diritti umani

Diritto all’educazione, educare ai diritti umani

Workshop "Human Rights for Children"
© United Nations Information Centre Islamabad

Intervento svolto in occasione della presentazione dell’Annuario Italiano dei Diritti Umani 2015, Roma, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, 10 dicembre 2015, Giornata Internazionale dei Diritti Umani.

L’Annuario Italiano dei Diritti Umani, nella duplice versione italiana e inglese, è giunto alla quinta edizione che, come le precedenti, si apre con una riflessione di carattere generale. Quella di quest’anno è dedicata al tema della sinotticità costituzionale. Con questa espressione si intende dire che la prima parte delle Costituzioni democratiche non può essere compiutamente compresa e applicata se si prescinde dal riferimento al nuovo Diritto internazionale che ha preso corpo organico a partire dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani. Intendo dire che quando si tratta di proteggere e promuovere i diritti fondamentali occorre tenere in una mano la Costituzione e nell’altra il Codice universale dei diritti umani con tutto il corredo di sussidi applicativi di cui questo viene arricchito in via continuativa. La norma interna e la norma internazionale dei diritti della persona hanno un contenuto sostanziale che le salda l’una all’altra in una tensione di reciproco rafforzamento.

La felice coincidenza della Giornata internazionale dei diritti umani con la presentazione dell’Annuario italiano si presta a farci utilmente riflettere appunto sul sinergismo costituzionale fra interno e internazionale, in particolare sulla necessità di conoscere e far fruttare la normativa internazionale al fine di garantire maggiore effettività alla normativa domestica.

L’Annuario, più che un ‘rapporto’ è un manuale che dà sistematicamente – direi anche morfologicamente – conto di ciò che succede nello spazio relazionale della tutela dei diritti umani, che dall’ambito locale e nazionale giunge al livello delle istituzioni internazionali e sopranazionali. La spazialità dei diritti umani è infatti intrinsecamente ‘glocale’ e chiama in causa il principio di sussidiarietà.

Le Giornate internazionali promosse dalle Nazioni Unite, al di là dell’aspetto formalmente celebrativo, sono occasione per aggiornare e diffondere la conoscenza di questo o quel tema e motivare all’azione. Questa valenza teleologicamente operativa è bene evidenziata dalla scelta tematica della Giornata 2015. All’insegna di ‘i nostri diritti, le nostre libertà, sempre’, la Giornata lancia una mobilitazione su scala mondiale allo scopo di far prendere conoscenza e coscienza di ciò che significa e comporta il Diritto universale della dignità umana. Il focus è in particolare sui due Patti internazionali rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, nel 50° anniversario della loro approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre del 1966.

Cosa significa lo slogan ‘our freedoms, our rights, always’, perchè la speciale attenzione ai Patti del 1966 e perchè, nel presente contesto celebrativo, accendiamo il focus su ‘diritto all’educazione, educare ai diritti umani’?

Lo slogan intende innanzitutto ricordarci che i diritti umani e le libertà fondamentali sono nostri perchè siamo nati con essi, ci ineriscono in via originaria, quindi sono inviolabili, indisponibili, indivisibili. ‘La persona dell’uomo è il diritto umano sussistente’ (Rosmini), come dire: i diritti umani siamo noi. Dobbiamo pertanto essere consapevoli che siamo responsabili dell’effettività di principi e norme che sono di rango costituzionale e agire di conseguenza. Illuminante al riguardo è la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1998 ‘sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di proteggere e promuovere le libertà fondamentali universalmente riconosciuti’, il cui articolo 1 recita: “Tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale”. Sottolineo il verbo ‘lottare’ (to strive), inconsueto per il linguaggio del diritto e della diplomazia, e la frase ‘a livello nazionale e internazionale, a significare che i diritti umani non hanno confini.

