© Università degli Studi di Padova - Credits: HCE Web agency
Articolo 21
1.
Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese,
sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.
2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.
3. La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale
volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere
elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto
segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione
Col diritto di elettorato attivo e passivo, che richiama anche il
principio delle pari opportunità nella partecipazione alla vita
politica e alla pubblica amministrazione, siamo nel cuore dei principi
democratici, quelli che riguardano i modi con cui la sovranità popolare
si esprime. Già, “potere di popolo”: quanto ne ha oggi, nell’era della
globalizzazione, il popolo di un singolo stato? La sovranità popolare
si esercita sia per legittimare i rappresentanti del popolo a fare le
leggi e governare, sia per partecipare alla presa delle decisioni tra
una tornata elettorale e la successiva. Perché la sovranità appartiene
al popolo e non, per esempio, ad un ricco imprenditore o ad un ricco
calciatore o ad una famiglia circense? La risposta ce la dà il
paradigma dei diritti umani: la sovranità appartiene al popolo perché
ciascuno/a dei suoi membri è titolare di dirittti innati, cioè è grembo
di legge fondamentale. Ciascun membro della famiglia umana è sovrano/a
pro quota sua, la famiglia umana in quanto tale è titolare in toto di
sovranità nel mondo interdipendente e globalizzato. Poiché i diritti
umani sono sia civili e politici sia economici, sociali e culturali -
tutti universali, interdipendenti e indivisibili -, la democrazia dei
diritti umani è “tutta la democrazia”: politica, economica, sociale;
locale, nazionale, internazionale. Democrazia è insomma un concetto
multidimensionale.
Dire diritti democratici significa dire diritti di cittadinanza quale elemento essenziale di inclusione nella città, nello stato, nell’Unione Europea, nel mondo. Tutti coloro che vivono legalmente nella città devono poter esprimere il diritto di elettorato attivo e passivo. In questa direzione va la Convenzione del Consiglio d’Europa riguardante la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale (1992). Il Trattato sull’Unione Europea già da anni ha anticipato al riguardo, stabilendo che i cittadini dell’UE hanno il diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo e per le amministrazioni locali da esercitare nel luogo di residenza, a prescindere quindi dalla cittadinanza nazionale.
In questo momento, la pratica della democrazia portata avanti soltanto all’interno del singolo stato è in grave crisi. Questa investe anche quei paesi in cui più antica è l’esperienza della democrazia. Insistere nel mantenere la pratica democratica dentro i confini dello stato nazionale equivale ad accanimento terapeutico. Naturalmente, personalismi, strumentalizzazioni partitocratiche, assenteismo elettorale aggravano questa patologia. Lo spazio nazionale è troppo limitato.
La democrazia è
essenzialmente legittimazione popolare di coloro che incarnano
l’autorità di governo, partecipazione politica popolare ai processi
decisionali, controllo. Cosa e quanto controllano i parlamenti
nazionali (e regionali e comunali), se è vero com’è che le grandi
decisioni si prendono altrove?
Ciò che
è avvenuto nel mondo a partire dalla prima Guerra del Golfo (1991),
mediante il tentativo di esportare la democrazia con guerre preventive
e occupazioni territoriali, mina la credibilità dei valori democratici
oltre che la legittimità di chi li professa.
Il valore della democrazia è certamente un bene universale, è
inscindibile dalla dignità della persona. Come i diritti umani, la
democrazia è una conquista. La sua diffusione nel mondo deve avvenire
per ‘contagio’ virtuoso, i cui effetti saranno tanto più celeri e
duraturi quanto più i paesi di antica esperienza democratica daranno
prova di coerenza.
Anche
per la pratica democratica nel mondo vale quanto è necessario fare per
sviluppare il dialogo interculturale nella città: occorre comunicare,
scambiare idee ed esperienze, educare al rispetto dei diritti umani,
cooperare su un piede di parità all’interno delle Nazioni Unite e delle
altre legittime istituzioni multilaterali. La cooperazione
internazionale nei vari campi alimenta il terreno in cui sviluppare la
‘contaminazione’ democratica del mondo. La deregulation (economica e
istituzionale: competitività selvaggia + svilimento delle Nazioni
Unite) ha ostacolato, se non addirittura interrotto questo virtuoso
processo.
