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La Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo

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Tra il 30 marzo e il 2 maggio 1948 si tenne la nona conferenza internazionale dell’Organizzazione degli Stati Americani a Bogotà in cui si procedette all’adozione della Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri delle persone. Alla sua adozione, la Dichiarazione americana rappresentava il primo strumento internazionale che sanciva un elenco di diritti umani e la necessità di proteggerli. La Dichiarazione universale dei diritti umani, infatti, sarebbe stata adottata solo nel dicembre di quello stesso anno.
Lo status giuridico della Dichiarazione americana

La Dichiarazione americana è stata adottata come uno strumento di soft law, cioè con valore meramente declaratorio e non vincolante. Tale strumento doveva servire come una linea guida per lo sviluppo del nuovo sistema interamericano inaugurato con l’istituzione dell’Organizzazione degli Stati Americani coerentemente con i suoi principi fondanti, tra cui il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo senza distinzione di razza, nazionalità, credo o sesso.

Perché potesse ottenere il consenso degli Stati membri, la Dichiarazione fu concepita come una forma iniziale di protezione dei diritti fondamentali legata alle condizioni sociali e giuridiche dell’epoca, senza escludere però che tale sistema si sarebbe potuto rafforzare in condizioni più favorevoli (Dichiarazione Americana, Considerando IV).

Tuttavia, nel tempo le condizioni sono cambiate e il sistema interamericano si è sviluppato dotandosi di altri strumenti più forti di protezione dei diritti umani. In tale quadro, sia la Commissione sia la Corte americana, così come l’Assemblea Generale dell’OSA, hanno riconosciuto che la Dichiarazione costituisce una fonte di obblighi internazionali per gli Stati membri dell’OSA. A tal proposito, vale la pena di citare la risoluzione 314 (VII-O/77) del 22 giugno 1977, in cui gli Stati incaricavano la Commissione interamericana di preparare uno studio per presentare i loro obblighi derivanti dagli impegni presi con la Dichiarazione americana; oppure la risoluzione 371 (VIII-O/78) dell’1 luglio 1978 in cui l’Assemblea Generale riafferma il suo impegno a promuovere l’osservanza della Dichiarazione americana; e infine la risoluzione 370 (VIII-O/78) dell’1 luglio 1978 in cui ci si riferisce agli impegni internazionali di uno Stato membro per rispettare i diritti riconosciuti nella Dichiarazione americana.

La Corte interamericana ha affermato che la Dichiarazione è il testo che definisce i diritti umani cui la Carta dell’OSA fa riferimento in termini generali. A conferma di tale interpretazione, la Corte cita l’art. 1(2)(b) e l’art. 20 dello Statuto della Commissione americana che definiscono la sua competenza rispetto ai diritti umani enunciati nella Dichiarazione, considerando in tal modo la Dichiarazione americana una fonte di obblighi internazionali legati alla Carta dell’Organizzazione. (Interpretazione della Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri delle persone nel quadro dell’articolo 64 della Convenzione americana sui diritti umani, Op. cons. OC-10/89, 14 luglio 1989, Inter-Am. Ct. H.R. (Ser. A) N. 10 (1989)). Per questo motivo, anche gli stati che non hanno ratificato la Convenzione americana sui diritti umani (ad esempio Cuba, Stati Uniti e Canada), che rappresenta uno strumento vincolante, sono chiamati a rispettare i contenuti della Dichiarazione.

Il contenuto della Dichiarazione 

La Dichiarazione stabilisce che i diritti essenziali della persona non derivano dall’appartenenza ad uno Stato, quindi dalla nazionalità di una persona, ma dal suo attributo di essere umano. Da tale principio discende che i membri dell’OSA riconoscono che la legislazione di uno Stato in materia di diritti fondamentali non crea né concede dei diritti, solo li riconosce in virtù del fatto che tali diritti esistono indipendentemente dall’esistenza di uno Stato.

La Dichiarazione americana consta di 37 articoli suddivisi in due capitoli: il primo dedicato ai diritti della persona umana e il secondo ai suoi doveri.

Le due peculiarità della Dichiarazione sono:

  • i diritti elencati nel primo capitolo (artt. 1-28) includono sia diritti civili e politici sia i diritti economici, sociali e culturali tra cui la proprietà, la cultura, il lavoro, lo svago e la sicurezza sociale;
  • il secondo capitolo, a differenza della Dichiarazione universale, elenca anche i doveri  degli individui nei confronti e all’interno di una società (artt. 29-37).

I doveri dell’individuo includono obblighi verso la società, verso i bambini e i parenti, l’obbligo di ricevere istruzione, l’obbligo di voto, di obbedire alla legge, di servire la comunità e la nazione, di cooperare per il rispetto della sicurezza sociale e il benessere, di pagare le tasse, di lavorare e di astenersi dallo svolgere, in un paese straniero, attività politiche che sono per legge limitate ai cittadini di quel paese.

I limiti alle norme sui diritti umani

L’articolo 28 include una clausola di limitazione generale rispetto alle disposizioni della Dichiarazione sul rispetto dei diritti umani. La clausola prevede che: “i diritti di una persona sono necessariamente limitati dai diritti degli altri, dalla sicurezza di tutti, e dalle giuste pretese di benessere generale e di avanzamento della democrazia”. Tali motivazioni sono, quindi, per i membri dell’OSA, delle giustificazioni legittime per una deroga ai diritti umani. La clausola ammette più fattispecie di quanto non facciano le Nazioni Unite, tuttavia sulla derogabilità dei diritti fondamentali la Corte ha avuto occasione di esprimersi in maniera più restrittiva (si veda, ad esempio, Op. cons. 8/87 del 30 gennaio 1987 – Habeas corpus in stato di emergenza).

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