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Diritti umani in Giappone: UPR, pareri dei comitati delle Nazioni Unite e ruolo delle istituzioni nazionali per i diritti umani

Autore: Riccardo Nanni, studente MA Human Rights and Multilevel Governance, Università di Padova

Esame periodico universale (UPR): rapporto nazionale, shadow reports e raccomandazioni

Il Giappone è un paese membro dell’ASEAN Plus Three (APT), oltre ad essere uno dei principali attori politici ed economici del continente asiatico. La sua ultima UPR è stata condotta nel gennaio del 2023, durante il quarto ciclo, e al termine di questa ha accettato, del tutto o in parte, 180 delle 300  raccomandazioni formulate.

Nel suo rapporto nazionale, il Giappone presenta innanzitutto la sua adesione al Protocollo sulla tratta degli esseri umani (noto anche come Protocollo UN TIP) nel 2017. In merito all’opinione rispetto ad altri strumenti internazionali, il governo giapponese dichiara il suo continuo impegno nel considerare l’accesso ai Protocolli Opzionali della CEDAW, CAT, CRPD e ICESCR. Nel documento, inoltre, viene sottolineata l’importanza del sistema di reclami individuali contenuto nella Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD), rimarcando allo stesso tempo come l’accesso da parte del governo sia ancora ostacolato da considerazioni riguardo la compatibilità con il sistema giudiziario e la politica legislativa nipponica. 

Riguardo alla protezione di persone con disabilità, il rapporto nazionale del Giappone fornisce un ricco resoconto delle misure adottate per garantire l’indipendenza e la piena partecipazione sociale di questa categoria. In particolare, il governo presenta le sue più recenti misure incentrate sull’eliminazione di atti discriminatori in ogni contesto, sulla garanzia di assistenza medica, su forme di supporto e agevolazione sia in ambiente scolastico che lavorativo. 

Una sezione del rapporto nazionale viene anche dedicato ai diritti delle donne. Più specificatamente, il Giappone indica l’adozione del Quinto piano per l’uguaglianza di genere, con il quale si intende aumentare la partecipazione delle donne in tutti i campi, dalla politica, l’economia fino all'amministrazione pubblica. Nel documento il governo giapponese annovera inoltre le sue iniziative in campo di sensibilizzazione sulla discriminazione di genere, tra cui l’essere stato il paese ospitante della World Assembly for Women (WAW!) per cinque volte dal 2014. Non mancano riferimenti a misure contro la violenza di genere, in particolare il continuo supporto e potenziamento delle linee telefoniche di assistenza, supporto legale specifico e predisposizione degli organi di polizia verso il fenomeno. 

Il documento prosegue nell’illustrare i meccanismi di protezione messi in atto per altre categorie di individui. Riguardo la lotta contro il traffico di esseri umani, il Giappone testimonia il proprio impegno nell’ implementazione nazionale del Protocollo UN TIP e della Convenzione di Palermo. Per quanto concerne l’assistenza rivolta alle varie tipologie di minoranze presenti nel contesto nipponico, il rapporto passa in rassegna gli sforzi messi in atto per incrementare la sensibilizzazione sui diritti umani della comunità LGBT+, gli Ainu e i residenti stranieri. 

Le critiche sollevate dalla società civile riguardano tuttavia varie aree di applicazione degli standard dei diritti umani. Per cominciare, Amnesty International ha accusato il Giappone di non aver ratificato nessuno degli strumenti internazionali che si era impegnato a ratificare nei precedenti cicli. JFBA ha espresso rimostranze sulla mancata ratifica di varie convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), tra cui la n. 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali. La stessa organizzazione ha recriminato la riluttanza del Giappone ad adempiere alle raccomandazioni di vari organi dei trattati sui diritti umani sulla base del fatto che non sarebbero legalmente vincolanti.  

Sul tema della discriminazione, alcuni membri della società civile, tra cui Amnesty International, hanno espresso preoccupazione sulla mancata promulgazione di una normativa antidiscriminatoria nel senso globale del termine. Mindan per esempio ha notificato come gli stranieri residenti in Giappone, soprattutto i coreani, sono abitualmente vittime di eventi discriminatori, in particolare nel campo degli alloggi, dell'occupazione e del matrimonio. Nonostante il riconoscimento di alcuni progressi fatti nell’ottica della discriminazione basata sull’orientamento sessuale, organizzazioni come HRN e JFBA sottolineano come il governo giapponese non abbia adempiuto a precedenti raccomadazioni e come la comunità LGBT continui a soffrire dell’assenza di una legge contro la discriminazione sulla base dell’identità di genere.   

