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12/7/2013
Persone con disabilità in carrozzella all'interno di una struttura ricreativa.
© UNESCO/Jouval, Frédérique

Corte di giustizia dell’UE: Italia condannata per inadempimento in tema di disabilità e lavoro

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGE) ha condannato lo Stato italiano (n° C-312/11 del 4 luglio 2013) per essere venuto meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

La pronuncia della Corte ha origine da un procedimento di infranzione avviato nei confronti dell'Italia dalla Commissione europea nel 2006 e culminato nel 2011 con il deferimento dell'Italia alla CGE per non aver correttamente recepito l'art 5 della direttiva in esame nella parte in cui dispone un obbligo per il datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per le persone con disabilità affinché queste possano avere accesso al lavoro e usufruire di progressioni di carriera.

Secondo la Commissione, in particolare, contrariamente a quanto prescritto dalla normativa europea, le disposizioni italiane concernenti il trattamento delle persone disabili in materia di occupazione (tra cui la l. 68/1999) circoscrivono la tutela solo ad alcune tipologie di disabilità specificamente individuate, non gravano su tutti i datori di lavoro e non riguardano neppure tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro.

Accogliendo i rilievi della Commissione, la CGE ha concluso che le varie misure adottate dall'Italia per l’inserimento professionale delle persone con disabilità, anche ove valutate nel loro complesso, non impongono a tutti i datori di lavoro l’adozione di provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutte le persone con disabilità, che riguardino i diversi aspetti delle condizioni di lavoro e consentano loro di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione. Non avendo correttamente recepito l'art. 5 della direttiva 2000/78/CE, l'Italia ha quindi violato il diritto dell'Unione.

A prescindere dal merito della sentenza, particolarmente significativo è il fatto che la Corte, nel rilevare l'assenza di una definizione di disabilità nell'ambito della direttiva 2000/78/CE, statuisce che il termine "disabile" ivi contenuto vada interpretato come comprendente tutte le persone affette da una disabilità così come questa è definita nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.