Documento presentato alla riunione di Mosca della Conferenza sulla dimensione umana della CSCE
Mosca, Settembre-ottobre 1991, preparato dal Centro di Padova quale Coordinatore della Commissione diritti umani dell’Assemblea dei Cittadini di Helsinki (versione originale in inglese)
1. Principio VII e VIII dell’Atto finale di Helsinki
Sono sopraggiunti fatti nuovi nel continente europeo - rivoluzioni democratiche, ma anche conflitti violenti fra popoli e etnie - che impongono di accelerare il processo di integrazione paneuropea. A questo fine, la sfida é di chiarire e statuire tutti i principi che consentono di procedere velocemente alla costruzione della Casa Comune Europea.
Nel momento in cui sul piano mondiale si pone il problema di un nuovo ordine internazionale più giusto e più umano, l’Assemblea dei Cittadini di Helsinki, HCA, ritiene che l’Europa abbia il dovere e i mezzi per dare il proprio originale contributo.
A questo scopo la Commissione diritti umani della HCA, consapevole del proprio ruolo, attira l’attenzione dei partecipanti alla Conferenza sulla dimensione umana della Conferenza per lo Sviluppo e la Cooperazione in Europa, CSCE, sulla necessità di elucidare ulteriormente, sulla traccia del Documento finale della CSCE sulla dimensione umana (Copenaghen, giugno 1990), il principio VII (diritti umani) dell’Atto finale di Helsinki e di affrontare con coraggio e lungimiranza il contenuto e le implicazioni del principio VIII (diritto di autodeterminazione dei popoli) del medesimo Atto.
2. Il ruolo della società civile
La Commissione diritti umani é la struttura operativa della HCA nel campo dei diritti umani e agisce utilizzando tutte le competenze specializzate che si rendono disponibili. Il suo ruolo é di natura chiaramente politica, quindi tutte le sue attività sono orientate all’azione e alla politica.
Il suo paradigma di riferimento é la Carta internazionale dei diritti umani, cioé il nuovo diritto internazionale umanocentrico - fondamentalmente la Dichiarazione Universale del 1948, i due Patti internazionali del 1966, la Convenzione europea del 1950 -, che é vincolante sia per gli stati sia per i gruppi sia per gli individui. In queste fonti giuridiche c’é la legittimazione formale per la Commissione ad agire come originale ed autonomo soggetto nel sistema delle relazioni internazionali e quindi ad esercitare il diritto-dovere di ingerenza pacifica negli affari interni degli stati e di qualsiasi altro sistema organizzato.
Per esercitare efficacemente il suo ruolo, la Commissione intende sviluppare la riflessione sulla società civile considerata come soggetto collettivo, che é prioritario rispetto allo stato e al sistema degli stati perché ciascuno dei suoi membri individuali é titolare di diritti innati formalmente riconosciuti anche dalle norme del diritto internazionale.
I diritti umani fanno lo status politico della società civile in quanto tale, cioé la sua priorità e autonomia. Le strutture indipendenti di società civile non hanno bisogno di riconoscimento legale per essere legittime, a condizione che siano espressione libera della gente e accettino la Carta internazionale dei diritti umani. Pertanto, i diritti umani sono la chiave per capire l’identità profonda della società civile e i termini del suo rapporto con le istituzioni derivate, compreso lo stato e il sistema degli stati.
3. Il principio del pluralismo politico
Le associazioni e i gruppi, a condizione che si formino liberamente e si riconoscano nella Carta internazionale dei diritti umani, sono istituzioni indipendenti di società civile e come tali la rappresentano senza bisogno di riconoscimenti giuridici. Tali riconoscimenti sono peraltro necessari per regolare i rapporti tra le associazioni e le istituzioni governative e intergovernative.
Il “pluralismo politico” di cui parla il Preambolo del Documento finale della CSCE di Copenaghen non é assicurato soltanto dalla pluralità dei partiti ma, basilarmente, dall’esistenza e dal libero funzionamento di istituzioni indipendenti di società civile, cioé di associazioni, movimenti, gruppi di volontariato.
La Commissione diritti umani della HCA chiede che questo concetto venga formalmente sancito dalla CSCE ad integrazione del paragrafo 5 del Documento di Copenaghen. Chiede altresì che venga enunciato il principio della pari dignità delle istituzioni di società civile e delle istituzioni governative, nazionali e internazionali.
4. Il principio della eguale partecipazione
Alla luce di questi principi, dev’essere garantita alle organizzazioni nongovernative, ONG, una più adeguata partecipazione ai processi decisionali dentro gli stati e presso gli organismi intergovernativi.
Presso questi ultimi, lo “status consultivo” é una prima tappa. Si ricorda che nel sistema delle Nazioni Unite le ONG sono sempre più frequentemente menzionate come dirette destinatarie delle Risoluzioni insieme con gli stati e le organizzazioni intergovernative. Si fa presente che la Convenzione europea per il riconoscimento della personalità giuridica delle organizzazioni internazionali nongovernative, entrata in vigore il 1° gennaio 1991, fa esplicito riferimento alla “utilità internazionale” delle ONG.