La risposta al secondo quesito è che i Patti rivestono una speciale importanza nella gerarchia delle fonti del vigente codice universale dei diritti umani che condividono con la Dichiarazione Universale del 1948, un’importanza per così dire fondante. E’ il caso di ricordare che la Dichiarazione è una sorta di DNA dell’intero corpo normativo dei diritti umani che però nasce, come atto formale, con la veste per così dire povera di una ‘raccomandazione’, non con quella, molto più ricca dal punto di vista dell’obbligatorietà giuridica, di un ‘trattato’ o di una ‘convenzione’ internazionali. La Dichiarazione in quanto tale è sprovvista di una specifica strumentazione applicativa: intendo dire procedure di carattere sopranazionale che sottopongano gli stati a controlli ed eventuali sanzioni in caso di violazione dei diritti. I due Patti del 1966 specificano questo DNA in termini di ius positum elevando, nella scala delle fonti giuridiche, il rango della Dichiarazione a quello di norma-base. I due Patti la citano espressamente e così fanno tutti gli strumenti giuridici che sono via via venuti a costituire il corpus organico del diritto internazionale dei diritti umani. Metaforicamente, possiamo guardare a questo nuovo diritto, genuinamente universale perchè ius humanae dignitatis, come ad un grande albero frondoso del quale la Dichiarazione Universale è radice, i due Patti sono tronco, le varie Convenzioni e Protocolli sono rami.

La campagna che da oggi prende il via con riferimento all’imminente 50° compleanno dei due Patti intende ravvivare la conoscenza di questo albero, perchè si sviluppi e dia frutti in termini di maggiore rispetto della eguale dignità di tutti i membri della famiglia umana ovunque nel mondo.

Una più puntuale conoscenza di questa materia è indispensabile per far scattare, insieme con il senso della responsabilità personale e sociale in ordine al perseguimento del bene comune nella comunità di appartenenza, la scintilla di quello stato di grazia che è proprio dell’innamoramento, uno stato di grazia che si esprime in termini di laicità positiva. Se si parte dalla conoscenza del nuovo diritto internazionale, zoccolo duro del sapere assiopratico, inter- e trans-disciplinare dei diritti umani, si pone la premessa per divenirne difensori e, soprattutto attraverso il dialogo interculturale, contribuire allo sviluppo di una cultura universale dei diritti umani come preconizzato dalla bella Convenzione Unesco del 2005 per la protezione delle diverse forme di diversità culturale.

In questi mesi si parla tanto di promuovere la cultura nel nostro paese. Credo che il riferimento sia ad una strategia di civismo solidarista e di umanesimo plenario. Ebbene, questo processo di maturazione delle responsabilità personali e sociali deve avvenire primariamente attraverso le varie forme di educazione: scolastica ed extrascolastica, formale, non-formale, informale.

Dicendo questo, non versiamo sul terreno ondivago dell’optional o della programmaticità a tempi escatologici, siamo invece su quello solido, come prima accennato, della precettività, rectius dell’imperativo etico e giuridico.

L’articolo 1 della Dichiarazione Universale afferma che si nasce tutti egualmente liberi in dignità e diritti. Questa verità ontologica, assunta come fondativa dalla norma giuridica, fa appello all’esercizio di valori e virtù civili quali libertà, eguaglianza, fratellanza, solidarietà, rispetto dell’altro, inclusione. La messa in luce di queste virtù e l’addestramento alla loro pratica sono compito essenziale e ineludibile dell’educazione correttamente intesa. L’educazione, se è tale, se non è mera ‘istruzione’, deve incentrarsi su un nucleo di valori universali e adoperarsi perchè vengano liberamente interiorizzati da parte dei discenti in processi di formazione continua.
Il diritto internazionale dei diritti umani ci aiuta a individuare questo paradigma assiologico, conferendo all’educazione la forma del diritto fondamentale della persona e del correlato obbligo.

Cito l’articolo 13, primo comma, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, che riprende sostanzialmente il contenuto dell’articolo 26 della Dichiarazione Universale ed è a sua volta ripreso, e per così dire circostanziato, dagli articoli 28, 29 e 30 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza:

“Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo all’istruzione. Essi convengono sul fatto che l’istruzione deve mirare al al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità e rafforzare il rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali. Essi convengono inoltre che l’istruzione deve porre tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi ed incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.

