunti in una causa dinanzi alla Corte EDU, devono provare che i presupposti per la loro partecipazione al procedimento sono soddisfatti e la Corte EDU statuisce su tale richiesta con riferimento alla plausibilità degli argomenti forniti. Mediante tale controllo, la Corte EDU sarebbe indotta a valutare le norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i suoi Stati membri, nonché i criteri di imputazione degli atti o delle omissioni di questi ultimi. A questo proposito, la Corte EDU potrebbe adottare una decisione definitiva che si imporrebbe sia agli Stati membri sia all’Unione. Permettere alla Corte EDU di adottare una decisione siffatta rischierebbe di pregiudicare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.

Del pari, la Corte si pronuncia sulla procedura di previo coinvolgimento della Corte stessa (8). Essa rileva in primo luogo che, a tal fine, il quesito se la Corte si sia già pronunciata su una questione di diritto identica a quella oggetto del procedimento dinanzi alla Corte EDU può essere risolto soltanto dall’istituzione competente dell’Unione, là dove la decisione di tale istituzione deve vincolare la Corte EDU. Infatti, permettere alla Corte EDU di statuire su una questione siffatta equivarrebbe ad attribuirle una competenza ad interpretare la giurisprudenza della Corte. Di conseguenza, tale procedura dovrebbe essere configurata in modo tale che, in qualsiasi causa pendente dinanzi alla Corte EDU, venga trasmessa un’informazione completa e sistematica all’Unione, affinché l’istituzione competente venga messa in condizione di valutare se la Corte si sia già pronunciata sulla questione di cui trattasi e, in caso negativo, di ottenere l’attuazione di detta procedura. In secondo luogo, la Corte osserva che il progetto di accordo esclude la possibilità di adire la Corte affinché questa si pronunci su una questione di interpretazione del diritto derivato mediante detta procedura. Una simile limitazione della portata di tale procedura alle sole questioni di validità pregiudica le competenze dell’Unione e le attribuzioni della Corte.

Infine, la Corte analizza le caratteristiche specifiche del diritto dell’Unione riguardo al controllo giurisdizionale in materia di politica estera e di sicurezza comune («PESC»). Sottolinea che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, taluni atti adottati nell’ambito della PESC sfuggono al controllo giurisdizionale della Corte. Una simile situazione inerisce alla configurazione delle competenze della Corte prevista dai Trattati e, in quanto tale, non può giustificarsi se non in virtù del solo diritto dell’Unione. Tuttavia, per effetto dell’adesione nei termini contemplati dal progetto di accordo, la Corte EDU sarebbe legittimata a pronunciarsi sulla conformità alla CEDU di determinati atti, azioni od omissioni posti in essere nell’ambito della PESC, e in particolare di quelli per i quali la Corte non ha competenza a verificare la loro legittimità in rapporto ai diritti fondamentali. Una simile situazione equivarrebbe ad affidare, per quanto riguarda il rispetto dei diritti garantiti dalla CEDU, il controllo giurisdizionale esclusivo degli atti, delle azioni o delle omissioni dell’Unione sopra citati ad un organo esterno all’Unione. Di conseguenza, il progetto di accordo lede le caratteristiche specifiche del diritto dell’Unione riguardo al controllo giurisdizionale degli atti, delle azioni o delle omissioni dell’Unione nel settore della PESC.

Alla luce dei problemi individuati, la Corte conclude che il progetto di accordo sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU non è compatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione."

(1) Il Consiglio d'Europa è stato istituito mediante un accordo internazionale firmato a Londra il 5 maggio 1949 ed entrato in vigore il 3 agosto successivo al fine di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri. Il suo scopo è di salvaguardare e di promuovere gli ideali e i principi del patrimonio comune dei suoi membri e di favorire il progresso economico e sociale in Europa. Attualmente sono membri del Consiglio d’Europa 47 Stati europei, tra cui figurano i 28 Stati membri dell’Unione europea.

(2) Parere della Corte del 28 marzo 1996 (2/94).

(3) Articolo 6, paragrafo 2, del Trattato UE.

(4) Protocollo (n. 8) relativo all’articolo 6, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

(5) Sono intervenuti in questo procedimento 24 Stati membri.

(6) Tale procedura è prevista dallo stesso progetto di accordo e mira a consentire alla Corte di essere coinvolta nelle cause sottoposte alla Corte EDU nelle quali vengano in discussione norme di diritto dell'Unione, riguardo alle quali però la Corte non abbia ancora fornito la propria interpretazione.

(7) Articolo 344 del Trattato FUE.

(8) V. nota n. 6.