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Intervista del prof. Antonio Papisca in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani 2012 rilasciata al Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite (UNRIC)

Antonio Papisca (2012)

Contenuto in:

 Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite (UNRIC)

Tipologia pubblicazione

: Human Rights Academic Voice

Lingua

: IT

Contenuto

Il 10 dicembre ricorre la Giornata internazionale dei diritti umani: come la celebrerete quest’anno?

Con qualche preoccupazione in più e, come sempre, con tanta speranza e indefettibile spirito onusiano. In particolare a Padova, su iniziativa del Centro diritti umani dell’Università, la giornata sarà dedicata ad approfondire il tema della pena di morte con la partecipazione della Commissione internazionale per la sua abolizione. Nell’Aula Magna Galileo Galilei l’evento sarà segnato dalla partecipazione di Federico Mayor, Presidente della Commissione, già Direttore generale dell’Unesco, e di due membri della stessa Commissione, Ruth Dreifuss, già Presidente della Confederazione Svizzera, e Giuliano Amato.

Le preoccupazioni riguardano, in particolare, le crisi economiche che a cascata investono il pianeta e provocano violazioni estese e reiterate di tutti i diritti umani, sia economici e sociali sia civili e politici. Ci stiamo ritrovando tutto più poveri e più insicuri, nello stato globale di liquidità teorizzato da Baumann. Un principio fondamentale del diritto internazionale dei diritti umani, quello della loro interdipendenza e indivisibilità, è di palese attualità. La mancanza di occupazione, di assistenza sociale, di sanità pubblica, di cibo, di libertà sindacale, di educazione attesta che i diritti economici e sociali sono ampiamente violati. Questo stato di cose mette in crisi la coesione sociale con proteste e anche forme estreme di ribellione. La prima risposta dei governi è non in termini di politiche sociali e di sviluppo umano, ma di ordine pubblico. La protesta sociale è contrastata e repressa in un’ottica ‘sicuritaria’ che presenta non poche analogie con quella invalsa nella lotta contro il terrorismo. Si limitano i diritti e le libertà sindacali, si tagliano o addirittura si eliminano le spese sociali, si interferisce nella libertà di informare e di essere informati, intere classi governanti si chiudono a riccio limitando gli stessi diritti democratici. In pratica, la violazione dei diritti economici e sociali comporta la violazione di quelli civili e politici. Sul piano internazionale, da un lato si arricchisce la normativa riguardante i diritti umani, attraverso un processo di standard-setting sempre più organico e coerente, e si sviluppa la machinery del monitoraggio sopranazionale (Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, Treaty bodies, Corti regionali dei diritti umani, Corte penale internazionale, ecc,), dall’altro si procede in flagrante contraddizione, con politiche neoliberiste, aggiustamento strutturale, spesa militare sostenuta, stagnazione del processo di rafforzamento e democratizzazione delle Nazioni Unite, ecc. Da un lato, l’orizzonte aperto dello human development e della human security, dall’altro la riproposizione di un’economia di mercato senza regole e della competitività sfrenata che le si accompagna.

Ma la sensibilità per i diritti umani a livello per così dire popolare è in costante crescita. Le università, in numero crescente, insegnano i diritti umani e alimentano lo sviluppo di una cultura universale dei diritti umani come sollecitato dalle Nazioni Unite, in particolare dall’Unesco. Aumentano le reti transnazionali dei centri universitari sui diritti umani. Si diffonde la conoscenza di importanti documenti riguardanti l’educazione, in particolare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani del 19 dicembre 2011. C’è in atto un’ampia mobilitazione educativa in materia, che apre alla speranza di portare avanti la costruzione di un mondo migliore grazie all’impegno delle schiere di human rights defenders, i quali hanno i diritti umani nella mente e nel cuore.

E in Italia a che punto siamo, qual è lo stato dell’arte in questa materia?

In Italia si va diffondendo la conoscenza dei diritti umani soprattutto attraverso l’impegno delle università e delle scuole di ogni ordine e grado. La prime offrono corsi, soprattutto a livello di lauree magistrali e di master, le seconde attraverso l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”. Dall’Annuario Italiano dei Diritti Umani 2012, curato dal Centro diritti umani dell’Università di Padova, risulta che sono impartiti 118 insegnamenti specificamente portanti sui diritti umani (diritto internazionale dei diritti umani, filosofia dei diritti umani, diritti dei bambini, ecc.) in 64 facoltà di 41 università. Questo fermento educativo, scarsamente conosciuto dai grandi mass media, distingue al positivo il nostro paese. Attorno alle università e alle scuole, in molti casi in sinergia fra loro, operano le innumerevoli organizzazioni non governative e i gruppi di volontariato. C’è da aggiungere che la maggior parte delle Regioni si sono dotate di specifiche leggi regionali portanti sulla promozione della cultura dei diritti umani e della pace, dove è espresso il riconoscimento della pace come diritto della persona e dei popoli, con tanto di riferimento, esplicito e contestuale, alla Costituzione della Repubblica e al Diritto internazionale dei diritti umani: un caso unico al mondo. La prima Regione a prendere l’iniziativa, in collaborazione col Centro diritti umani di Padova, è stata la Regione del Veneto nel 1988. Diritti umani e diritto alla pace figurano anche negli statuti di cui si sono dotati migliaia di Comuni e Province a partire dal 1991. Io sogno il momento in cui questa sarà l’immagine autentica del nostro paese di cui vantarsi nel mondo.

Cosa manca perché il sogno possa avverarsi?

Già, la fotografia è incompleta, il fertile cantiere di società civile che ho succintamente descritto manca di una corrispondente, proporzionata ‘apicalità’ a livello istituzionale centrale dello Stato, che consenta di fare ‘sistema diritti umani’ e, meglio, ‘infrastruttura nazionale diritti umani’.

