Giustizia climatica 1 - Lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo

Sommario
- Crisi climatica e combustibili fossili
- Il ritardo della governance climatica globale e la necessità di lasciare i combustibili fossili sottoterra
- L’iniziativa Yasuní-ITT e le implicazioni sulla giustizia di lasciare i combustibili fossili sottoterra
- Dalla yasunízzazione verso un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili
- Per approfondire
- Riferimenti
Crisi climatica e combustibili fossili
Le emissioni derivanti dall'uso dei combustibili fossili per alimentare il nostro sistema energetico costituiscono la principale causa dell'attuale crisi climatica.
Nel 1997, il fisico e climatologo Bill Hare pubblicò un articolo intitolato “Fossil Fuels and Climate Protection”, in cui evidenziava come le riserve di combustibili fossili conosciute all'epoca, se bruciate, avrebbero rilasciato almeno il doppio della quantità di CO2 compatibile con le capacità di assorbimento dell’atmosfera per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. Lo studio di Hare può essere considerato il primo di una serie su quello che è il concetto di unburnable carbon, ovvero la quantità di risorse di petrolio, gas e carbone che devono restare nel sottosuolo per evitare di oltrepassare soglie di aumento delle temperature medie globali considerate critiche per la stabilità climatica del pianeta.
Negli anni successivi, la ricerca sull’ unburnable carbon si è sviluppata ulteriormente. Gli studi di McGlade ed Ekins (2015) e di Welsby e colleghi (2021), entrambi pubblicati sulla rivista scientifica Nature, rappresentano due pietre miliari su questo tema.
Nel primo studio, sono stimate per la prima volta le quantità precise di riserve di petrolio, gas e carbone da non bruciare (e quindi da non estrarre) entro il 2050 per garantire che il riscaldamento globale non superi i 2°C. I risultati mostrano che il 35% del petrolio, il 52% del gas e l'88% del carbone devono rimanere nel sottosuolo e che il carbon budget a disposizione dell’umanità per le sue mete climatiche è molto inferiore rispetto a quelle che sono le traiettorie di produzione previste.
Nel secondo studio, Welsby e colleghi aggiornano le stime di McGlade ed Ekins, considerando il limite di 1,5°C di aumento delle temperature globali stabilito dagli Accordi di Parigi nel 2015, considerato una soglia molto più sicura rispetto all'obiettivo precedente di 2°C. Essendo l’obiettivo più ambizioso, il carbonio inutilizzabile aumenta: circa due terzi di petrolio e gas e l’89% del carbone a livello globale devono rimanere nel sottosuolo per evitare gli effetti più catastrofici della crisi climatica.
Il ritardo della governance climatica globale e la necessità di lasciare i combustibili fossili sottoterra
Nonostante il legame tra combustibili fossili e cambiamento climatico sia ampiamente riconosciuto da più di 40 anni, in particolare a partire dalla creazione dell'IPCC nel 1988, la governance climatica internazionale si è mostrata in gravissimo ritardo nell'integrare le politiche di regolamentazione dei combustibili fossili con quelle sul clima.
Solo nel 2021, durante la 26ª Conferenza delle Parti (COP26) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, tenutasi a Glasgow, i combustibili fossili vengono menzionati per la prima volta in una dichiarazione finale, con l’impegno ad avviare il phase-down dell’energia a carbone non mitigata. Inoltre, solo nel 2023, durante la controversa COP28 di Dubai, le parti hanno raggiunto un accordo per avviare una transizione giusta dai combustibili fossili.
L’urgenza di avviare una reale discussione su come distribuire equamente la produzione e il consumo delle rimanenti riserve fossili in modo compatibile con le soglie di stabilità climatica non sta trovando ancora un effettivo riscontro tra i governi.
Considerati gli attuali livelli globali di domanda e offerta, in assenza di adeguati meccanismi di regolamentazione dei combustibili fossili, l’umanità è destinata ad andare incontro alle gravi conseguenze del cambiamento climatico. Per fare fronte a questo problema, finora l’azione dei governi si è concentrata sostanzialmente sulla riduzione della domanda, cercando di sostituire i combustibili fossili con fonti alternative e delegando gran parte degli sforzi di mitigazione al mercato: una logica che si sta rivelando troppo lenta e insufficiente rispetto alla portata degli interventi necessari. Pertanto, al fine di rispettare il carbon budget a nostra disposizione, la sola riduzione della domanda non è sufficiente, ma è necessario limitare la quantità di riserve estratte pianificando globalmente una rapida, ordinata e giusta uscita dalla produzione fossile. In sostanza, sono necessari meccanismi e regolamentazioni che garantiscano che una parte significativa delle attuali riserve fossili rimanga nel sottosuolo, sulla base di criteri di giustizia ed equità.
