Articolo 22 - Sicurezza Umana
Articolo 22
Ogni
individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza
sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la
cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le
risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua
personalità
Con questo Articolo, la Dichiarazione universale apre la serie di norme
che fanno riferimento al valore del benessere integrale dalla persona
umana in ottica di welfare e di stato sociale, fornendo così le radici
al successivo Patto internazionale del 1966 dedicato specificamente ai
diritti economici, sociali e culturali. L’Articolo 9 di quest’ultimo
stabilisce l’obbligo degli Stati parti di “riconoscere il diritto di
ogni individuo alla sicurezza sociale, ivi comprese le assicurazioni
sociali”.
L’Articolo 22 della Dichiarazione fa riferimento alla persona quale ‘membro della società’, dalla quale deve ricevere e alla quale deve dare. C’è qui sottesa la filosofia del personalismo comunitario all’interno della più ampia visione di umanesimo integrale. Alla sicurezza sociale viene infatti associata la realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali, “indispensabili “ alla dignità umana e al libero sviluppo della personalità. Nel commentare i precedenti Articoli, abbiamo più volte evocato la verità ontologica dell’integrità dell’essere umano, fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia.
Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, che sorveglia l’applicazione del citato Patto internazionale, definisce il diritto alla sicurezza sociale come quello che comprende “il diritto ad accedere e mantenere benefici, sia in danaro sia in natura, senza discriminazione, al fine di assicurare la protezione, tra l’altro, dalla mancanza di reddito da lavoro causata da malattia, disabilità, maternità, incidenti sul lavoro, disoccupazione, anzianità, morte di membri della famiglia, nonché da precario accesso alle cure sanitarie, insufficiente aiuto alla famiglia, in particolare per i bambini e gli adulti non auto-sufficienti”.
Possiamo quindi definire la sicurezza sociale della persona come quella
condizione nella società che le consente di essere, quanto più
possibile, libera dal bisogno, oltre che dal potere e dalla paura.
L’Articolo 22 della Dichiarazione usa il termine ‘libero sviluppo’
della personalità. Oggi, quando parliamo di ‘sviluppo’, abbiamo in
mente processi di ampiezza planetaria, con prevalente riferimento alle
popolazioni dei paesi ad economia povera e con particolare attenzione
ai programmi della cooperazione internazionale allo sviluppo.
La Dichiarazione delle Nazioni Unite “sul diritto allo sviluppo” (1986)
fornisce una definizione multidimensionale dello sviluppo come “un
ampio processo economico, sociale, culturale e politico, che mira al
costante miglioramento del benessere dell’intera popolazione e di tutti
gli individui sulla base della loro attiva, libera e significativa
partecipazione allo sviluppo e nell’equa distribuzione dei benefici che
ne derivano” (corsivo aggiunto). L’Articolo 2 di questa Dichiarazione
proclama che “la persona umana è il soggetto centrale dello sviluppo e
deve essere partecipante attivo e beneficiario del diritto allo
sviluppo” e che “tutti gli esseri umani, individualmente e
collettivamente, hanno la responsabilità dello sviluppo, tenendo conto
del bisogno che siano pienamente rispettati i loro diritti e libertà
fondamentali e i loro doveri verso la comunità, che solo può assicurare
la piena e completa realizzazione dell’essere umano”.
Dunque, centralità della persona e sviluppo della personalità in un
contesto di responsabilità condivise. L’appello alla responsabilità
personale è contestuale all’obbligo imposto alle pubbliche istituzioni
di garantire la sicurezza sociale delle persone attraverso “lo sforzo
nazionale e la cooperazione internazionale” per soddisfare i diritti
economici, sociali e culturali.
Lo “stato sociale” non è pertanto
un optional per gli stati, è quanto dispone anche il secondo comma
dell’Articolo 3 della Costituzione Italiana: “E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”. Insomma lo “stato sociale” è
altrettanto indispensabile dello “stato di diritto”, sono le due facce
di quella medaglia che si chiama: “statualità umanocentrica”.
Il citato Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali chiarisce che gli stati hanno l’obbligo di istituire e far funzionare un “sistema” di sicurezza sociale che può essere variamente articolato (anche con interconnessioni pubblico-privato), ma comunque sempre in grado di garantire le persone contro rischi e imprevisti sociali, tale quindi da coprire almeno nove settori: sanità, malattia, vecchiaia, disoccupazione, invalidità da incidenti sul lavoro, aiuto alla famiglia e ai bambini, maternità, disabilità, orfani.
L’Articolo 22 della Dichiarazione universale indica anche l’ambito
spaziale e istituzionale in cui il diritto alla sicurezza sociale deve
essere soddisfatto: nazionale e internazionale. Allo Stato si chiede di
‘sforzarsi’ tenuto conto della sua “organizzazione” e delle sue
“risorse”. Dunque, non alla mercè di questa o quella ideologia. Il
suddetto articolo dice anche: se tu, Stato, non ce la fai coi tuoi
propri mezzi, è tuo obbligo renderti parte attiva nel funzionamento
degli organismi multilaterali perché si realizzino politiche di governo
dell’economia mondiale nel segno di tutti i diritti umani per tutti e
della giustizia sociale.
Il Diritto internazionale dei diritti
umani non dà posto al neoliberismo, alla sovranità del mercato, alla
deregulation, all’ultima variazione sul tema ‘mercato’: la flexicurity,
di cui diremo più ampiamente commentando il “diritto al lavoro”.
Durante l’orgia di deregulation, neoliberismo, ‘nuova economia’, ‘economia virtuale’ degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, di cui oggi paghiamo pesantemente le conseguenze, si sentiva inneggiare: “più società, meno stato”. L’imperativo dei diritti umani dice invece: “più società, più pubbliche istituzioni, più stato sociale, più multilateralismo”. La garanzia dei diritti umani esige che ci siano, e funzionino correttamente, pubbliche istituzioni gestite da persone le quali avvertano fino in fondo che la loro responsabilità è “pubblica” e che la loro legittimazione, sostanziale e formale, deriva dal rispetto che esse hanno per la eguale dignità delle persone e per i loro bisogni vitali.
Battuta finale: la Conferenza Internazionale del Lavoro (89° sessione, 2001) ha ribadito che “la sicurezza sociale è un fondamentale diritto umano ed un altrettanto fondamentale mezzo per creare coesione sociale”. Come dire: riducendo insensatamente la spesa sociale, oltre che danneggiare l’integrità psico-fisica delle persone, si mette a rischio la ‘pace sociale’ e la democrazia. I Governi Locali, che sono in prima linea nel dover rispondere ai bisogni di sicurezza sociale di quanti vivono nei loro territori, ne sanno qualcosa. Che lo Stato renda loro possibile l’esercizio della loro primaria “responsabilità di proteggere” i diritti umani.”