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La rete di organizzazioni non governative denominata “R2PCS: Responsibility to Protect – engaging civil society” ha ufficialmente lanciato una serie di nuove azioni volte al supporto dell’affermazione dell’approccio della cosiddetta “responsabilità di proteggere”. La campagna, animata in particolare dall’Institute for global policy del Movimento federalista internazionale e finanziata dal Governo canadese e dalla John D. and Catherine T. MacArthur Foundation, si propone di svolgere attività di lobbying nei confronti dei Governi, di organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite.
-Nei documenti di R2PCS, la responsabilità di proteggere viene definita quale “norma di diritto internazionale emergente, la quale prevede in capo agli Stati una responsabilità di proteggere le loro popolazioni da genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica: nel momento in cui lo Stato fallisca nel proteggere la propria popolazione, tale obbligo passa alla Comunità Internazionale”.
-Tale approccio è stato sviluppato organicamente dalla Commissione internazionale indipendente su l’intervento e la sovranità statuale, organismo promosso dal Governo canadese, in un Rapporto del 2001 intitolato appunto “La responsabilità di proteggere”. Documenti relativi al processo di riforma delle Nazioni Unite, quali il Rapporto conclusivo del Panel di alto livello su “Le minacce, la sfida e il cambiamento”, il Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite “In una libertà più ampia" ed il documento finale del Summit 2005 delle Nazioni Unite – presentano una relativa adesione a tale approccio. Inoltre, nella sua Risoluzione 1674 adottata lo scorso 4 maggio 2006 riguardante la protezione dei civili nei conflitti armati, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso per la prima volta il proprio avvallo all’affermazione del principio della responsibility to protect.
-In vari documenti dell’iniziativa non-governativa (si veda in proposito il paragrafo “Come si può assicurare che la responsabilità di proteggere non sia utilizzata per giustificare interventi motivati da ragioni politiche o interventi condotti senza il consenso internazionale?” delle FAQ della campagna) si mette in luce come l’affermazione del principio della responsabilità di proteggere non corrisponda necessariamente ad una positivizzazione del cosiddetto principio dell’intervento umanitario. Ciò nonostante permangono dubbi circa la consistenza di tale approccio con la visione della Carta delle Nazioni Unite relativa alla soluzione pacifica delle controversie internazionali e l’interdizione dell’uso della forza armata nelle relazioni internazionali, al di fuori dei casi previsti rigorosamente dal Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
-Per una problematizzazione delle conseguenze dell’introduzione del principio della responsibility to protect nel dibattito giusinternazionalistico, si rimanda alla comunicazione del Prof. Antonio Papisca alla Conferenza Sicurezza internazionale, sviluppo sostenibile, diritti umani: la cooperazione internazionale dopo il Vertice Mondiale del 2005: l’agenda futura delle Nazioni Unite e il ruolo dell’Italia, Roma, Sala delle conferenze della SIOI, 17 e 18 marzo 2006: Gravi violazioni dei diritti umani e uso della forza: “La responsabilità di proteggere”, di prossima pubblicazione ne I Quaderni de La Comunità Internazionale.
16/7/2009