A suppporto di questa norma, l’articolo 1 della importante Dichiarazione delle Nazioni Unite del 2011 sull’educazione e la formazione ai diritti umani stabilisce che “Ognuno ha il diritto a conoscere, cercare e ricevere informazioni su tutti i diritti umani e le libertà fondamentali e deve avere accesso all’educazione e alla formazione ai diritti umani” e che questa è “essenziale per la promozione e l’universale rispetto e osservanza di tutti i diritti umani per tutti, conformemente ai principi di universalità, indivisibilità e interdipendenza”. L’articolo 2 chiarisce che “l’educazione e la formazione ai diritti umani comprende tutte le attività di educazione, formazione, informazione, coscientizzazione e apprendimento intese a promuovere l’universale rispetto e osservanza di tutti i diritti umani e libertà fondamentali e quindi a contribuire, tra l’altro, alla prevenzione delle violazioni e degli abusi dei diritti umani fornendo alle persone conoscenza, abilità e comprensione e sviluppando le loro attitudini e i loro comportamenti, per renderle effettivamente capaci di contribuire alla costruzione e alla promozione di una cultura universale dei diritti umani”.

C’è quì una duplice definizione: di educazione alla legalità, come legalità ‘agìta’ da protagonisti, e di educazione di qualità (quality education), che coniuga insieme dignità umana, diritti fondamentali e protagonismo democratico e comprende l’educazione sui diritti umani, attraverso i diritti umani, per i diritti umani. Nella forma del diritto e dell’obbligo, ‘educazione’ e ‘educazione ai diritti umani e cittadinanza democratica’ formano un binomio indissociabile all’interno di un unico processo di educazione permanente.

L’articolo 7 stabilisce che “gli Stati e le pertinenti autorità governative se del caso, hanno la responsabilità primaria di promuovere e assicurare l’educazione e la formazione ai diritti umani, da sviluppare e realizzare in uno spirito di partecipazione, inclusione e responsabilità”.

Il successivo articolo 8 rincara per così dire la dose di follow-up, prescrivendo che “gli Stati devono sviluppare e promuovere, ai livelli appropriati, lo sviluppo di strategie e politiche e, ove appropriato, piani d’azione e programmi intesi a implementare l’educazione e la formazione ai diritti umani, per esempio attraverso la loro integrazione nei curricula scolastici e di formazione. Così facendo, essi devono tener conto del Programma mondiale per l’educazione ai diritti umani, nonchè di specifiche esigenze e priorità nazionali e locali”.

Ancor più esplicita e incalzante è la prescrizione di follow-up stabilita dalla Carta europea sull’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2010. Articolo 6: “Gli stati membri devono includere l’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani nei curricula per l’educazione formale nelle scuole pre-primarie, primarie e secondarie come pure nell’educazione e nella formazione generale e professionale. Gli stati membri devono anche continuare a sostenere, rivedere e aggiornare l’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani in questi curricula allo scopo di assicurarne l’importanza e incoraggiare la sostenibilità di questa area”. L’articolo 7 dispone che “gli stati membri devono promuovere, nel debito rispetto del principio della libertà accademica, l’inclusione dell’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani nelle istituzioni di educazione superiore, in particolare per i futuri professionisti dell’educazione”.

Veniamo ora all’Italia. Nel nostro sistema scolastico non esiste un ‘insegnamento’ curriculare che faccia esplicito riferimento a ‘Diritti umani e cittadinanza democratica’. L’articolo 1 della legge n.169 del 30 ottobre 2008 recante “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” prevede che siano “attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a ‘Cittadinanza e Costituzione’, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse iniziative analoghe che sono avviate nella scuola del’infanzia”: in pratica, non un ‘insegnamento’ ma alcune ‘ore’ della complessiva offerta formativa da utilizzare “entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente”. Con l’ottimismo della ragione, si può sperare che questo preluda ad una ulteriore decisione ministeriale che operi, una volta per tutte, il salto di qualità infrastrutturale nel senso prima indicato, cioè la creazione, ripeto, dell’insegnamento ‘Diritti umani e cittadinanza democratica’.

Dal canto loro le università italiane stanno preparando un buon terreno dal quale partire per fare sistema con le scuole. Si stanno infatti moltiplicando gli insegnamenti portanti, specificamente, su questa materia nell’ottica dell’interdisciplinarietà che è esigita dal principio della interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani.

