Corte penale internazionale

Il Procuratore della Corte penale internazionale chiede di deferire l’Italia all’Assemblea degli Stati Parti e al Consiglio di Sicurezza per la mancata cooperazione nel caso Almasri

Karim Khan, Procuratore della Corte penale internazionale
© UN Photo/Loey Felipe

Sommario

  • Il mandato di cattura e l’arresto di Almasri in Italia
  • La scarcerazione e l’espulsione verso la Libia
  • L’inadempimento dell’Italia dell’obbligo di cooperare con la CPI
  • Un grave impedimento all’esercizio delle funzioni e dei poteri della CPI
  • Incoraggiare l’Italia a rispettare il propri obblighi verso la CPI

Il 21 febbraio 2025, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Karim Khan, ha richiesto alla Camera preliminare della Corte di emettere una formale decisione di inadempimento da parte dell’Italia del suo dovere di cooperazione con la CPI, in relazione al mancato arresto del ricercato Osama Elmasri (o Almasri) Njeem, l’alto ufficiale libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Tale decisione potrebbe implicare il deferimento dell’Italia all’Assemblea degli stati che aderiscono alla CPI o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a cui spetterà prendere eventualmente misure di censura nei riguardi dello stato italiano.

Il mandato di cattura e l’arresto di Almasri in Italia

L’art. 87.7 dello Statuto di Roma istitutivo della CPI dispone che “[s]e uno Stato Parte non aderisce ad una richiesta di cooperazione della Corte, diversamente da come previsto dal presente Statuto, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri in forza del presente Statuto, la Corte può prenderne atto ed investire del caso l'Assemblea degli Stati Parte o il Consiglio di sicurezza se è stata adita da quest'ultimo.”

Nella sua richiesta, il Procuratore puntualizza una serie di fatti da cui si ricava che le autorità italiane hanno mancato di collaborare con la CPI nella cattura di Almasri. 

In primo luogo, il documento ricorda che la richiesta di arrestare Almasri era stata presentata ai giudici della CPI (Camera preliminare I, presidente Julia Motoc) il 2 ottobre 2024 e aggiornata il 9 ottobre successivo. La richiesta non era stata resa pubblica per non avvantaggiare il sospetto. Con essa si chiedeva l’autorizzazione alla perquisizione, alla cattura e all’arresto del cittadino libico nonché all’accertamento, tracciamento, congelamento o confisca di fondi e beni del sospetto.

Il mandato d’arresto, insieme a un ordine per la perquisizione e la acquisizione di ogni elemento di prova, compresi dispositivi (telefoni cellulari, computer o altro) appartenenti al sospettato, è stato emesso dalla Camera preliminare il 18 gennaio 2025. Lo stesso giorno, la Cancelleria della CPI ha inviato due email al governo italiano, di cui una all’autorità ufficialmente preposta a gestire le comunicazioni tra lo Stato e la CPI, ovvero l’ambasciata italiana all’Aia. Le informazioni in una delle lingue ufficiali della CPI (inglese e francese) comprendevano anche testi in arabo da comunicare alla persona da arrestare. L’arresto di Amasri è stato effettuato, come noto, a Torino, il 19 gennaio. 

La scarcerazione e l’espulsione verso la Libia

Il documento del Procuratore richiama anche una serie di altri contatti avvenuti tra la CPI e le autorità italiane tra il 19 e il 21 gennaio, su cui però non vengono forniti dettagli, visto che sul punto è in corso una controversia con il governo italiano. Il documento del Procuratore riporta la nota diramata dal Ministero della Giustizia alle ore 16.04 del 21 gennaio, secondo la quale il Ministero stava considerando la trasmissione della richiesta di arresto alla Procura di Roma (come prevede la legge 237/2012 sulla cooperazione tra Stato italiano e CPI), osservando tuttavia che, stando alle informazioni fornite sulla piattaforma di X dal giornalista Sergio Scandura, il volo di stato che avrebbe portato Almasri da Torino a Tripoli risultava già partito quello stesso giorno dall’aeroporto di Roma Ciampino alle 11:14. Nel frattempo, su richiesta dell’avvocato di Almasri, la Corte d’appello di Roma disponeva il rilascio di Almasri, poiché l’arresto era stato effettuato senza la “interlocuzione” tra Ministro della Giustizia e Procura presso la Corte d’appello di Roma, prescritta dalla legge 237/2012. Poiché nessun’altra attività era stata compiuta dal Ministero per dare esecuzione al mandato internazionale di arresto, nonostante la sollecitazione in questo senso fatta dalla stessa Corte il 20 gennaio, cioè appena dopo essere stata informata dalla Questura di Torino dell’avvenuto arresto del ricercato, la Corte ordinava la scarcerazione di Almasri. La sera dello stesso giorno, poco dopo le 21, Almasri scendeva dal Falcon900 dell’aviazione italiana nell’aeroporto di Tripoli. La sua immediata espulsione dall’Italia era stata disposta infatti sulla base dell’art. 13.1 del Testo Unico sull’Immigrazione. Tale norma dispone che “[p]er motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri.”

