Values, Intercultural Dialogue and Making It Pay to Be Good: More than a Research Agenda, but also a Policy Approach for the European Union to Promote in the World
Valori, dialogo interculturale e cosa fare perché il bene paghi: più che un programma di ricerca, un approccio alle politiche che l'Unione Europea dovrebbe promuovere nel mondo
Peter G. Xuereb
This paper sets out that which the author sees as the key challenges for us all at this point in history, and his view of a vital contribution that academics can make, in the context of projects such as the Padua Jean Monnet European Centre of Excellence Project, to the evolution of the Union and its policies in a global context. It argues that we begin to answer the question: «How should we in Europe evolve?» by first asking «What kind of a world do we want?». For this purpose, two premises are posited. First, there can be no real useful answer without real intercultural dialogue – not least about values and virtues in specific contexts – that feeds consensus at global level. Secondly, that Europe has a degree of «experience» with intergovernmental and then deeper co-operation between sovereign states and peoples that can surely be brought to the forum of dialogue about the future institutional and decision-making shape of our world order. It argues above all that we all together need to make a genuine commitment to the clarification of the philosophy of the «common good» in global, and then European, terms, seeing this as the key question to be addressed by us all at this point in our shared history. It argues that focusing on the common good means focusing on values to be observed at global, European and national level, with institutions and policies inspired by those values and directed towards the perceived common good. Taking the example of the «short-termism» that fuelled the global financial crisis and that of the ever increasing number of persons fleeing from persecution, oppression and poverty, the paper encourages us all to take stock of how our Union works and can work in the world. The really big question posed is: What does Europe stand for? And then, another: What should Europe stand for? To answer these questions, we can draw on the wisdom acquired through the experience of the «European Project» over the last sixty years, while seeking to draw in equal measure on that of other cultures and experiences. In academic terms, theories across all relevant disciplines that have been proven right or wrong, or partially or conditionally right (and therefore partially or conditionally wrong), need to be reassessed and drawn together to produce new insights and paradigms that can be more easily embraced and shared across all borders. Yet, it is argued, none of this intellectual effort makes sense, nor can it lead to the desired objectives, without the parallel global dialogue as to What is good (or bad), and What is right (or wrong)? This may itself point to the reshaping of international institutions, or the devising of new ones, that are capable of this dialogue and of making decisions on this basis. It may lead to new international law. The paper argues that academics have, as they have had throughout the ages, a continuing vital role in the construction of a new world order, European order and national orders based more firmly on the ideal of the global common good. Principle, conscience and enlightened self-interest can all be the reasons for a policy approach that also asks: How can we make it pay to be good?
L'articolo delinea quelli che l'autore considera le sfide principali per tutti noi in questo momento storico e il contributo fondamentale che può venire dal mondo accademico, in particolare nel quadro di progetti come quello del Centro Europeo d'Eccellenza Jean Monnet dell'Università di Padova, per favorire l'evoluzione dell'Unione e delle sue politiche in un contesto globale. La domanda di partenza è la seguente: Quale evoluzione per l'Europa? Ciò tuttavia presuppone la risposta a un'altra domanda: Che tipo di mondo vogliamo? L'articolo pone due premesse generali. La prima: non si possono dare risposte veramente utili se si prescinde da un effettivo dialogo interculturale – relativo per lo meno a quali sono i valori e le virtù propri di un particolare contesto – idoneo a sostenere un consenso globale. Seconda premessa: l'Europa ha una particolare «esperienza» in materia di cooperazione – prima meramente intergovernativa, poi sempre più approfondita – tra Stati sovrani e popoli, un'esperienza che merita di essere valorizzata nel dibattito in corso sull'assetto istituzionale e decisionale dell'attuale ordinamento mondiale. L'articolo precisa prima di tutto che tutti insieme dobbiamo fare uno sforzo per chiarire la filosofia del «bene comune» in prospettiva globale e, successivamente, europea: si tratta di una questione di fondamentale importanza in questa fase della storia dell'umanità. Concentrarsi sul bene comune significa mettere a fuoco i valori che vanno coltivati a livello globale, europeo e nazionale, nonché sulle politiche e le istituzioni ispirate a tali valori e funzionali all'attuazione del bene comune così concepito. L'autore porta l'esempio della crisi finanziaria globale, alimentata dalla sindrome del breve periodo, nonché l'esempio dei flussi crescenti di individui che fuggono da persecuzione, oppressione e povertà, per incoraggiare tutti noi a fare il bilancio di come l'Unione opera e può operare a livello globale. La domanda veramente fondamentale a questo proposito è: Per che cosa esiste Europa? E poi: Per che cosa dovrebbe esistere l'Europa? La risposta a queste domande non può che derivare da quanto di meglio ha prodotto l'esperienza del «Progetto Europa» negli ultimi sessant'anni, cercando allo stesso tempo però di trarre contenuti e spunti da altre culture e altre esperienze. In termini scientifico-accademici, si tratta di riconsiderare e mettere a confronto quelle teorie che, nelle diverse discipline pertinenti, si sono dimostrate giuste o fallaci, ovvero parzialmente e condizionatamente giuste (e quindi anche parzialmente e condizionatamente fallaci), allo scopo di produrre nuove intuizioni e paradigmi che possano essere adottati e condivisi al di là dei nostri confini. Uno sforzo intellettuale che ha senso, tuttavia, e può condurre all'obiettivo desiderato solo se accompagnato parallelamente da un dialogo globale su che cosa è Bene (o che cosa è Male) e che cosa è Giusto (ovvero fallace). Da tale dialogo potrà nascere una riconfigurazione delle esistenti istituzioni internazionali, ovvero la prefigurazione di nuove istituzioni, capaci di sostenere il dialogo stesso e di prendere decisioni fondate su di esso. Cià può portare a un nuovo Diritto internazionale. L'articolo sostiene che il mondo accademico continua ad avere, come del resto ha avuto nei secoli passati, un ruolo vitale nella costruzione di un nuovo ordine mondiale, nonché di un ordine europeo e nazionale, fondato in modo più solido sull'ideale di un bene comune globale. Valori, coscienza e un'illuminata considerazione dei propri interessi, possono rappresentare il fondamento di politiche che si pongano anche questa domanda: Che cosa fare perché il bene paghi?