Un’esperienza emblematica a questo riguardo fu l’iniziativa Yasuní-ITT in Ecuador del 2007.
L’iniziativa Yasuní-ITT e le implicazioni sulla giustizia di lasciare i combustibili fossili sottoterra
Nel 2007, il governo ecuadoriano lancia l’Iniziativa Yasuní-ITT con l’idea rivoluzionaria di lasciare nel sottosuolo il petrolio della riserva della biosfera UNESCO Yasuní, situata nella regione amazzonica ecuadoriana, al fine di preservare la biodiversità e i diritti delle Popolazioni Indigene che la abitano e, allo stesso tempo, mitigare gli effetti del cambiamento climatico prevenendo le emissioni di CO2 derivanti dall’uso del petrolio estratto.
In particolare, l’iniziativa proponeva di non sfruttare le riserve petrolifere del giacimento Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT, da cui prende nome) in cambio di un’adeguata compensazione monetaria da parte della comunità internazionale. Questi fondi sarebbero stati poi destinati a promuovere percorsi di transizione energetica giusta e di sviluppo territoriale sostenibile nella regione, con al centro la conservazione della biodiversità e la tutela dei diritti delle Popolazioni Indigene.
Nonostante l’ambiziosa proposta, l’iniziativa raccolse solamente 200 milioni di dollari, una cifra significativa ma ben lontana dai 3,6 miliardi di dollari ritenuti un compenso adeguato, pari a circa la metà delle entrate previste dallo sfruttamento delle riserve stimate, che ammontavano a circa il 20% delle riserve totali dell’Ecuador.
Inquadramento dell’ Amazzonia ecuadoriana, la Riserva della Biosfera Yasuní e la concessione ITT
Nel 2013, il mancato raggiungimento dell'obiettivo finanziario portò il governo ecuadoriano a dichiarare il fallimento dell'iniziativa e ad abbandonare definitivamente il progetto.
Nel 2016, furono avviate le operazioni di estrazione nella riserva, portando con sé ferite irreversibili alla biodiversità e ai diritti dei Popoli Indigeni più vulnerabili, tra cui i Waorani e il popolo non-contattato Tagaeri-Taromenane, che abita la Zona Intangibile (ZITT) dedicata al loro diritto all’autodeterminazione.
Nel 2023, grazie soprattutto all’impegno della società civile e dei movimenti indigeni contrari allo sviluppo petrolifero, la Corte costituzionale approvò un referendum per mantenere il crudo sottoterra nella concessione ITT. Il referendum, tenutosi nell' agosto dello stesso anno, sancì la vittoria del “Sì” che domandava la cessazione delle operazioni di estrazione.
La Riserva della Biosfera e la zona Intangibile Tagaeri-Taromenane, la “gabbia petrolifera” nella quale sono costretti i popoli non contattati.
L'iniziativa Yasuní-ITT solleva almeno tre questioni rilevanti legate alle molteplici dimensioni della giustizia nell'idea di lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo.
La prima questione riguarda il lascito dell’iniziativa, riassunto nel concetto di Yasunizacion, ovvero “l’azione dal basso per costruire una alternativa alla petrocultura basata sulle culture indigene, sui diritti umani e ambientali per una giustizia climatica multiscalare” (De Marchi et al 2023).
L’iniziativa mette dunque in evidenza la sfida del "dove" lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo mostrando come da un lato esista una transizione “tecnica” o del "quando", come quella roboante dello “zero netto entro il 2050" e dall’altro lato, quello meno osservato e studiato, una transizione più inclusiva e partecipata, una transizione delle persone, dei luoghi e degli ecosistemi. Quest’ultima visione pone l'accento su una giustizia che riconosce l'importanza di proteggere ciò che vive sopra la terra e dove si colloca, una giustizia spaziale e ambientale, in contrapposizione alla visione petro-capitalista che si concentra esclusivamente su ciò che si trova sottoterra e il suo intensivo sfruttamento.
Nonostante la crescente richiesta di una transizione equa e giusta dai combustibili fossili, la produzione globale di petrolio e gas è aumentata progressivamente negli ultimi anni. Gli effetti devastanti dell’estrattivismo fossile (e non solo) si riversano direttamente sui territori dove queste attività avvengono e sulle comunità che li abitano, generando le "zone di sacrificio".