Poiché il mandato d’arresto comunicato alle autorità italiane il 18 gennaio conteneva degli errori, una nuova versione è stata emessa dalla Camera preliminare I della CPI il 24 gennaio e subito resa pubblica. Il 17 gennaio, la Camera segnalava che la vicenda potrebbe comportare una carenza di cooperazione tra Italia e CPI secondo quanto previsto dall’art. 87.7 dello Statuto di Roma e invitava pertanto lo stato Italiano a fornire spiegazioni, come prevede l’art. 109 del Regolamento della CPI, fissando un termine di trenta giorni.

L’inadempimento dell’Italia dell’obbligo di cooperare con la CPI

Dopo avere ricostruito I fatti in questi termini, il Procuratore chiede dunque ai tre giudici della Camera preliminare di rinviare l’Italia alla Assemblea degli stati parti della Convenzione istitutiva della CPI e/o al Consiglio di sicurezza, ritenendo che il governo Italiano è venuto meno all’obbligo di cooperazione con la CPI e, così facendo, ha impedito alla CPI di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri.

L’Italia infatti ha ratificato lo Statuto di Roma nel 1999 ed è quindi tenuta a osservare gli obblighi di cooperazione con la CPI stabiliti, tra l’altro, dall’art. 87. Il possibile ruolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è legato al fatto che le indagini della CPI sui crimini internazionali che si commettono in Libia, compresi quelli per cui è ricercato Almasri, sono riconducibili alla situazione deferita alla giurisdizione della CPI dal Consiglio di sicurezza con Risoluzione 1970/2011. 

Sul primo punto, sul fatto cioè che non ci sia stata adeguata attuazione dell’obbligo di cooperare, il Procuratore segnala che la trasmissione alle autorità italiane del mandato d’arresto è avvenuta secondo le procedure previste il 18 gennaio. Se, come dichiara il Ministero della Giustizia, l’informazione è pervenuta al ministro solo il 20, ciò può essere dipeso da qualche difetto di coordinamento, ma non può certo escludere la violazione della norma internazionale. Il Procuratore non commenta la correttezza o meno della decisione della Corte d’appello di Roma di non convalidare l’arresto di Almasri operato dalla polizia di Torino (anche se cita le opinioni di numerosi giuristi che non concordano con l’interpretazione della legge 237/2012 data dai giudici romani), ma sottolinea che nelle ore e giorni successivi all’arresto (ritenuto illegittimo) di Almasri, ci sarebbe stata la possibilità di attuare quanto richiede l’art. 4 della legge 237/2012: “Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione”. Tuttavia, nessuna trasmissione di atti è avvenuta dal Ministero alla Procura generale presso la Corte d’appello di Roma.

Il Procuratore richiama anche alcuni passaggi delle dichiarazioni rese dal Ministro della Giustizia nella sua audizione in Parlamento del 5 febbraio, in cui si fa riferimento ad alcune “perplessità” relative ai contenuti del mandato d’arresto ricevuto il 18 gennaio (ma preso in esame solo il 20 gennaio). Queste riguardavano la mancata precisa indicazione del momento in cui i reati imputati ad Almasri sarebbero stati commessi e riprendevano le argomentazioni della giudice María del Socorro Flores Liera, che aveva votato contro l’emissione del mandato d’arresto stesso. Il Procuratore, pur ritenendo inconferenti i dubbi adombrati dal Ministro, nota che nelle svariate occasioni in cui tra il 20 e il 21 gennaio la CPI aveva contattato le autorità italiane (i contatti sono debitamente riportati ma secretati nella versione pubblicata dell’atto), queste ultime non avevano né sollevato né cercato di risolvere attraverso consultazioni, i problemi successivamente evidenziati, nonostante l’art. 97 dello Statuto di Roma preveda espressamente che “[q]uando uno Stato Parte, investito di una richiesta […], constata che la stessa solleva difficoltà che potrebbero intralciarne o impedirne l'esecuzione, esso consulta senza indugio la Corte per risolvere il problema.”

