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Due carrarmati somali, in collaborazione con la missione dell'Unione africana in Somalia, attraversano un campo al tramonto.
© UNphoto/Stuart Price

Crimine di aggressione

Autore: Claudia Pividori

Pur prevista dall’art. 5 dello Statuto, la competenza della Corte penale internazionale sul crimine di aggressione era stata demandata a un momento successivo, ove, attraverso l’adozione di una disposizione in conformità agli artt. 121 e 123, la definizione di tale crimine e delle condizioni per l’esercizio della giurisdizione fossero stabilite.

Nel corso della 16° sessione, svoltasi a New York dal 4 al 14 dicembre 2017, l'Assemblea degli Stati Parte (ASP) ha adottato per consenso una risoluzione che attiva la giurisdizione della Corte penale internazionale sul crimine di aggressione a partire dal 17 luglio 2018.

Nel corso della stessa Conferenza di Roma del 1998, era stato nominato un apposito gruppo di lavoro, lo Special Working Group on the Crime of Aggression, il cui compito doveva essere quello di giungere ad una elaborazione condivisa in materia di aggressione.

Dopo anni di lavori preparatori e due settimane di intenso negoziato, a Kampala sono stati adottati alcuni importanti emendamenti in materia, che di seguito si andranno ad analizzare. Non bisogna peraltro dimenticare che in quell'occasione si stabilì che l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte sul crimine di aggressione poteva divenire effettivo solamente:

- un anno dopo la ratifica degli emendamenti da parte di almeno 30 Stati (ad oggi - febbraio 2018 - sono 35 gli Stati che hanno proceduto alla ratifica);
- a seguito di una decisione in questo senso degli Stati parti, da adottarsi a maggioranza di due terzi, non prima del primo gennaio 2017.

Rispetto alla discussione sulle condizioni per l’esercizio della giurisdizione, l’adozione della definizione del crimine di aggressione è stato un passaggio relativamente semplice nel corso dei negoziati. L’ art. 8 bis definisce sia il crimine di aggressione imputabile all’individuo (para. 1) che l’atto di aggressione portato a compimento dallo Stato (para. 2).

L’atto di aggressione da parte dello Stato viene formulato, riprendendo la disposizione dell’art. 1 della Risoluzione 3314 (XXIX) adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974, come «l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in ogni altra maniera contraria alla Carta delle Nazioni Unite». Dall’art. 3 della citata Risoluzione viene altresì ripreso l’elenco esemplificativo delle azioni qualificanti atto di aggressione, ovvero l’invasione o l’occupazione militare, il bombardamento, il blocco dei porti e delle coste, l’invio di bande di mercenari, ecc.

Il crimine di aggressione commesso da un individuo viene definito come «pianificazione, preparazione, scatenamento o esecuzione, da parte di una persona che sia nella posizione di esercitare un controllo effettivo o di dirigere l’azione politica e militare dello Stato, di un atto di aggressione che, per carattere, gravità e portata, costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite».

Ad una prima analisi appare che la definizione di atto di aggressione sia meno circostanziata di quella di crimine di aggressione. Quest’ultima fattispecie infatti sembra poter insorgere solamente rispetto a quegli atti in manifesta violazione della Carta ONU, ovvero azioni caratterizzate da tutti i tre gli indicatori individuati dal dispositivo dell’emendamento (carattere, gravità e portata dell’atto).

Da questo si può dedurre che, ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale emendato, non tutti gli atti di aggressione in grado di far insorgere la responsabilità internazionale dello Stato potranno essere allo stesso tempo considerati crimini internazionali dell’individuo.

Questo “scollamento” tra l’illecito dello Stato e il crimine dell’individuo sembra porsi in contrasto con le conclusioni alle quali la Commissione di diritto internazionale era pervenuta durante la redazione del Progetto di Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità in merito al legame indissolubile e biunivoco esistente tra una violazione del diritto internazionale commessa dallo Stato e un eventuale accertamento della responsabilità individuale.

L’aspetto senza dubbio più problematico relativamente al crimine di aggressione si è dimostrato essere quello della formulazione delle condizioni per l’esercizio della giurisdizione da parte della Corte. Uno dei nodi da risolvere è stato quello del ruolo del Consiglio di Sicurezza, che come vedremo dalle disposizioni che seguono ha visto accresciuta la sua centralità.

Diversamente da quanto elaborato dallo Special Working Group on the Crime of Aggression, che aveva proposto un’unica disposizione, la Conferenza di revisione ha adottato un emendamento che diversifica le modalità di esercizio della giurisdizione della Corte: l’art. 15 bis si applica nel caso di referral da parte di uno Stato e di iniziativa proprio motu del Procuratore, l’art. 15 ter nel caso di referal del Consiglio di Sicurezza.

Per quanto riguarda il caso di attivazione proprio motu del Procuratore, l’emendamento prevede che prima di procedere, egli debba prima verificare che i Consiglio di Sicurezza abbia accertato la commissione di un atto di aggressione da parte dello Stato considerato. Tuttavia, se nei sei mesi successivi alla comunicazione della procura il Consiglio di Sicurezza non si è pronunciato, il Procuratore ha comunque la facoltà, previa autorizzazione della Camera Preliminare della Corte, di aprire un’indagine.

Se la soluzione adottata appare essere particolarmente garantista e attenta all’indipendenza della Corte, essa ha dovuto essere controbilanciata da alcune previsioni più restrittive, quali ad esempio la possibilità per gli stati parti di rifiutare, mediante un’apposita dichiarazione, le giurisdizione della Corte in materia (art. 15 ter para. 4) oppure la reiterata disposizione sulla possibilità per il Consiglio di Sicurezza di bloccare l’azione della Corte ai sensi dell’art 16 dello Statuto (art. 15 bis para. 8). Infine, è stata esplicitamente esclusa la possibilità per la Corte di esercitare la propria giurisdizione su atti commessi da cittadini di Stati non parti o sul territorio di questi ultimi.

 

Risorse

Aggiornato il

13/2/2018