Documento finale della III Assemblea dell’ONU dei Popoli Perugia, 23-25 settembre 1999
Premessa
I problemi della Terra e dell’umanità che la abita sono ormai noti. Negli ultimi dieci anni sono stati analizzati in modo dettagliato in molte sedi. Anche le cose da fare sono note. L’Agenda del 21° secolo è già stata scritta, in parte, dalle Conferenze mondiali dell’ONU (sui bambini, sull’ambiente e lo sviluppo, sui diritti umani, sulla popolazione, sullo sviluppo sociale, sulla donna, sugli insediamenti umani, sul cibo, etc...) dove i governi e le organizzazioni della società civile di tutto il mondo hanno dimostrato una grande abilità nell’analizzare insieme i problemi e nel definire concreti piani d’azione. Anche gli strumenti per intervenire non devono essere inventati.
Costruire un mondo più giusto, più pacifico e più democratico e più solidale, è dunque possibile. Per costruirlo ed evitare di essere condannati alla barbarie, per affrontare con efficacia le emergenze e le sfide globali del nostro tempo, per “governare” la crescente interdipendenza planetaria, sono necessarie persone responsabili, una società civile forte e istituzioni democratiche determinate a lavorare assieme per promuovere il “bene comune globale”.
Gli Stati – ovvero le istituzioni che hanno la responsabilità primaria di rispondere costruttivamente ai bisogni della gente e ai problemi del mondo – non sono in grado di agire in modo efficace se separati gli uni dagli altri. Il futuro del mondo dipende dallo sviluppo della cooperazione a tutti i livelli: non solo tra i governi ma tra tutti coloro che possono e vogliono dare un contributo concreto.
In tutto il mondo, esiste un grandissimo numero di persone che si aggregano e si mobilitano per difendere i diritti umani, rispondere ai bisogni fondamentali della gente, promuovere la giustizia, la pace e la smilitarizzazione, uno sviluppo equo e sostenibile, l’uguaglianza, la democrazia, il rispetto delle diversità, la solidarietà e la condivisione. La loro determinazione ad agire laddove spesso i governi e le istituzioni pubbliche falliscono o sono assenti, al di là di ogni nazionalità o identità, rappresenta una straordinaria risorsa che nessun governo o istituzione internazionale può permettersi di ignorare o sprecare.
Negli ultimi anni, le organizzazioni della società civile si sono conquistate un ruolo crescente in tanti campi, a livello locale come in quello internazionale, e hanno ricevuto numerosi riconoscimenti. Tuttavia, spesso si tratta di riconoscimenti “interessati” e “apparenti”. Talvolta alla società civile viene delegata la gestione di alcuni interventi di tipo assistenziale o umanitario che lo Stato considera marginali e, allo stesso tempo, le viene preclusa ogni possibilità di intervenire in quelli che sono considerati i domini esclusivi della politica, dell’economia e del potere militare. Generalmente la società civile viene “autorizzata”, “permessa” o “tollerata” (anche se in molti paesi non è ancora nemmeno “ammessa”), ma non viene riconosciuta quale soggetto decisivo nella gestione e promozione del “bene comune”. L’azione di controllo, monitoraggio e denuncia dell’operato delle istituzioni o delle imprese portata avanti dalla società civile viene vissuta con sempre maggiore fastidio da politici, funzionari, diplomatici, dirigenti e, in tante nazioni, si paga ancora con la vita, l’arresto e la tortura.
Eppure, senza una società civile attiva e vitale, senza la collaborazione della società civile e un loro stretto rapporto con le istituzioni, nessun progetto, locale o globale, di miglioramento della vita o di “risanamento” del pianeta potrà avere successo. Per questo ogni visione “realista” del futuro deve includere:
–progetti e programmi per il rafforzamento della società civile e delle comunità locali in cui essa agisce quotidianamente;
–il riconoscimento del ruolo che le organizzazioni della società civile svolgono e possono svolgere per la pace, per un’economia di giustizia, per i diritti umani e per la democrazia;
–lo sviluppo della cooperazione tra la società civile e le istituzioni a tutti i livelli, da quello locale a quello sovranazionale, attraverso la diffusione di una cultura della reciprocità;
–il rispetto dell’autonomia della società civile e la sua non subordinazione al sistema politico o economico, nella gestione dei processi di sviluppo;
– lo sviluppo della cooperazione tra le società civili dei diversi paesi, rafforzando la dimensione internazionale delle attività svolte e il ruolo della società civile globale.