Infine, il Procuratore stigmatizza la scelta del governo italiano di procedere all’immediato rimpatrio del ricercato, giustificata con l’estrema pericolosità del soggetto. L’espulsione è stata eseguita, ancora una volta, senza alcuna consultazione con la CPI. Se, come ha dichiarato il Ministro dell’Interno in occasione dell’audizione parlamentare del 5 febbraio, “La predisposizione dell’aereo [che avrebbe rimpatriato Almasri la sera dello stesso giorno] già la mattina del 21 gennaio rientra tra [le] iniziative a carattere preventivo, e quindi aperte ad ogni scenario” che uno Stato deve predisporre quando si affrontano situazioni eccezionali, il Procuratore della CPI si chiede perché, tra le azioni “aperte a ogni scenario” non è stata considerata quella di consultarsi con la CPI.

Un grave impedimento all’esercizio delle funzioni e dei poteri della CPI

Quanto alla seconda condizione richiesta dall’art. 87.7 dello Statuto di Roma, cioè il fatto che la mancata cooperazione dello Stato si sia tradotta in un grave ostacolo all’azione della CPI, il Procuratore osserva che il rimpatrio di Almasri in Libia ha reso molto difficile il suo arresto, vista la rete di protezione di cui gode a tutti i livelli in patria. Da segnalare anche che, oltre a non arrestare il sospetto, le autorità italiane non hanno nemmeno adottato le misure previste di perquisizione personale e sequestro di dispositivi a disposizione dell’accusato (come invece era avvenuto nel caso Abedini, il cittadino iraniano arrestato su mandato della giustizia americana e rimpatriato, come strumento per ottenere il rilascio della giornalista italiana Cecilia Sala). È quindi venuta meno anche la possibilità di acquisire elementi di prova che avrebbero potuto essere utilizzati in altri casi relativi alla situazione libica.

Oltre a rendere l’arresto di Almasri del tutto improbabile, il suo rientro in patria mette a rischio la sicurezza e la vita delle persone che negli scorsi mesi e anni hanno collaborato a raccogliere informazioni sui crimini che gli sono ascritti: testimoni e vittime degli omicidi e delle torture commesse dal 2015 in poi nel carcere di Mitiga, compresi i membri delle loro famiglie.

Su altre questioni sollevate in varie sedi da esponenti del governo italiano il Procuratore si riserva di argomentare in altra sede. Ciò vale in particolare per la pretesa da parte del Ministro della Giustizia di sottoporre a una propria valutazione nel merito i contenuti dell’atto d’accusa; alla affermazione per cui l’esecuzione del mandato d’arresto richiedesse un’attività di “interlocuzione” tra il Ministro stesso e l’autorità giudiziaria italiana; nonché la dichiarazione, sempre del Ministro della Giustizia, secondo cui la seconda versione del mandato d’arresto sarebbe stata sostanzialmente diversa da quella del 18 gennaio (circostanza decisamente negata: la versione del 24 gennaio correggeva alcuni errori materiali di quella precedente e provvedeva a riportare per intero il testo dell’opinione dissenziente della giudice Flores Llera, le cui argomentazioni peraltro ipotizzavano un possibile difetto di giurisdizione della CPI riguardo a tutti i mandati d’arresto emessi a partire da ottobre 2024 relativi alla situazione libica, senza nessun riferimento specifico al merito delle accuse mosse ad Almasri).

Incoraggiare l’Italia a rispettare il propri obblighi verso la CPI

In conclusione, il Procuratore ritiene che la Corte debba riferire l’Italia alla Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di sicurezza in ragione non solo della gravità dei reiterati rifiuti di cooperare con la CPI e le relative conseguenze per il procedimento e per i sopravvissuti e i testimoni che hanno contribuito alle indagini, ma anche della “natura apparentemente politica della scelta italiana di rilasciare [Almasri] e trasferirlo in Libia”. In effetti, il Procuratore sottolinea che la mancata collaborazione dell’Italia ha coinvolto i vertici del governo (in particole i Ministri della Giustizia, dell’Interno e degli Affari Esteri), nonché il personale di tali amministrazioni a vari livelli gerarchici.

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