Nel sistema generale della CSCE deve vigere almeno ciò che é già acquisito nel sistema delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda in particolare l’area della dimensione umana, lo status delle ONG non può non essere di co-decisionalità e di eguale partecipazione (non, soltanto, di partecipazione parallela) al funzionamento di tutti le strutture interessate.
La Commissione diritti umani della HCA sottolinea la grande importanza del paragrafo 10.2 del Documento della CSCE di Copenaghen che riconosce “i diritti di ciascuno, individualmente o in associazione con altri di esaminare e discutere l’osservanza dei diritti umani nonché di sviluppare e discutere idee per una migliore tutela dei diritti umani e mettere in atto mezzi migliori per garantire l’osservanza delle norme internazionali sui diritti umani”.
È necessario che la CSCE e le ONG partecipino più attivamente al Gruppo di lavoro della Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite che sta preparando un progetto di Dichiarazione “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti” e si adoperino per farla adottare rapidamente dall’Assemblea generale.
5. Diritto-dovere di ingerenza pacifica
Deve essere affermato esplicitamente il diritto-dovere di ingerenza pacifica negli affari interni con riferimento alle materie riguardanti i diritti umani. Tale diritto deve essere riconosciuto sia agli stati sia alle ONG sia agli organismi intergovernativi sia agli individui. In questo senso si é già pronunciato lo “Institut de Droit International” con Risoluzione del 13 settembre 1989 (sessione di Santiago de Compostela).
Si fa notare che quanto meno un principio di ingerenza, se non ancora il diritto di ingerenza, é già implicitamente enunciato ai paragrafi 8, 11 e 12 del Documento della CSCE di Copenaghen.
6. Stato di emergenza
Alla realizzazione dei diritti umani si applica il principio di indivisibilità e interdipendenza. Tutti i diritti sono egualmente inalienabili e inviolabili e le relative norme per nessuna ragione possono essere derogate.
La CSCE deve invitare gli stati membri a non avvalersi mai dell’art. 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, dell’art. 4 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali e dell’art. 11 della Convenzione europea del 1950 riguardanti lo “stato di emergenza”. Vanno pertanto abrogati i paragrafi 24 e 25 del Documento di Copenaghen.
Gli stati membri della CSCE devono impegnarsi a fare inserire questo punto all’ordine del giorno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
7. Carta paneuropea dei diritti dell’uomo e dei popoli
Urge dare una solida base giuridica di jus cogens al processo di unificazione paneuropeo. Questa base non possono continuare ad essere soltanto l’Atto finale di Helsinki - che non é un accordo giuridico -, né la Convenzione europea del 1950, che si limita ai diritti civili e politici, né la Carta sociale del 1961 che é uno strumento privo di efficaci garanzie.C’é bisogno di una Carta paneuropea dei diritti dell’uomo e dei popoli che comprenda, all’interno di un unico strumento giuridico e ponendoli sullo stesso piano, tutti i diritti umani (1°, 2° e 3° generazione) nonché i diritti dei popoli e i diritti delle minoranze e preveda efficaci garanzie per tutti i diritti attraverso una struttura paneuropea di carattere giurisdizionale. Il ricorso individuale deve essere consentito sia agli individui sia ai soggetti collettivi (minoranze, popoli, ONG).
La CSCE deve costituire un gruppo di lavoro ad hoc di carattere multidisciplinare, con la partecipazione anche di strutture indipendenti di società civile europea, con il compito di preparare il progetto di Carta. Questo dovrà essere sottoposto per l’adozione ad un organismo parlamentare paneuropeo, composto dai rappresentanti del Parlamento europeo per i 12 paesi membri della CEE e di ciascun parlamento nazionale per i paesi non membri della Comunità.
8. Diritti delle minoranze
La Commissione diritti umani della HCA appoggia la proposta di creare una Commissione della CSCE sui diritti delle minoranze, come previsto al paragrafo 39 del Documento di Copenaghen.
La Commissione propone altresì di creare in via d’urgenza anche una Commissione sui diritti dei migranti.
Ad ambedue le Commissioni devono poter partecipare rappresentanti di ONG.
9. Autodeterminazione dei popoli
L’autodeterminazione é statuita come diritto umano, e non soltanto come principio politico, nell’identico articolo 1 dei due Patti internazionali del 1966. La mancanza di una appropriata strumentazione internazionale di garanzia rende difficile, anzi impossibile, la realizzazione pacifica di questo diritto.
La CSCE deve farsi carico di creare un quadro istituzionale, democratico ed efficace, che permetta l’esercizio pacifico di questo diritto.
Ai popoli che rivendicano il diritto all’autodeterminazione deve essere richiesto, come condizione di legittimità delle loro azioni:
a. di non usare la violenza;
b. di rispettare tutti i diritti umani e in particolare i diritti delle minoranze;
c. di formare entità territoriali indipendenti non-armate.
Nell’esigere un impegno di questo tipo, la CSCE deve previamente creare, d’intesa con le Nazioni Unite, un adeguato sistema sopranazionale di sicurezza e quindi realizzare concretamente la Casa Comune Europea, nella quale i nuovi stati non-armati si sentano sicuri e i vecchi stati rapidamente disarmino.
