Dichiarazione universale

Articolo 27 - Contro l'omologazione

Poster con disegno e testo dell'art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
© UN Photo

Articolo 27

1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.

2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore


Quanto dispone l’Articolo 27 è infatti all’insegna della libera fruizione del bello e della creatività in tutti campi, dalla letteratura e dalla poesia alla scienza e a tutte le forme artistiche.
La dimensione umanistica che pervade il diritto e il sapere dei diritti umani trova qui esplicito riconoscimento ed incentivo. C’è il respiro dell’umanesimo integrale, che tonifica la persona nel suo tendere al benessere fisico e psichico.
Il sapere dei diritti umani è, in quanto tale, il sapere del bello, perché è il sapere degli universali che pone al centro l’immenso valore della dignità della persona segnata dalla ragione e dalla coscienza.

La creatività culturale, artistica, scientifica non è fine a se stessa. Essa è in funzione della ricerca della verità nelle sue varie forme. E poiché la verità rende liberi, quello della creatività umana è un percorso di conquista e fruizione di tutte le libertà fondamentali.
Nella congerie di malattie, povertà estrema, violenze, disoccupazione e precarietà del lavoro, corsa al riarmo, inquinamento e distruzione dell’ambiente naturale che, in tutte le parti del mondo, angosciano la vita quotidiana di centinaia e centinaia di milioni di “membri della famiglia umana”, è anche per me difficile procedere sul filo della bellezza e della creatività culturale, artistica e scientifica.

Ma l’inno al bello, alla creatività e alla crescita culturale, come l’inno alle libertà “da” e “per”, è la denuncia più forte che si possa fare delle privazioni e delle umiliazioni cui sono sottoposti tanti esseri umani e le loro famiglie.
Con questa premessa, cercherò comunque di procedere nella sintetica interpretazione dell’Articolo 27. Nell’Articolo in questione si parla di cultura, di arte, di scienza, di partecipazione alla vita culturale e artistica, nonché ai “benefici” (non agli orrori, si badi bene) della scienza.

Cultura e vita culturale hanno ovviamente un significato molto ampio e le definizioni sono innumerevoli. Sociologi, antropologi e filosofi da sempre sono impegnati su questo terreno. La cultura è da intendere non come una statica icona, ma dinamicamente, come un processo che si modifica, evolve o anche involve. Questa dinamica è fatta di credenze, simboli, norme, riti, abitudini, comportamenti che variano a seconda dei luoghi in cui le comunità umane – possiamo anche dire: le ‘articolazioni’ sociali della ‘famiglia umana’ – hanno costruito e vivono le loro specifiche storie.
Poesia, arti visive, musica, scienza sono tra quei beni, immateriali nella loro essenza, che più si fruiscono più si moltiplicano. Fa parte della cultura, anzi del patrimonio culturale, non soltanto tutto ciò che ha il sigillo ufficiale dell’UNESCO come “patrimonio dell’umanità” (World heritage), ma anche altri elementi della produzione culturale (letteraria, artistica, scientifica) che contribuiscono a fare identità e segnano la storia delle comunità umane.

Oggi, nel mondo globalizzato al positivo e al negativo, la vita dei popoli, dei gruppi, delle famiglie, degli individui, “interdipende”. L’interdipendenza planetaria è squilibrata, ci sono popoli e gruppi che, più che interdipendere, dipendono. I territori, anche quelli che per secoli sono stati caratterizzati da mono-culture nazionali, si multi-culturalizzano.
Il campo è aperto per ricercare insieme e condividere un paradigma di valori universali. E’ il campo privilegiato, tipicamente, dalle attività dell’Unesco intese a elucidare concetti e costruirvi sopra accordi internazionali e programmi di cooperazione. Giova ricordare qualche punto della sua Costituzione: “poiché le guerre nascono nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”; “la reciproca ignoranza di storie e modi di vivere è stata causa comune, nella storia dell’umanità, di quel sospetto e di quella mancanza di fiducia tra i popoli che hanno fatto sì che le differenze siano spesso sfociate nella guerra”;  “la più ampia diffusione della cultura e l’educazione dell’umanità per la giustizia, la libertà e la pace sono indispensabili alla dignità della persona e costituiscono sacro dovere al quale tutte le nazioni devono adempiere in uno spirito di reciproca assistenza e impegno”.
L’Unesco è, per sua originaria vocazione, assertrice di interculturalità. La sua Conferenza generale ha adottato il 20 ottobre 2005 (con i soli voti contrari di Usa e Israele) la Convenzione “sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali”, entrata in vigore il 18 marzo 2007, grazie anche alla rapidità con cui tutti gli stati membri dell’UE l’hanno ratificata.
Gli assunti da cui parte la Convenzione sono così riassumibili: la diversità delle culture è patrimonio comune dell’umanità e deve essere custodita a beneficio di tutti; l’interazione e la creatività nutrono e rinnovano le espressioni culturali; attività, beni e servizi culturali, poiché servono a trasmettere identità, valori e significati non devono essere trattati come aventi un valore soltanto commerciale.
Ci si domanda se tutte le culture abbiano diritto di reclamare il rispetto e la garanzia internazionale. Nella Convenzione citata, l’Unesco fissa dei paletti nella forma di “principi-guida”. Il primo di questi  riguarda il rispetto dei diritti umani: “La diversità culturale può essere protetta e promossa soltanto se i diritti umani e le libertà fondamentali, quali la libertà di espressione, di informazione e di comunicazione, così come la capacità degli individui di scegliere le espressioni culturali, sono garantiti. Nessuno può invocare le disposizioni di questa Convenzione allo scopo di violare i diritti umani e le libertà fondamentali quali sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani o garantiti dal diritto internazionale”.