Nell’era dell’interdipendenza e della globalizzazione, le principali “risorse” concrete della società civile globale sulle quali occorre fare leva sono:
1. la condivisione di valori umani universali quali la vita, la eguale dignità di tutte le persone e di tutti i popoli, la libertà, la solidarietà, la pace, lo sviluppo umano, la democrazia politica ed economica;
2. la capacità di cogliere i segni dei tempi e agire perché il diritto internazionale dei diritti umani – civili, politici, economici, sociali, culturali, alla pace, allo sviluppo, all’ambiente – prevalga sul vecchio diritto internazionale degli Stati sovrani, armati e confinari;
3. la volontà e la capacità di costruire reti di cooperazione tra gruppi e comunità al di là di ogni frontiera;
4.la capacità di progettare e agire anche nelle situazioni più difficili;
5.la capacità di informare ed educare;
6.la capacità di stimolare e collaborare con le istituzioni a partire da quelle locali.
Il “potere” delle organizzazioni della società civile globale non sta nel denaro o nelle armi ma nella volontà di “fare” e non solo “dire o chiedere”. Fare: con competenza, capacità di analisi, di progettazione e di mobilitazione. Fare nei luoghi difficili: impegnandosi nella prevenzione dei conflitti e nel promuovere la crescita della società civile là dove la democrazia è ancora debole. Fare subito: prestando, ad esempio, soccorso alle vittime di questa o quella tragedia, ma anche andare alla ricerca delle cause, risalire la corrente per intervenire alla sorgente dei problemi. La forza della società civile sta nella capacità di unire in modo coerente la denuncia, la proposta e il fare in prima persona. Quando manca una sola di queste componenti (studio e conoscenza, controllo, denuncia, proposta, azione diretta, comportamenti personali), l’azione della società civile rischia di perdere credibilità ed efficacia.
Il continuo deterioramento della situazione internazionale e la necessità di contrastare il tentativo in corso di stabilire un ordine mondiale gerarchico, fondato sulle sovranità degli stati nazionali, armati e confinari, sull’egoismo degli interessi nazionali, sulla legge del più forte, sulla sanguinosa prassi della guerra, sullo sfruttamento delle risorse umane e naturali dei paesi ad economia povera, sulla violenza e la dissipazione dell’ambiente, sull’oligopolio dell’informazione e della comunicazione, sulla speculazione finanziaria a danno dell’economia reale dello sviluppo umano, pongono alla società civile di tutto il mondo grandi responsabilità che nessuna donna o uomo può ignorare.
Prima di tutto la pace
La pace, come proclama l’art. 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. Senza pace non ci può essere né sviluppo né democrazia. Senza giustizia non c’è pace, che è promozione e rispetto dei diritti umani e sociali, rapporto corretto ed equilibrato con la natura, costruzione di condizioni di giustizia e democrazia per tutti i popoli. Tuttavia la pace non può essere ottenuta solo attraverso l’azione delle Nazioni Unite e dei Governi. Anzi, mai come negli ultimi anni sono emersi chiaramente tutti i limiti e le responsabilità di queste istituzioni.
Molte delle straordinarie opportunità offerte dalla fine della guerra fredda e dallo scioglimento del Patto di Varsavia sono state sprecate e il “dividendo della pace” non è stato impiegato come si doveva per risolvere il grande dramma della povertà e del sottosviluppo. Invece di costruire un nuovo sistema di sicurezza comune imperniato sull’ONU, si è preferito rilanciare le cosiddette “politiche di sicurezza nazionale” intese come la capacità di uno Stato di perseguire il proprio “interesse nazionale” ovunque nel mondo e con qualsiasi mezzo. Invece di mettere al bando ogni forma di soluzione guerreggiata delle controversie interne e internazionali si è voluto ri-legittimare la guerra e l’uso della forza anche a titolo di legittima difesa preventiva. Male interpretando e strumentalizzando il diritto internazionale che si è venuto formando a partire dalla Carta delle Nazioni Unite, si è inventata la teoria della guerra “umanitaria”, in base alla quale laddove sono violati estesamente e reiteratamente i diritti umani, ci sarebbe giusta causa per intervenire, appunto, anche per via bellica. In realtà, mentre tutti sanno che la “guerra umanitaria” del Kosovo è destinata a ripetersi altrove solo se e quando una superpotenza e qualche suo alleato saranno interessati, nessuno si preoccupa seriamente di impedire che sia la guerra a determinare quotidianamente la vita di centinaia di milioni di persone nel mondo.
Contro questa tragedia, la società civile globale deve innanzitutto promuovere, a tutti i livelli, il ripudio della guerra, delegittimando i governi e le istituzioni che ricorrono alla guerra e violano il diritto internazionale dei diritti umani – che viene prima del principio della sovranità nazionale – demistificando la costruzione pseudo-giuridica della “guerra umanitaria” e ribadendo che i diritti umani si tutelano fondamentalmente in via preventiva: se estesamente e reiteratamente violati, il ristabilimento della giustizia va perseguito per vie pacifiche e, ove necessario, con azioni di polizia militare internazionale dalle quali sono assenti, per definizione, lo spirito e i fini distruttivi della guerra.