10. Obiezione di coscienza
La Commissione diritti umani della HCA prende atto con viva soddisfazione delle importanti previsioni in materia di obiezione di coscienza contenute nel paragrafo 18 del Documento della CSCE di Copenaghen.
Sottolinea il fatto che la CSCE, d’accordo con la Commissione delle Nazioni Unite dei diritti dell’uomo, assume che l’obiezione di coscienza é un diritto umano, quindi innato e pertanto inviolabile.
Lo status naturale dell’obiettore di coscienza é quello del costruttore di pace che opera lungo un continuum di ruoli dal villaggio al mondo.
È necessario riconoscere giuridicamente, con apposito Protocollo aggiuntivo al Patto internazionale sui diritti civili e politici, questo status internazionale. Il riconoscimento é utile anche per creare forze di intervento non-armate e nonviolente da utilizzare sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia in ambito regionale. Gli stati membri della CSCE devono impegnarsi a far inserire questo punto all’ordine del giorno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nel frattempo, la HCA propone che la CSCE crei un Gruppo di lavoro con il compito di preparare un progetto di convenzione europea per il riconoscimento dello status internazionale dell’obiettore di coscienza.
11. Diritto di disertare la guerra civile
Alla luce anche degli eventi in corso in Croazia e del pericolo che si estendano ad altre aree, la Commissione diritti umani della HCA attira l’attenzione della CSCE su un principio che essa ritiene coerente con lo spirito del diritto internazionale dei diritti umani: il principio di resistenza ad ordini che sono soltanto formalmente legali ma che nella sostanza violano precise norme sui diritti umani. L’art. 2, co.3, della Convenzione internazionale contro la tortura sancisce infatti che “un ordine proveniente da un funzionario superiore o da una autorità pubblica non può essere invocato quale giustificazione della tortura”.
La guerra civile si configura come un coacervo di atti di tortura e trattamenti disumani e degradanti. L’analogia fra tortura e guerra civile é particolarmente evidente quando la seconda é alimentata e gestita, da una parte o dall’altra, da istituzioni politiche e militari dello stato interessato. Imporre formalmente ai cittadini di uccidersi fra di loro é praticare la tortura nei loro confronti. L’art. 2, co.3, stabilisce chiaramente il diritto-dovere a disobbedire all’autorità che pretende di far violare i diritti umani. Tale diritto-dovere é sia individuale sia collettivo, cioé delle singole persone e della società civile a resistere alle decisioni illegittime delle istituzioni governative.
Per i militari in servizio questo diritto-dovere si configura come diritto alla diserzione dalla guerra civile. Per il singolo soldato questo diritto-dovere ha un fondamento particolarmente robusto perché é allo stesso tempo espressione del fatto di essere membro di società civile e estensione del diritto all’obiezione di coscienza.
Con l’esercizio di questo diritto si rafforzano i principi dello stato di diritto, in particolare quello secondo cui l’assetto costituzionale di uno stato non si può modificare usando l’esercito contro il popolo, il quale é soggetto primario ed esclusivo della sovranità.
Qualsiasi mutamento deve avvenire nel rispetto dei diritti umani e quindi pacificamente, con l’uso di strumenti quali il negoziato, le libere elezioni, il referendum, il plebiscito se del caso, sotto effettivo controllo internazionale.
12. Istituzioni nazionali per i diritti umani
La Commissione diritti umani della HCA prende atto con soddisfazione di quanto previsto al paragrafo 27 del Documento di Copenaghen per ciò che riguarda la creazione e il rafforzamento di istituzioni nazionali indipendenti nel campo dei diritti umani.
Essa sottolinea che queste istituzioni devono servire a creare e rafforzare non soltanto lo Stato di diritto ma anche lo Stato sociale, giacché i diritti umani sono sia civili e politici sia economici, sociali e culturali.
Il sistema delle istituzioni nazionali specializzate per i diritti umani deve ispirarsi al principio della partecipazione diretta delle strutture di società civile sia alla sua organizzazione sia al suo funzionamento.
Gli organismi fondamentali di tale sistema sono:
a. una Commissione nazionale, composta da rappresentanti di istituzioni givernative e nongovernative (funzioni: preparare i rapporti periodici per gli organismi internazionali; proporre iniziative al governo e al parlamento; promuovere l’educazione, l’informazione e la ricerca secondo le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, UNESCO, Consiglio d’Europa, Parlamento Europeo);
b. una Commissione o un Comitato parlamentare ad hoc (funzioni: discutere i rapporti periodici del governo agli organismi internazionali e le risposte di questi ultimi; ricevere e esaminare petizioni; indire udienze conoscitive, hearings).
13. La Commissione diritti umani della HCA é fermamente determinata a fare radicare nel tessuto della società civile una nuova cultura politica ispirata al Codice internazionale dei diritti umani.
Essa spera che la CSCE prenderà in seria considerazione le proposte contenute nel presente documento e si dichiara disponibile a collaborare a tutte le iniziative della CSCE intese a porre i diritti umani alla base dell’integrazione paneuropea e del nuovo ordine internazionale.