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Articolo 20
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.
2. Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione
Perché siano legittime ed abbiano quindi diritto ad essere garantite dalla legge, riunioni e associazioni devono essere “pacifiche”, quanto a scopi e quanto a mezzi e modalità di operare. Ritroviamo questo aggettivo nel testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti” (1998), in particolare nell’articolo 12: “Tutti hanno diritto, individualmente e in associazione con altri, di partecipare ad attività pacifiche contro le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali” (corsivo aggiunto).
L’Articolo 1 di questa Magna Charta dei difensori dei diritti umani proclama che la promozione e la realizzazione dei diritti umani può avvenire sia individualmente sia “in associazione con altri”. Il successivo Articolo 5 è di particolare importanza per il ruolo che le formazioni organizzate di società civile possono svolgere nello spazio glocale, che comincia nella città e nel villaggio e si estende fino alle grandi istituzioni multilaterali: “Allo scopo di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali, tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, a livello nazionale e internazionale: a) di riunione e assemblea pacifica; b) di formare, aderire e partecipare a organizzazioni non governative, associazioni o gruppi; c) di comunicare con organizzazioni non governative o intergovernative”.
Si è dunque legittimati a formare organizzazioni non soltanto a struttura e raggio di operatività locali o nazionali, ma anche internazionali o, più precisamente, transnazionali. Amnesty International è la tipica organizzazione non governativa transnazionale.
Di strutture organizzative, liberamente e spontaneamente create in ambienti che oggi chiamiamo di società civile globale, c’è traccia già nella Carta delle Nazioni Unite (1945). L’Articolo 71 dispone infatti che “il Consiglio Economico e Sociale può prendere opportuni accordi per consultare le organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrano nella sua competenza. Tali accordi possono essere presi con organizzazioni internazionali e, se del caso, con organizzazioni nazionali, previa consultazione con lo Stato membro delle Nazioni Unite interessato”.
E’ utile ricordare che, sulla base di questa disposizione, si è sviluppata una formale prassi di “status consultivo” di cui le organizzazioni non governative, ONG, possono avvalersi al fine di partecipare, in veste appunto consultiva, ai processi di presa delle decisioni alle Nazioni Unite e in altre organizzazioni intergovernative. Perché possano ottenere questo “status”, le ONG devono perseguire fini compatibili con quelli delle Nazioni Unite e avere una struttura democratica. Le ONG alle Nazioni Unite sono oltre 3.500 delle circa 50.000 censite nell’Annuario dell’Unione delle Associazioni Internazionali, UAI. Circa 400 sono quelle presso il Consiglio d’Europa. Le ONG sono anche all’UNESCO, alla FAO, all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nell’Unione Europea non esiste il regime dello “status consultivo”, ma le ONG, talora chiamate anche ‘organizzazioni di società civile’, OSC, possono far parte dei numerosi “Comitati consultivi” della Commissione e del Consiglio e partecipare al cosiddetto “dialogo civile” nonché ricevere contributi finanziari nel quadro di specifici programmi europei. In particolare, nell’UE sono attive reti europee di società civile che hanno preso la forma di “piattaforme europee”: Piattaforma delle ONG sociali europee, Forum europeo della disabilità, Lobby europea delle donne, Network europeo contro la povertà, Confederazione delle ONG europee per l’aiuto e lo sviluppo, Green Ten, e molte altre.
Come per altri Articoli della Dichiarazione universale, anche per l’Articolo 20 il Patto internazionale sui diritti civili e politici precisa e integra il contenuto. Stabilisce infatti il suo Articolo 22 che il diritto alla libertà di associazione “include il diritto di costituire sindacati e di aderirvi per la tutela dei propri interessi”. Prevede inoltre che la legge interna degli stati possa porre restrizioni all’esercizio di tale diritto, in particolare se i soggetti sono “membri delle forze armate e della polizia”.
Le riunioni possono consistere anche in manifestazioni di carattere anomico, ma nonviolento, nel senso di andare oltre, ma non contro, la legge: tali sono, per esempio, i sit-in, le marce, i cortei, i digiuni.
