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Public Policies and Human Rights: The Effects of the UN Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women in Italy

Paola Degani (2010)
Pubblication type
Articolo / Saggio
Pages
39-66
Language
IT

Politiche pubbliche e diritti umani: le ricadute della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne in Italia

Paola Degani

Scopo di questo contributo è quello di analizzare le ricadute in Italia della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne attraverso una sintetica ricostruzione dei percorsi relativi all’emancipazione femminile e la lettura dei rapporti periodici presentati dal Governo italiano in ottemperanza agli obblighi di reporting previsti dalla Convenzione stessa. Il saggio inizia prendendo in esame sinteticamente i profili più significativi della condizione femminile a partire dall’esperienza del fascismo e gli effetti che le politiche poste in essere in quel periodo storico determinarono sul processo costituente e perciò sulla previsione delle norme costituzionali specificamente attinenti i diritti delle donne e il principio di parità su base sessuale.

Gli anni Settanta rappresentano nello scenario nazionale un altro momento storico di fondamentale importanza, sia per la piena affermazione dei diritti delle donne, sia per la nascita e il radicamento dell’esperienza del nuovo femminismo che contribuì in modo determinante non solo al processo di emancipazione ma, più in generale, alla presa di consapevolezza del valore sociale del lavoro femminile e della centralità del discorso della gratuità del lavoro di cura all’interno del processo di produzione e riproduzione della forza lavoro.

L’emergere in Italia nei primi anni Settanta del nuovo femminismo, permise di guardare alla famiglia e segnatamente al lavoro della donna al suo interno a partire dallo sforzo di individuare la collocazione del processo di produzione e riproduzione della forza lavoro nel modo di produzione capitalistico e quindi nella divisione sociale del lavoro ad esso attinente, nonché di focalizzare la funzione della donna in quanto responsabile primaria di tale processo nell’insieme dei rapporti sociali attinenti a tale modo di produzione. Questo approccio portò al consolidamento di un impianto teorico radicalmente diverso che diede vita a un movimento dai tratti inediti. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, il gap tra società civile, movimenti e comunità politicoistituzionale sebbene rimanesse del tutto significativo cominciava progressivamente a ridimensionarsi poiché molte delle tematiche di cui si erano fatte e si facevano portatrici le organizzazioni delle donne cominciavano ad entrare nelle agende politiche di partiti e sindacati e a trovare una parziale risposta in termini di output politico. Tuttavia la distanza tra la politica ufficiale e le espressioni della società civile che si coagulavano nell’esperienza femminista rimanevano assai ampie sebbene crescesse sia nella comunità scientifica che a livello partitico e di governo l’interesse per i problemi della parità sostanziale anche in relazione al  ruolo che la Comunità Economica Europea rivestiva all’epoca rispetto all’affermazione delle politiche di pari opportunità e di parità tra uomo e donna negli Stati membri. Il dibattito culturale e politico che a partire dalla seconda metà degli anni Settanta ha interessato il nostro Paese è stato profondamente segnato dal nuovo emergere della questione femminile che ha prodotto sia a livello istituzionale, nei partiti e nei sindacati, sia nei gruppi della sinistra extraparlamentare momenti di importante e significativa riflessione circa le ricadute che potrebbero svilupparsi se la domanda politica di cui sono portatrici le donne avesse potuto e potesse esprimersi significativamente sul piano quantitativo e porsi trasversalmente rispetto alle diverse appartenenze partitiche.

La caratteristica fondamentale di quel momento storico in Italia sotto il profilo dello sviluppo in chiave politica delle problematiche collegate ai diritti delle donne è sicuramente rappresentato dalla tensione generata da una parte dallo scollamento esistente tra l’esperienza in termini di organizzazione politica e di riflessione del movimento femminista e la necessità di ricondurre le loro istanze e le problematiche sociali e giuridiche di cui si facevano portatrici nel dibattito istituzionale. Se non si assume questo dato come connotante l’esperienza politica delle donne, risulta difficile comprendere lo scarso interesse con cui venne accolta in Italia non solo la normativa paritaria ma anche, pochi anni dopo, la stessa legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna.

L’Italia ha firmato la CEDAW il 17 luglio 1980 e provveduto alla sua ratifica il 10 giugno 1985. Si tratta di una fase storica definita da un progressivo declino della visibilità politica dei movimenti di protesta e dal tentativo da parte governativa di ricondurre al dibattito politico istituzionale una serie di questioni emerse nel corso del decennio precedente, in modo particolare di gestire un’offerta di lavoro femminile dalle caratteristiche e proporzioni del tutto inedite.

Nel determinare la poca attenzione verso la scelta operata dal governo italiano di dare esecuzione a questo trattato può aver giocato un ruolo importante anche la mancanza di una sensibilità culturale autentica verso le questioni di respiro internazionalistico, non solo tra la popolazione ma anche tra gli stessi media e nella classe politica, con qualche importante significativa eccezione. L’Italia è probabilmente un Paese in cui questo dato ha pesato più che in altri contesti, sia per il momento storico in cui è avvenuta l’adesione alla Convenzione, sia per la scarsa risonanza con cui sono state trattate le questioni attinenti la sfera della politica internazionale fino a due decenni fa.

La stessa esperienza femminista, sebbene ispirata a tematiche non riconducibili alla mera dimensione nazionale e sul piano operativo agganciata a realtà sopranazionali produceva un dibattito incentrato soprattutto sulle questioni interne o comunque caratterizzato da toni e tematiche che non sembrava avessero una ripercussione immediata nelle arene politiche delle organizzazioni intergovernative.

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