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La costituzione della Bosnia Erzegovina riserva ai soli appartenenti ai tre "popoli costituenti" la partecipazione a organi legislativi e di governo: ciò comporta violazione dei diritti umani. Il caso Sejdić e Finci, 22 dicembre 2009.

Autore: Paolo De Stefani

Il Preambolo della Costituzione della Bosnia Erzegovina distingue i cittadini in due categorie: gli appartenenti ai popoli costituenti (bosgnacchi, croati e serbi) e gli altri (rom, ebrei... persone che non dichiarano alcuna appartenenza etnica).

La composizione di alcuni importanti organi costituzionali dello stato è riservata agli appartenenti ai tre "popoli costituenti": la Camera dei popoli dell'Assemblea parlamentare (una specie di senato o camera alta) e la Presidenza. La prima è un organo con significativi poteri in campo legislativo, composto da 15 membri, dieci  (cinque croati e cinque bosgnacchi) designati dai Delegati croati e bosgnacchi alla Camera di popoli della Federazione, a loro volta nominati dai parlamenti dei dieci Cantoni in cui si divide la Federazione; cinque (serbi) eletti dal parlamento della Repubblica srbska. La Presidenza è un organo collegiale formato da tre persone, appartenenti ai tre popoli: il membro croato e quello bosgnacco sono eletti dai cittadini della federazione; quello serbo dai cittadini della Repubblica.

I ricorrenti lamentano il fatto che, non riconoscendosi in alcuno dei tre popoli, essi risultano esclusi dalla possibilità di essere selezionati per entrare nella Camera dei popoli, anche qualora fossero eletti ai parlamenti cantonali. Ciò è in violazioned ell'art. 3 del Protocollo 1 alla CEDU, e costituisce quindi anche violazione dell'art. 14 della CEDU. Gli stessi non potrebbero nemmeno concorrere all'elezione a membro della Presidenza collegiale: in questo caso non potrebbe trattarsi di violazione dell'art. 3 del Protocollo (che riguarda gli organi legislativi) e quindi nemmeno dell'art. 14 (che si riferisce alle sole discriminazioni nel godimento dei diritti riconosciuti dalla CEDU). In questo caso i ricorrenti invocano l'art. 1 del Protocollo 12, che impegna gli stati a garantire il godimento senza discriminazioni di ogni diritto disposto da una legge.

I ricorrenti, Sejdic e Finci, sono rispettivamente osservatore sulla condizione dei Rom in Bosnia per conto della Missione OSCE e ambasciatore della Bosnia in Svizzera. 

Nel 2006 il caso è stato portato davanti ad una camera della Corte europea, che però ha disposto il deferimento dal caso alla Grand Chamber.

La Corte riconosce che il sistema costituzionale e politico basato sulle "quote" nazionali era funzionale, nel 1995, a favorire l'uscita dal conflitto. Successivamente però le cose sono migliorate, come è dimostato dall'adesione della Bosnia Erzegovina all'Onu e al Consiglio d'Europa, dalla ratifica della CEDU, dalla ratifica del trattato di stabilizzazione e associazione con l'Unione Europea. La Corte concorda con il governo, il quale ritiene che il paese non sia ancora pronto ad abbandonare completamente il sistema delle "quote; essa tuttavia ritiene ci siano strumenti per mantenere la compartecipazione al potere dei tre popoli che non comportino la discriminazione dei cittadini che non si riconoscono in alcuno di essi.

In conclusione, la Grand Chamber, con 14 voti contro tre, dichiara che vi è violazione dell'art. 3 del Protocollo 1 in congiunzione con l'art. 14 della CEDU e, con una maggioranza di 16 a uno, che vi è stata violazione dell'art. 1 del Protocollo 12.

 La sentenza ribadisce l'insostenibilità dell'attuale assetto politico-costituzionale della Bosnia Erzegovina ed è un ulteriore stimolo a modificarlo in senso democratico. Essa rappresenta inoltre la prima applicazione giudiziaria del principio generale di non discriminazione contenuto del Protocollo 12.

Aggiornato il

4/1/2010