Vediamo cosa manca sul piano delle istituzioni e su quello normativo. Manca innanzitutto la Commissione nazionale per i diritti umani, quale organo indipendente con le caratteristiche raccomandate dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa: siamo tra gli ultimi paesi europei ad esserne privi. Manca il Difensore Civico nazionale che coordini l’attività dei Difenrosi civici regionali e li rappresenti adeguatamente in sede internazionale. Un segnale positivo è la recente entrata in funzione del Garante nazionale dei diritti dell’infanzia. Speriamo che non rimanga solo e che sia dotata dei mezzi che gli sono necessari per ben funzionare. Il Ministero degli Esteri, nonostante la buona volontà anche dell’attuale Ministro Terzi, ha un struttura dedicata ai diritti umani che abbisogna di personale e di mezzi finanziari adeguati, tali da supportare il difficile lavoro del Comitato interministeriale dei diritti umani, CIDU, presieduto dall’encomiabile Ministro plenipotenziario Brasioli. I vari Ministeri mancano di appositi uffici. Sono pochi gli italiani dentro gli organismi internazionali specializzati, non credo per carenza di preparazione e motivazione. E via di seguito.

E sul terreno normativo?

L’Italia ha ratificato la maggior parte delle Convenzioni e dei Protocolli internazionali ed europei in materia. La parte mancante riguarda importanti Convenzioni, per esempio quella sui diritti dei lavoratori migrandi e dei membri delle loro famiglie. E ci sono situazioni dense di imbarazzanti ambiguità. Cominciamo dal tema corruzione. L’Italia ha ratificato lo scorso giugno due importantissime Convenzioni del Consiglio d’Europa: la Convenzione penale e la Convenzione civile sulla corruzione. Ma le rispettive leggi di ratifica non risultano depositate a Strasburgo, con la conseguenza che l’Italia non è ancora ‘parte’ delle Convenzioni ma continua a far parte del GRECO (Gruppo europeo di stati sulla corruzione) sottoponendosi a monitoraggio. Analoga nebbia avvolge la Convenzione di Oviedo in materia di bioetica: l’Italia l’ha a suo tempo ratificata, ma non ne è ancora ‘parte’. Diatribe interne, segnate da forti connotazioni ideologiche, impediscono di procedere con la tempestività e la coerenza che pur sono necessarie. Ancora un esempio, in materia di tortura. L’Italia ha recentemente ratificato il Protocollo aggiuntivo (Opcat) alla pertinente Convenzione internazionale, che prevede la messa all’opera di un apposito meccanismo di controllo, ma non essendo ancora la tortura inserita come reato nel Codice penale il meccanismo non può funzionare: che vergogna. Una situazione molto fluida è quella che riguarda i respingimenti nel Mediterraneo: ci si aspetta che l’Italia rispetti in pieno il divieto di refoulement, conformemente a quanto prescrive in materia il diritto consuetudinario.

Mi dica qualcosa di positivo…

L’Italia è da molti anni in prima fila per l’abolizione della pena di morte e, intanto, per la moratoria delle esecuzioni capitali. Attraverso la sua Rappresentanza permanente a Ginevra, l’Italia è stata parte molto attiva nella preparazione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani. A seguito del primo esame periodico universale esperito nei suoi riguardi dal Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite nel 2010, il nostro Paese, come del resto tanti altri, è stato oggetto di critiche e, nello specifico, di 92 raccomandazioni: ne ha accettate pienamente 78, una media elevata, comparativamente, che attesta di una volontà governativa tesa a ben fare. Il prossimo esame periodico sarà nel 2014. Spero che ci si prepari a ricevere non più 92 raccomandazioni, ma 50…

Quali ricadute dei diritti umani nella politica interna?

Il corrente linguaggio dei politici, con ogni debita (rara) eccezione, non conosce i diritti umani. Di tanto in tanto, si sente parlare genericamente di diritti ‘civili’. I lavoratori, i disoccupati, i giovani, i sindacati rivendicano il diritto al lavoro, i governi e i molti leaders partitici parlano di mercati come di soggetti iperumani sul cui altare sacrificare tutto. La civiltà del lavoro, lo stato sociale sembrerebbero miti del passato, laddove la ‘forma’ della statualità basata sui diritti umani è quella del binomio, indissociabile, dello stato di diritto e dello stato sociale.

Ha un sogno anche per la politica?

Certamente, spes contra spem. Non mi reputi prosastico se sogno la rigenerazione dei partiti politici: sì, di partiti con forte dimensione europeista e onusiana, capaci di darsi un programma elettorale in cui ogni paragrafo sia intitolato a un diritto umano, corredato di puntuali proposte di politiche sociali e misure positive. Aprirei con diritto all’educazione, diritto al lavoro e diritto alla salute. Partiti capaci di costringere le istituzioni dell’Unione Europea ad applicare integralmente il Trattato di Lisbona che vuole politiche conformi ai dettami della ‘economia sociale di mercato’. Nelle università stiamo preparando e motivando gli studenti a cimentarsi anche in questa operazione di bonifica culturale. Se vogliamo evitare la deriva dei populismi che camuffano gli autoritarismi, dobbiamo ridare orizzonte alla pratica della democrazia e quindi a corpi intermedi quali partiti, sindacati e associazioni, i quali si attrezzino ad agire lungo un continum di ruoli che dalla città arriva fino all’ONU. E’ tempo di democrazia cosmopolitica, all’interno di una architettura di governance articolata su più livelli secondo il principio di sussidiarietà.

I diritti umani sono politica, buona politica naturalmente, altrimenti sono retorica o addirittura bestemmia contro la dignità umana.

Aggiornato il

30/05/2019