Quella cultura che alberghi nel suo seno, e insista nel perpetuare, principi che siano in contrasto con quanto prescrive il Diritto internazionale dei diritti umani in forma di divieti assoluti (discriminazione uomo-donna, discriminazione razziale, esaltazione della guerra, ecc.), non è legittimata a rivendicare il rispetto della sua identità. Certamente, non saranno i bombardamenti e le occupazioni territoriali gli strumenti né legittimi, né efficaci, per favorire la graduale trasformazione di quella cultura.
La omologazione culturale è la peggiore nemica della cultura come ricchezza “liberamente” conquistata e sviluppata. Omologazione significa distruzione di identità, impoverimento del patrimonio culturale, ostacolo alla creatività culturale e artistica. Se deliberatamente perseguita, è marcata dal segno dell’egemonismo di questo o quello stato, di questa o quella centrale di potere economico, finanziario, tecnologico, va nella direzione opposta a quella prescritta dalla citata Convenzione dell’Unesco. Il nazionalismo è, allo stesso tempo, omologazione ed esclusione.
Le scoperte e le creazioni della scienza e dell’arte non devono restare confinate dentro sfere elitarie e impermeabili, poiché esse costituiscono dono alla comunità per l’arricchimento culturale e sprituale di tutti, senza che ciò costituisca sottrazione di titolarità e di merito a chi li ha prodotti (copy rights, brevetti).
In virtù del Diritto internazionale dei diritti umani gli Stati hanno l’obbligo di rendere possibile non soltanto la fruizione di beni culturali, artistici e scientifici esistenti, ma anche la creazione di nuovi mediante incentivi alla ricerca e alla produzione artistica.
L’Articolo 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stabilisce puntualmente al riguardo: “2. Le misure che gli Stati parti del presente Patto prenderanno per conseguire la piena attuazione di questo diritto comprenderanno quelle necessarie per il mantenimento, lo sviluppo e la diffusione della scienza e della cultura”.
La scienza e le arti devono essere libere. Coerentemente con questo assunto, il terzo comma del citato Articolo obbliga gli Stati “a rispettare la libertà indispensabile per la ricerca scientifica e l’attività creativa”.

La scienza e le arti possono fare molto per la causa dei diritti umani. Si pensi alla ricerca nel campo della medicina o in quello della difesa dell’ambiente naturale. Si pensi a certi brani musicali che hanno ispirato e ispirano movimenti sociali di promozione umana. Le arti sono potenti strumenti di comunicazione, di identificazione spirituale, sociale e politica, di dialogo interculturale. Costituiscono codici ricchi di simboli comunicativi. Si può prendere come esempio la musica perchè è la più impalpabile, la più spirituale, forse la più universale (se possibile) delle arti, e allo stesso tempo la più materialmente codificata: il ‘pentagramma’ è un esperanto ante litteram, di universale conoscenza e fruizione. Si pensi a cosa significa suonare insieme o cantare insieme per il rispetto di un medesimo codice di regole e per la pratica della socializzazione. Un’orchestra o un coro polifonico sono dei paradigmi di “unità nella diversità”.
Si può parlare di etica anche per la scienza e le arti? Una possibile risposta sta nell’Articolo 1.2 dello Statuto che l’Università di Padova, fondata nel 1222, ha rinnovato nel 1995: “L’Università degli Studi di Padova, in conformità ai principi della Costituzione della Repubblica Italiana e della propria tradizione che data dal 1222 ed è riassunta nel motto “Universa Universis Patavina Libertas”, afferma il proprio carattere pluralistico e la propria indipendenza da ogni condizionamento e discriminazione di carattere ideologico, religioso, politico o economico. Essa promuove l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale”.

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