Scene di vita quotidiana in una zona di sacrificio: a El Eno, nella provincia di Sucumbíos, in Ecuador, un gruppo di bambini gioca in una scuola situata accanto a una piattaforma petrolifera, dove avviene il gas flaring (maggio 2019). Successivamente, la scuola è stata chiusa e trasferita altrove.
La seconda questione sollevata dall'iniziativa riguarda le attuali criticità nella cooperazione tra il Nord e il Sud globale e la necessità di un ruolo più centrale della giustizia climatica nelle discussioni tra paesi. Come sottolineato da Leferna (2018), l'iniziativa fu innovativa perché una delle prime proposte governative a includere una visione di giustizia climatica nella produzione di combustibili fossili a livello globale. Sosteneva che il mondo sviluppato, essendo stato il principale responsabile della crisi climatica a causa di un uso sproporzionato delle risorse fossili, aveva l'obbligo di aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre la loro dipendenza da tali risorse, secondo la logica di giustizia distributiva riconosciuta dal principio delle responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità (Earth Summit 1992). Nonostante questa visione innovativa, la risposta della comunità internazionale fu debole e caratterizzata da una scarsa volontà di pagare per mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo, con solo pochi paesi del Nord Globale propensi a contribuire alla compensazione.
Infine, la terza questione riguarda un cambio di prospettiva rispetto alla crisi climatica e al collasso della biosfera, offrendo nuovo slancio alla ricerca e ai movimenti che mirano a mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo. Studi come quelli di McGlade ed Ekins, e di Welsby e colleghi ci ricordano che non è possibile immaginare un sistema terra stabile, sicuro e giusto dal punto di vista climatico e ambientale senza che una significativa quantità di combustibili fossili venga lasciata sottoterra. Ecco, dunque, che l’iniziativa pone anche una questione di giustizia eco-sociale e di stabilità del Pianeta Terra: lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo diventa necessario al fine di rispettare i “safe and just Earth system boundaries” definiti da Rockström e colleghi nel 2023. L'iniziativa Yasuní-ITT evidenzia così la necessità di una transizione (o meglio, una trasformazione) che ridefinisca il concetto di sviluppo e sostenibilità globale. Tale trasformazione dovrà tenere conto dei principi di intersezionalità, di giustizia intergenerazionale tra “passato e presente” e tra “presente e futuro” , di giustizia intragenerazionale tra individui, comunità e paesi e di giustizia interspecie.
Dalla yasunízzazione verso un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili
A seguito dell'iniziativa Yasuní-ITT, proposte di compensazione per la rinuncia allo sfruttamento delle risorse fossili non hanno guadagnato molta trazione globalmente. Tuttavia, alcuni Paesi hanno adottato volontariamente delle moratorie sull'estrazione per ragioni ambientali, climatiche, sociali ed economiche (Greene e Carter 2024).
Una delle proposte più strutturate a farsi carico dell’eredità della Yasunizzazione è attualmente l’iniziativa della società civile per un Trattato di Non-Proliferazione dei Combustibili Fossili. L’iniziativa promuove la ratifica da parte della governance climatica di un trattato vincolante per pianificare globalmente l’abbandono delle fonti fossili e si fonda su tre principi chiave: la non proliferazione, il disarmo e una transizione giusta e pacifica. La non proliferazione prevede il divieto di nuove concessioni per estrarre combustibili fossili, mentre il disarmo prevede la graduale riduzione dell'estrazione esistente e la chiusura degli impianti operativi; infine, il terzo principio promuove una transizione giusta basata sulla cooperazione tra paesi e a scala locale (Newell e Simms 2020).
Pur essendo ancora nei suoi primi passi, l’iniziativa ha già ricevuto il sostegno di tredici stati, tra cui la Colombia, nazione amazzonica vicina dell’Ecuador e uno dei principali produttori mondiali di petrolio. Attorno a questo nucleo, si auspica possa costruirsi un consenso più ampio a favore di queste politiche per la regolamentazione dei combustibili fossili, che non sono altro che politiche per garantire la tutela del pianeta, la giustizia e i diritti umani.
