Decisioni del Comitato per i Diritti Umani nel 2022: i dinieghi della cittadinanza italiana sollevano interrogativi su discriminazione e sicurezza nazionale

Sommario
- Introduzione
- Caso 1: M.A.S. e I.E.J. c. Italia
- Caso 2: A.Y.O.AQ c. Italia
- Argomentazioni giuridiche
- La risposta dell’Italia
- Le osservazioni del Comitato per i Diritti Umani
- Conclusione
Introduzione
Due comunicazioni sono state sottoposte all’attenzione del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite riguardanti il diniego della cittadinanza italiana. In entrambi i casi – M.A.S. e I.E.J. c. Italia e A.Y.O.AQ c. Italia – i ricorrenti, cittadini giordani residenti in Italia da lungo tempo e formalmente in possesso dei requisiti per la naturalizzazione, hanno denunciato violazioni del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) in seguito al rigetto delle loro domande.
Le questioni sollevate riguardano il diritto alla vita privata e familiare, il principio di non discriminazione, la presunzione di innocenza e il diritto a un rimedio effettivo in tempi ragionevoli. In entrambe le comunicazioni, è centrale l’argomento secondo cui il diniego sarebbe stato motivato non da condotte personali, bensì da considerazioni legate ai rispettivi coniugi.
Sebbene il Comitato abbia dichiarato le comunicazioni inammissibili per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, i casi sollevano interrogativi rilevanti circa la conformità delle prassi nazionali in materia di cittadinanza con gli standard internazionali in tema di diritti umani.
Caso 1: M.A.S. e I.E.J. c. Italia
Il 3 maggio 2018, M.A.S. e I.E.J., entrambi cittadini giordani residenti in Italia da decenni, hanno sottoposto al Comitato una comunicazione per contestare il rifiuto delle rispettive domande di cittadinanza.
M.A.S., moglie di I.E.J., aveva presentato la domanda il 12 marzo 2010 e ricevuto risposta negativa il 3 febbraio 2014. Il diniego, emesso dal Ministero dell’Interno, si fondava su procedimenti penali “particolarmente gravi” a carico del marito, considerati indicativi di “inaffidabilità” e di mancata integrazione nella comunità nazionale.
M.A.S. ha sostenuto che la decisione fosse discriminatoria e fondata esclusivamente sulla posizione del coniuge, senza alcuna valutazione delle sue circostanze personali. Ha lamentato una discriminazione di genere e di stato civile, in violazione dell’articolo 26 del Patto, oltre alla violazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 17) e a un processo equo in tempi ragionevoli.
I.E.J., a sua volta, ha ricevuto tre dinieghi tra il 2015 e il 2018, motivati da presunti rischi per la sicurezza nazionale. Sebbene un primo diniego fosse stato annullato in via straordinaria, la nuova domanda è stata respinta malgrado una sentenza di assoluzione e un’ammissione di errore da parte del Ministero. Ha denunciato la violazione della presunzione di innocenza (art. 14(2)) e del diritto alla vita privata e familiare (art. 17).
Caso 2: A.Y.O.AQ c. Italia
A.Y.O.AQ, cittadina giordana residente in Italia dal 1999 e docente universitaria, ha presentato domanda di cittadinanza nel 2014. Sebbene in possesso di tutti i requisiti legali, la sua richiesta è stata respinta nel 2016 per via delle presunte attività del marito, ritenute incompatibili con la sicurezza nazionale.
La ricorrente ha sottolineato che non le è stata attribuita alcuna responsabilità personale e che non è mai stata sentita nel corso del procedimento. Ha denunciato violazioni degli articoli 17 e 26 del Patto, nonché l’irragionevole durata del processo davanti al TAR del Lazio, sostenendo che non vi fossero rimedi effettivi disponibili a livello nazionale.
Argomentazioni giuridiche
In entrambe le comunicazioni, si lamentano:
- Violazioni del diritto alla privacy e alla vita familiare (art. 17 ICCPR);
- Discriminazioni basate sul genere e sullo stato civile (art. 26 ICCPR);
- Violazione del principio di presunzione di innocenza (art. 14(2) ICCPR);
- Eccessiva durata dei procedimenti interni (art. 5(2)(b) del Primo Protocollo Opzionale).
In entrambi i casi, il rifiuto della cittadinanza è stato motivato da ragioni di sicurezza collegate ai coniugi, senza che vi fossero elementi concreti relativi al comportamento personale dei richiedenti.
La risposta dell’Italia
Lo Stato italiano ha invocato l’ampio margine discrezionale in materia di cittadinanza e il prevalere dell’interesse alla sicurezza nazionale su esigenze individuali. Ha inoltre affermato che i ricorrenti avrebbero avuto accesso a rimedi giurisdizionali effettivi a livello interno, e che le eventuali lungaggini erano dovute anche a loro scelte processuali.
Nel caso M.A.S. e I.E.J. c. Italia, il governo ha sostenuto che non tutti i rimedi erano stati esauriti, poiché i ricorrenti non avevano presentato appello al Consiglio di Stato. Inoltre, ha rilevato che M.A.S. non aveva attivato tempestivamente iniziative per accelerare il giudizio.
Le osservazioni del Comitato per i Diritti Umani
Il Comitato ha dichiarato entrambe le comunicazioni inammissibili per mancato esaurimento dei rimedi interni, sottolineando che i dubbi sull’efficacia dei rimedi non esonerano dall’obbligo di percorrerli.
Tuttavia, ha espresso preoccupazione per:
- L’assenza di una valutazione individuale separata dal coniuge;
- Il possibile uso discriminatorio delle norme sulla cittadinanza;
- I ritardi eccessivi che compromettono il diritto a una decisione equa e tempestiva.
Conclusione
I casi M.A.S. e I.E.J. c. Italia e A.Y.O.AQ c. Italia mettono in luce la tensione tra le prerogative statali in materia di cittadinanza e il rispetto degli obblighi internazionali in tema di diritti umani.
Sebbene lo Stato conservi un margine di discrezionalità, questo deve esercitarsi nel rispetto dei principi di non discriminazione, presunzione di innocenza e diritto a un giusto processo. La mancata valutazione delle circostanze individuali e la dipendenza da elementi legati ai coniugi pongono serie questioni di equità e legittimità.
Infine, i casi evidenziano la necessità di riforme che rendano i procedimenti amministrativi più rapidi ed equi, e ribadiscono l’importanza del pieno esaurimento dei rimedi interni per l’ammissibilità dei ricorsi dinanzi agli organi internazionali.