La Corte Costituzionale italiana ha pubblicato una sentenza significativa per le persone trans e non-binarie
La recente sentenza della Corte Costituzionale italiana, emessa il 23 luglio 2024, ha suscitato un ampio dibattito su temi di grande rilevanza per i diritti delle persone transgender e non-binarie.
Questa decisione fa riferimento a un caso presentato dal tribunale di Bolzano in cui una persona trans di 24 anni aveva chiesto di avere sui documenti il genere “altro” o “non-binario”, al posto di “maschile” o “femminile”, e che le venisse riconosciuto il diritto a sottoporsi a un intervento di mastectomia, cioè rimozione del seno, nonostante non volesse che venisse indicato il genere maschile sui documenti.
Il Tribunale di Bolzano si è rivolto alla Corte Costituzionale ponendo due questioni distinte: la prima concerne la dimensione – relativamente nuova per il diritto – della rivendicazione di un’identità di genere non binaria, mentre la seconda fa riferimento alle persone che transitano dal genere femminile al maschile, o viceversa, ormai ben nota all'ordinamento italiano.
Attualmente, le persone trans che desiderano iniziare una terapia ormonale per modificare il proprio aspetto devono seguire un percorso medico e psicologico alla fine del quale ottengono il cosiddetto “nulla osta”, ovvero un’autorizzazione formale. Per sottoporsi alle cosiddette “operazioni chirurgiche di riassegnazione del sesso” invece serve sempre un’autorizzazione apposta del tribunale. Questo significa che molte persone che sono già state valutate da un’équipe di medici si trovano a dover aspettare i lunghi tempi della giustizia per potersi operare.
Nella sentenza n.143 del 23 luglio, la Corte Costituzionale ha dichiaratoincostituzionale l’articolo 31, comma 4, del decreto legislativo 150 del 2011, secondo cui le persone trans che intendono sottoporsi a operazioni chirurgiche di riassegnazione del sesso devono chiedere in tutti i casi l’autorizzazione a un tribunale. La Corte ha stabilito che chi ha già ottenuto l’autorizzazione medica per la transizione ormonale e il cambio di genere sui documenti, dovrebbe essere considerato autorizzato anche per le operazioni chirurgiche.
Per quanto riguarda invece l’indicazione del genere sui documenti, la Corte ha confermato che la richiesta di introdurre una terza dicitura, oltre a “maschile” e “femminile”, è inammissibile perché «l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema». Al momento tutti i documenti ufficiali contemplano solo le opzioni “maschile” e “femminile” e l’introduzione di una terza dicitura richiederebbe l’adattamento di un enorme sistema burocratico oltre che legislativo. Tuttavia, ha sottolineato che la Costituzione riconosce la centralità della persona e che questo pone «la condizione non binaria all'attenzione del legislatore».
Negli ultimi anni, la questione dell'inclusione di un terzo genere sui documenti di identità ha ricevuto crescente attenzione a livello globale. In molti paesi, dove c'è una maggiore sensibilità verso le tematiche di genere, sono state adottate misure per rispondere a queste esigenze. Ad esempio, in Belgio e nei Paesi Bassi è possibile richiedere l'eliminazione di qualsiasi riferimento al genere sui documenti d'identità. In Europa, paesi come Islanda, Austria, Danimarca e, prossimamente, anche la Germania, hanno introdotto una terza opzione di genere, spesso indicata come “non binario” o “X”.
A livello internazionale, la possibilità di registrare un terzo genere è già una realtà in paesi come Colombia, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Cile, Brasile, Stati Uniti (con variazioni tra i singoli stati) e Canada.
Tuttavia, non esiste ancora un consenso uniforme a livello europeo e internazionale su questa questione. Recentemente, la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che l'articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani non impone agli Stati l'obbligo di introdurre una registrazione non binaria, poiché non è possibile considerare esistente un consenso europeo al riguardo (sentenza 31 gennaio 2023, Y. contro Francia).
La sentenza della Corte Costituzionale italiana rappresenta un significativo passo avanti nella tutela dei diritti delle persone transgender e non binarie, chiarendo importanti aspetti riguardanti la transizione di genere e l'accesso alle operazioni chirurgiche. La decisione di dichiarare incostituzionale l’obbligo di ottenere un’autorizzazione giudiziaria per tali interventi riflette una crescente consapevolezza e un impegno verso una maggiore equità nel trattamento delle persone trans.
Tuttavia, la Corte ha messo in luce le attuali limitazioni del sistema burocratico italiano nella registrazione di un terzo genere. Questo continua a essere un argomento di dibattito, che evidenzia le discrepanze tra i diversi ordinamenti e sottolinea la necessità di una riforma legislativa ben ponderata.
In definitiva, la sfida rimane quella di bilanciare i diritti individuali con le esigenze legislative e burocratiche, e di proseguire verso una società più inclusiva e rispettosa delle diverse identità di genere.