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Intervista al prof. Antonio Papisca a cura di Francesca Sabatinelli
R. - Nel caso specifico della Libia, c'è un principio, sempre più affermato nel diritto della comunità internazionale, e cioè la responsabilità di proteggere la popolazione civile, che viene massacrata. Qui siamo in presenza di una decisione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e sollecitata non soltanto da singoli Stati, ma addirittura da organizzazioni internazionali regionali: dalla Lega degli Stati arabi e dalla stessa Organizzazione della Conferenza islamica e, alla fine, anche dall'Unione Europea. E' molto importante, quindi, la piattaforma legale, la legittimazione anche formale: ci troviamo di fronte a una legittimazione a tutto tondo. In questo caso specifico, si deve sottolineare come l'Onu abbia funzionato - e quindi il Consiglio di sicurezza - da entità legittimante. La stessa Onu, poi, agirebbe in termini di coordinamento politico dell'operazione, attraverso un qualcosa che è invece nuovo nella prassi: il Consiglio di sicurezza, con la Risoluzione 1970 e con la Risoluzione 1973, ha istituito una sorta di "cabina di regia" al plurale, dove troviamo insieme gli Stati, le organizzazioni regionali, ai quali si aggiunge l'Unione Europea. Ci troviamo di fronte ad un caso nuovo.
D. - Nella Risoluzione che legittima la no-fly-zone è specificato che l'operazione non deve tradursi in occupazione territoriale
R. - Qui ha funzionato la lezione dell'Iraq e di altre vicende belliche avventurose. Il fatto di escludere l'occupazione territoriale deve sgombrare l'orizzonte da velleitarismi post-colonialisti. Bisogna che anche i generali, oltre che i politici, si mettano nell'ottica dell'uso del militare per fini di polizia militare internazionale: l'atteggiamento da usare è l'animus iustitiae e non l'animus destruendi che significa, prima di tutto, salvaguardia della vita delle popolazioni e significa poi perseguire i presunti criminali.
21/3/2011