Per quanto riguarda il diritto alla vita e all’integrità fisica, vari attori della società civile hanno criticato la segretezza delle procedure della pena di morte e la mancata messa in atto di una moratoria. Sin dall’UPR del 2012 il numero di persone condannate a morte in Giappone è andato aumentando. Riguardo il tema della pena capitale, il governo giapponese continua a sollevare la giustificazione del supporto da parte dell'opinione pubblica e ha nuovamente dichiarato di non avere in programma di istituire nessun forum di discussione sull’argomento. Anche la questione delle comfort women, le circa 200.000 donne ridotte in schiavitù sessuale dai militari giapponesi durante la seconda guerra mondiale, è stata sollevata da più organizzazioni, che hanno criticato il mancato rispetto degli standard internazionali nella compensazione dei danni subiti dalle vittime.

Le organizzazioni evidenziano inoltre la disuguaglianza economica tra uomini e donne, che secondo le ONG sarebbe aumentata, con le seconde in situazione di svantaggio rispetto ai primi. I membri di minoranze etniche soffrono discriminazioni anche sul lavoro e le donne appartenenti a minoranze sono particolarmente colpite. Nell’edizione 2023 del Global Gender Gap Report del World Economic Forum il Giappone è arrivato 125esimo su 146 paesi, scendendo di 9 posizioni rispetto all'anno precedente. Questa è la posizione più bassa che il paese abbia raggiunto dal 2006, anno di pubblicazione del primo report. 

Condizione femminile: esame del Giappone da parte del Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne

Viste le preoccupazioni legate alla condizione femminile sollevate durante la UPR del 2012, è di particolare interesse approfondire le raccomandazioni formulate dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne nei confronti del Giappone durante l’ultimo esame periodico, che ha avuto luogo nel 2016. Il suddetto comitato è l’organo che monitora l’implementazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), che il Giappone ha ratificato nel 1985.

Il Comitato ha apprezzato la ratifica da parte del Giappone della CPED e della CRPD e ha inoltre accolto positivamente le misure legislative adottate, tra cui il Terzo piano per l’uguaglianza di genere e la riforma del lavoro part-time, che riguarda soprattutto le lavoratrici. Tuttavia, ha espresso raccomandazioni per garantire la non discriminazione sul lavoro e in altri ambiti fondamentali.

Il Comitato raccomanda al parlamento di attuare pienamente i contenuti delle convenzioni e delle riforme legislative adottate. Inoltre, richiama il Giappone all’adozione di una definizione di discriminazione contro le donne in linea con l’articolo 1 della CEDAW, con attenzione a tutte le sfere della vita pubblica e privata e alla situazione delle donne appartenenti a minoranze etniche. Il Comitato raccomanda anche l’adozione di misure temporanee speciali come le c.d. quote rosa e la creazione di meccanismi che garantiscano il rispetto e la protezione dei diritti delle donne. I sistemi previsti devono essere in grado di contrastare gli stereotipi e la violenza di genere in tutte le sfere della vita pubblica e privata.

In materia di traffico di esseri umani, il Comitato raccomanda controlli sul lavoro, cooperazione con altri paesi e la ratifica del Protocollo per la prevenzione, soppressione e punizione del traffico di esseri umani, soprattutto donne e bambini, addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale.

Per quanto riguarda invece la questione delle comfort women, il Comitato nota che il governo giapponese non ha adottato un approccio orientato alle vittime e alla riparazione del torto nella messa in atto di soluzioni e risposte al problema. Inoltre, molte comfort women sono defunte senza mai ottenere riparazioni né scuse ufficiali da parte delle istituzioni.

Le raccomandazioni proseguono chiedendo al Giappone di prestare attenzione alle differenze biologiche tra uomini e donne nel gestire la situazione degli sfollati nelle aree contaminate da radiazioni a Fukushima. Inoltre, il Comitato chiede la de-criminalizzazione dell’aborto e l’abolizione dell’obbligo di ottenere il consenso del marito ad abortire.

Infine, il Comitato raccomanda coerenza e azioni pratiche nella messa in atto della Dichiarazione di Pechino e del Programma d’azione sulla realizzazione dei diritti delle donne.

Istituzioni nazionali per i diritti umani

Il Giappone sta progettando la creazione di un’istituzione nazionale per i diritti umani e ha anche ottenuto l’assistenza dell’Asia-Pacific forum of national human rights institutions (APF) per la sua realizzazione coerentemente con i Principi di Parigi. Tuttavia, il progetto giapponese è stato duramente criticato dalla società civile durante la UPR del 2012, poiché ritenuto incoerente con questi. Durante l’esame periodico sull’implementazione della CEDAW svolto nel 2016 il Comitato ha espresso le stesse preoccupazioni. Anche durante il quarto ciclo dell’UPR varie organizzazioni della società civile hanno espresso la mancanza di una tabella di marcia effettiva per l’implementazione. 

Aggiornato il

13/3/2024