Secondo i dati forniti dell’Annuario Italiano dei Diritti Umani 2015 (pp. 58-68), curato dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova e dalla Cattedra Unesco in Diritti Umani, Democrazia e Pace della stessa Università, nel 2014 risultano attivati 98 insegnamenti in 37 università. Più della metà degli insegnamenti sono impariti all’interno di corsi di laurea afferenti all’area delle scienze politiche e sociali (52 insegnamenti, pari al 53%), mentre poco più di un terzo fa riferimento all’area delle scienze giuridiche (34 insegnamenti, pari al 35%); 9 insegnamenti pertengono all’area delle scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche) (9%), 3 all’area delle scienze economiche e statistiche /3%). L’Università con il maggior numero di insegnamenti è quella di Padova (14), seguita da Torino (8), Bologna (6), Milano (6), Bari (5), Palermo (5). Dei 98 insegnamenti, 11 sono in lingua inglese, di cui 8 a Padova, 2 a Milano, 1 a Cagliari.

Le scuole di ogni ordine e grado potranno utilmente avvalersi di questa scesa in campo dell’accademia italiana per pretendere di avere, anche loro, un insegnamento altrettanto mirato. E’ il caso di ricordare che già nel lontano 1974 l’Unesco aveva aperto la via in questa direzione con la Raccomandazione “sull’educazione per la comprensione, la cooperazione e la pace e l’educazione relativa ai diritti umani e alle libertà fondamentali”, seguita da programmi decennali e, dal 2004, dal programma mondiale delle Nazioni Unite per l’educazione ai diritti umani.

Le associazioni, a cominciare da Amnesty International, hanno svolto un ruolo pionieristico nell’educare e formare ai diritti umani. Oggi tutte le organizzazioni solidaristiche di società civile pongono i diritti umani al centro dei loro programmi formativi. Senza dimenticare che anche nelle scuole di ogni ordine e grado, pur in assenza di uno specifico insegnamento, per iniziativa di dirigenti illuminati e di insegnanti di buona volontà, sono innumerevoli i progetti formativi sui temi dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, della pace, della salvaguardia del creato.

Occorre ora fare ‘sistema-paese educante’, innanzitutto ricapitolando sinergicamente i mille rivoli formativi e aprendo un canale di comunicazione università-scuola, un traguardo di maturazione culturale e civica che, ripeto, può essere raggiunto in particolare dando valore strutturale e dignità allo specifico insegnamento scolastico ‘Diritti umani e cittadinanza democratica’, corredato da un congruo numero di ore.

Sul terreno dell’impegno infrastrutturale in re, come prima segnalato le Università italiane, dal Nord al Sud alle Isole, stanno dando l’esempio. In particolare, stanno formando migliaia di giovani con le conoscenze e le competenze, tra le altre, che sono necessarie per dispensare l’insegnamento dei diritti umani nelle scuole di ogni ordine e grado, oltre che in ambito extra-scolastico, e per veicolare in varie direzioni buone pratiche di umanesimo integrale e laicità positiva.

E’ il caso di sottolineare che la pratica di laicità autenticamente positiva è frutto di educazione di qualità, la quale favorisce il dialogo interculturale e valorizza, non cancella, i simboli delle diverse culture che sono o intendono rendersi compatibili con il codice universale della dignità umana.

In conclusione, quando diciamo diritti umani non recitiamo una bella poesia, diciamo invece: ‘diritti umani, agenda politica’, da realizzare nello spazio senza confini e senza muri che è proprio dei diritti che ineriscono alla eguale dignità di tutti i membri della famiglia umana.

Appello finale al Ministro competente e all’intero Governo: si dia credibilità al ‘progetto cultura’, di cui si parla in queste settimane, istituendo subito “Diritti umani e cittadinanza democratica” nelle scuole di ogni ordine e grado come disciplina autonoma corredata da un conguro monte-ore di attività didattica. Non c’è bisogno di istituire comitati di esperti ad hoc. Si prendano le carte e i sussidi internazionali e si proceda senza indugio a dare questo segnale di non effimera speranza al Paese.

Antonio Papisca, Direttore dell’Annuario italiano dei diritti umani (Marsilio Editori)

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