Occorre ora rilanciare la causa della democrazia
(‘tutta’ la democrazia dei diritti umani) estendendone il raggio
d’azione dalla città e dal villaggio fino alle massime istituzioni
internazionali. E’ l’ora della democrazia internazionale o
transnazionale o cosmopolitica. Si tratta in particolare di
democratizzare il sistema delle Nazioni Unite e le principali
istituzioni multilaterali. All’ONU, occorre dare più spazio alle
(3.500) organizzazioni non governative che vi hanno status consultivo,
consentendo ai loro ‘coordinamenti’ di avanzare pareri formali. Occorre
anche, finalmente, istituire l’Assemblea Parlamentare delle Nazioni
Unite, in analogia, per esempio, con le Assemblee Parlamentari del
Consiglio d’Europa e della OSCE.
In America Latina, nel quadro istituzionale del MERCOSUR, funziona il Parlamento latinoamericano, chiamato anche “Parlatino”. Più di recente in Africa, nel quadro dell’Unione Africana e di altri sottosistemi di cooperazione sub-continentale, è entrato in funzione il Parlamento Panafricano. Ci sono anche l’Assemblea parlamentare paritetica UE-ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico) e l’Assemblea parlamentare Euromediterranea nel quadro del Partenariato Euromediterraneo. I grandi mezzi d’informazione non ne parlano, ma siamo in presenza di interessanti sviluppi della democrazia. Naturalmente, il Parlamento Europeo, direttamente eletto dai cittadini dell’UE, è il primo e tuttora unico esempio di autentica democrazia sopranazionale.
Ora, bisogna collegare fra loro le istituzioni e le pratiche democratiche che esistono ai vari livelli territoriali, in particolare dare più visibilità internazionale ai Governi Locali, istituendo un Comitato dei Governi Locali in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, in analogia col Comitato delle Regioni dell’UE e del Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa. Le radici territoriali della democrazia stanno nelle città, in Italia nei Comuni. Lanciando il principio di sussidiarietà e il principio di autonomia territoriale locale (self-government) nello spazio glocale del mondo e facendo partecipare i Governi Locali alla governance globale si rinvigorisce la democrazia locale (la più genuina) e allo stesso tempo si fornisce linfa vitale alle Organizzazioni internazionali.
Ma
non c’è vera democrazia ‘rappresentativa’ se i cittadini non hanno
possibilità di scegliere – per nome e cognome – coloro che li
rappresentano. Togliere le ‘preferenze’ dalle leggi elettorali
significa violare il Diritto internazionale dei diritti umani (oltre
all’art. 21 della Dichiarazione universale, anche l’omologo art. 25 del
Patto internazionale sui diritti civili e politici). Mandare al
Parlamento Europeo personale politico da riciclare a fine carriera o
per altri motivi di mercantilismo infra-partitico è controproducente
non soltanto per la qualità del sistema UE, ma anche per la diffusione
della democrazia nel mondo.
Ultima battuta di una riflessione necessariamente limitata.
Maggioranza e minoranza: il gioco democratico si fa sulla dialettica tra questi due poli. Eterno quesito: la maggioranza contiene la parte più sana della società (la sanior pars, come dicevano, problematizzando, i più antichi ordini religiosi)? Scegliere bene implica capacità di discernere. Quanto libera è un’opinione pubblica-corpo elettorale, bombardata da disinformazione e cattiva informazione? Non c’è alternativa al gioco aritmetico della democrazia rappresentativa, ci sono però i correttivi. Il primo di questi è una sana educazione civica con al centro i diritti umani da cui si apprende che i diritti fondamentali di coloro che appartengono alla minoranza sono perfettamente gli stessi diritti fondamentali di chi appartiene alla maggioranza. Ne discende che, stando così le cose, conviene a tutti alternarsi nell’esercizio delle responsabilità di governance. Il riferimento è al mitico turnover della cui necessità dovrebbero in particolare convincersi, per la loro personale salute e per quella della democrazia, coloro che bramano stare incollati sempiternamente alle poltrone del potere.”
17/7/2009