Per approfondire
Codato D., Peroni F., De Marchi M. (2024), “The multiple injustice of fossil fuel territories in the Ecuadorian Amazon: Oil development, urban growth, and climate justice perspectives”, Landscape and Urban Planning, 241:104899
Codato D., Pappalardo S., Caldart S., Marcozzi A., Saitta R., Zanatta M., Diantini A., Ferrarese F., Gianoli F., De Marchi M. (2016), "Yasunization of the Earth: from the case of Amazon basin towards a world atlas of unburnable carbon". In: Proceedings of Third European SCGIS. p. 103-113, Space Research and Technology Institute – Bulgarian Academy of Sciences, Sofia, Bulgaria, October 11-12, 2016
Codato D., Pappalardo S.E., Diantini A., Ferrarese F., Gianoli F., De Marchi M. (2019), “Oil production, biodiversity conservation and indigenous territories: Towards geographical criteria for unburnable carbon areas in the Amazon rainforest”, Applied Geography 102, pp., 28–38
Crescini E., Codato D., Facchinelli F., Pappalardo S. (2024), Il Trattato di Non-Proliferazione dei Combustibili Fossili (FFNPT): percorsi plurali dal basso di Phasing Out, in V. Bini, V. Capocefalo, S. Rinauro (a cura di), Geografia e ecologia politica: teorie, pratiche, discorsi, Società di Studi Geografici. Memorie geografiche NS 24, 2024, pp. 391-396
De Marchi M., Codato D., Facchinelli F., Diantini A., Crescini E., Della Fera G., Pappalardo S. (2023), Lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo: politiche per la giustizia climatica, Etica per le professioni 1/2023, pp. 27-35
De Marchi M. (2024) Lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo: moltitudini multisituate della yasunizzazione, in V. Bini, V. Capocefalo, S. Rinauro (a cura di), Geografia e ecologia politica: teorie, pratiche, discorsi, Società di Studi Geografici. Memorie geografiche NS 24, 2024, pp. 45-56
Facchinelli F., Pappalardo S.E., Della Fera G., Crescini E., Codato D., Diantini A., Moncayo Jimenez D.R., Fajardo Mendoza P.E., Bignante E., De Marchi M. (2022), “Extreme citizens science for climate justice: linking pixel to people for mapping gas flaring in Amazon rainforest”, Environmental Research Letters,17 (024003)
Narvaez I., De Marchi M., Pappalardo S.E. (2013), Yasuní zona de sacrificio, Análisis de la iniciativa ITT y los derechos colectivos indígenas, FLACSO Ecuador, Quito
Vezzelli D., Codato D., Crescini E. (2024), Unburnable carbon per la giustizia climatica: una proposta di criteri per una transizione equa e giusta dai combustibili fossili, in V. Bini, V. Capocefalo, S. Rinauro (a cura di), Geografia e ecologia politica: teorie, pratiche, discorsi, Società di Studi Geografici. Memorie geografiche NS 24, 2024, pp. 429-435
Riferimenti
Greene, S., Carter, A. V. (2024), From national ban to global climate policy renewal: Denmark’s path to leading on oil extraction phase out. International Environmental Agreements: Politics, Law and Economics, 24(1), pp. 121–139. https://doi.org/10.1007/s10784-024-09625-1
Greenpeace (1997), Fossil fuels and climate protection: the carbon logic, Paesi Bassi, Amsterdam, https://www.greenpeace.to/greenpeace/wp-content/uploads/2019/09/FOSSIL-FUELS-AND-CLIMATE-PROTECTION-THE-CARBON-LOGIC-1997.pdf
Lenferna, G. A. (2018), Can we equitably manage the end of the fossil fuel era? Energy Research & Social Science, 35, pp. 217–223. https://doi.org/10.1016/j.erss.2017.11.007
McGlade, C., Ekins, P. (2015), The geographical distribution of fossil fuels unused when limiting global warming to 2 °C. Nature, 517(7533), pp. 187–190. https://doi.org/10.1038/nature14016
Newell, P., Simms, A. (2020), Towards a fossil fuel non-proliferation treaty. Climate Policy, 20(8), pp. 1043–1054. https://doi.org/10.1080/14693062.2019.1636759
Rockström, J., Gupta, J., Qin, et al. (2023), Safe and just Earth system boundaries. Nature, 619(7968), p. 102–111. https://doi.org/10.1038/s41586-023-06083-8
Welsby, D., Price, J., Pye, S., Ekins, P. (2021), Unextractable fossil fuels in a 1.5 °C world. Nature, 597(7875), https://doi.org/10.1038/s41586-021-03821-8