Le organizzazioni non governative e, più in generale, le associazioni a fini di solidarietà, svolgono un ruolo importante anche per quanto riguarda la preparazione di documenti giuridici internazionali, partecipando attivamente, con proposte, alle attività degli appositi “Gruppi di lavoro” formati dagli stati. Si ricorda, fra i tanti esempi, quello del ruolo svolto all’ONU da “Save the Children” e da Amnesty International per la elaborazione del testo della Convenzione internazionale sui diritti dei bambini, o dalle associazioni delle persone con disabilità (tra le quali, molto attiva, la FISH) per la più recente Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità. Le ONG, per rendere ancora più efficace il lavoro di solidarietà e liberazione umana, sempre più si coordinano all’interno di reti (networks) o di piattaforme: tra le tante, si segnalano la rete delle ONG che hanno promosso la Convenzione internazionale per l’interdizione delle mine antipersona e ne sorvegliano l’applicazione, la rete di ONG che hanno “campagnato” per la creazione della Corte penale internazionale e sorvegliano l’applicazione della Convenzione internazionale che ne contiene lo Statuto. Ancora: numerose ONG stanno seguendo l’iter di approvazione finale dei “Principi-guida su diritti umani e povertà estrema: i diritti del Povero”, documento preparato dal Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite. Le ONG presentano ai pertinenti Comitati diritti umani delle Nazioni Unite contro-rapporti rispetto ai rapporti che gli stati sono giuridicamente obbligati a sottoporre ogni quattro o cinque anni all’esame di detti Comitati.
La fertile galassia dell’associazionismo transnazionale non profit è in continuo sviluppo e sempre più consapevolmente si riconosce nel Diritto internazionale dei diritti umani e ne rivendica l’applicazione in sede nazionale e internazionale. Gli operatori delle ONG, in particolare di quelle che si caratterizzano per spirito di volontariato, sono i genuini pionieri della cittadinanza universale.
Sempre più chiaro e marcato in senso politico è il ruolo svolto da “coordinamenti” quali la Tavola della Pace, che promuove e organizza la Marcia della pace Perugia-Assisi e, a partire dal 1995, le sessioni biennali dell’Assemblea dell’ONU dei Popoli, di altissima visibilità e rappresentatività internazionale. Vanto dell’Italia democratica in sede internazionale è anche il ‘Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani”, associazione formata da oltre 700 tra Comuni, Province e Regioni, che rappresentano più della metà della popolazione della Repubblica Italiana. Essi sono, primariamente, “Organi della società”, dunque sono tra i soggetti presi in considerazione della Magna Charta dei difensori dei diritti umani. Come tali, sono gli alleati naturali delle formazioni organizzate di società civile.
E’ appena il caso di sottolineare che l’associazionsimo è linfa vitale della democrazia, soprattutto della democrazia partecipativa. L’Italia è ricca di associazionismo e di volontariato e i suoi governanti dovrebbero esserne consapevoli, anche per rappresentare in sede internazionale il volto pulito e creativo del Paese.
Infine, una competente e responsabile educazione civica, a cominciare da quella impartita nelle scuole, deve motivare i giovani a far parte attiva di organizzazioni non governative e di gruppi di volontariato. Presso ogni scuola dovrebbe figurare l’elenco delle associazioni e dei gruppi di volontariato, che i rispettivi Comuni e Regioni tengono aggiornato. Gli insegnanti-educatori non esitino a invogliare i giovani ad esercitare responsabilità sociale nella forma del servizio al bene comune e ai gruppi più vulnerabili. Questo non è ‘fare propaganda’, ma “indicare percorsi d’azione” quale componente essenziale del programma educativo. Certamente, come dice l’articolo 20 della Dichiarazione universale, ‘nessuno può essere costretto a far parte di una associazione”: l’educatore infatti elucida valori, aiuta a interiorizzarli, indica percorsi per la loro incarnazione. Ai giovani e alle loro famiglie tirarne le somme, in tutta libertà.
E il servizio civile? Spesso non è una ‘parentesi’, ma l’occasione per scoprire una vocazione, anche professionale. Che si vergognino quei governanti che lesinano i fondi per lo sviluppo di questa palestra di autentico civismo e solidarietà.
16/7/2009