A A+ A++
17/3/2014
Fotografia di un'insegna con la scritta "Conseil de l'Europe" con delle bandiere sovrastanti di alcuni degli stati membri.
Consiglio d'Europa

Comitato europeo dei diritti sociali: Italia condannata per insufficienti misure volte a garantire alle donne l’accesso ai trattamenti di interruzione volontaria della gravidanza

Con la decisione emessa in data 10 marzo 2014 in merito al reclamo n. 87/2012 (International Planned Parenthood Federation – European Network (IPPF EN) v. Italy), il Comitato europeo dei diritti sociali (ECSR) del Consiglio d’Europa ha dichiarato che l’art. 9 della l. 194/1978 - relativo al diritto di obiezione di coscienza del personale medico nei casi di interruzione volontaria di gravidanza - si pone in violazione degli articoli riguardanti il diritto alla protezione della salute (art.11) e alla non-discriminazione (parte V - articolo E) della Carta sociale europea riveduta.

Il reclamo, presentato dall’ONG internazionale International Planned Parenthood Federation European Netwrok (IPPF EN) contro l’Italia, chiamava il Comitato a pronunciarsi sulla compatibilità con la Carta sociale europea del quadro normativo italiano in materia di servizi di assistenza alla salute riproduttiva e sessuale, ed in particolare a valutarne la conformità sotto il profilo del rispetto del diritto alla tutela della salute.

Secondo le doglianze dei ricorrenti infatti, l’articolo 9 della l. 194/1978, sebbene preveda l’obbligo per strutture ospedaliere e Regioni di assicurare l’accesso alla pratica dell’aborto, non indica quali misure specifiche devono essere adottate al fine di garantire una adeguata presenza di personale medico non obiettore in tutti gli ospedali pubblici. Accogliendo i rilievi dell’ONG internazionale, il Comitato ha quindi concluso che il quadro giuridico di riferimento, combinato con l’elevato numero di medici obiettori presenti nelle strutture sanitarie del Paese, risulta in una compressione del diritto delle donne di ricorrere a trattamenti di interruzione di gravidanza contraria agli standard europei.

Sulla medesima questione, pur sollevando profili di incompatibilità parzialmente diversi, è attualmente al vaglio del Comitato un altro reclamo collettivo contro l’Italia presentato dalla CGIL (n. 91/2013).

Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha il compito di determinare se la normativa e la pratica degli Stati parte sia in conformità con le norme previste dalla Carta Sociale europea, dei suoi Protocolli e della Carta sociale europea (riveduta) del 1996. Esso esamina rapporti periodici presentati dagli Stati Parte e può ricevere reclami collettivi.