Ai Governi e ai Parlamenti, la società civile deve chiedere di:
1. rispettare i principi costituzionali della legalità internazionale, sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e nelle convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani, quali il principio della eguale dignità di tutte le persone umane, il principio del divieto dell’uso della forza per la soluzione delle controversie internazionali e il principio dell’obbligo di risoluzione pacifica delle medesime;
2. far cessare le guerre in atto e porre l’ONU nella condizione di esercitare le proprie funzioni e poteri in ordine alla prevenzione e alla cessazione dei conflitti, al mantenimento della pace e alla costruzione della medesima dopo i conflitti, facendo funzionare un adeguato sistema di sicurezza comune a raggio mondiale, evitando che singoli paesi o alleanze militari si sostituiscano al ruolo e alle funzioni dell’ONU, dando vita alla forza di polizia militare internazionale prevista dall’art. 43 della Carta e mantenendo sotto il controllo delle Nazioni Unite i sistemi regionali di sicurezza secondo quanto disposto dal Cap. VIII della Carta;
3. ridurre la spesa militare, promuovere la riduzione e la conversione delle forze armate nazionali in forze a disposizione della polizia internazionale in sede mondiale e regionale, investendo nello sviluppo dei paesi poveri e dare vita ad un corpo civile internazionale non armato per il monitoraggio dei diritti umani, l’intervento civile e le funzioni di costruzione della pace;
4. accelerare la ratifica dei paesi che ancora non l’hanno fatto e l’entrata in vigore dello Statuto della Corte penale internazionale approvato dalla Conferenza di Roma; ribadire che nessuna impunità può essere concessa a chi si è macchiato di crimini di genocidio, guerra, contro l’umanità;
5. rilanciare il processo di disarmo (a partire dalla totale eliminazione delle armi nucleari, delle armi di distruzione di massa e delle mine anti-persona) e ridurre la produzione e l’esportazione degli armamenti, favorendo la riconversione civile e il controllo dell’ONU sul commercio delle armi
6. riconoscere il diritto fondamentale di ogni persona all’obiezione di coscienza al servizio militare.
Prevenire guerre e genocidi è il primo modo per costruire la pace e il primo scopo dell’ONU, riconoscendo i diritti di tutti: delle donne, dei bambini, di tutti i soggetti vulnerabili, dei rifugiati che scappano dalle guerre, delle minoranze. Ai popoli va riconosciuto il diritto di autodeterminazione – esercitato rispettando i diritti di tutti e della legalità internazionale – in particolare per i paesi impegnati ancora nei processi di decolonizzazione. Ma anche di fronte ad un conflitto o una guerra ormai scoppiata la società civile globale ha dimostrato di poter fare molte cose positive:
–sollecitare un intervento efficace dell’ONU e della comunità internazionale nel rispetto della legalità internazionale chiedendo il riconoscimento del ruolo delle organizzazioni della società civile (anche con la formazione di un Consiglio di autorevoli personalità del mondo della società civile, della cultura e dell’arte) per la pace e la giustizia;
–capire le ragioni delle parti in lotta senza schierarsi acriticamente con una delle due, condannando i responsabili dei crimini, delle violazioni dei diritti umani e sapendo distinguere le diverse responsabilità delle popolazioni, dei governi e dei combattenti;
–portare aiuto alle popolazioni vittime innocenti della guerra e sviluppare un’adeguata politica di cooperazione e di solidarietà internazionale con al centro le organizzazioni della società civile e le comunità locali, superando gli ostacoli posti dai governi;
–aiutare chi si rifiuta di prendere parte alla guerra e chi cerca di opporsi sostenendo le forze che sul posto cercano soluzioni di pace;
–mantenere aperti canali di dialogo tra le due parti, combattere la diffusione dell’immagine del nemico... e, più tardi, promuovere la riconciliazione e la ricostruzione. valorizzando il ruolo dei giovani e delle donne come soggetti della costruzione della pace;
Più in generale, le organizzazioni della società civile hanno la responsabilità di:
1. diffondere un’idea e una cultura della pace che non è la pura assenza di guerra ma il diritto di ogni essere umano a un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani possano essere pienamente realizzati;
2. promuovere l’incontro, il dialogo, la cooperazione e la solidarietà tra i popoli nel pieno rispetto e valorizzazione delle differenze che arricchiscono l’umanità, valorizzando gli scambi, l’informazione e la mutua comunicazione tra i popoli e il ruolo del dialogo interreligioso per la pace;
3. promuovere l’educazione alla pace, ai diritti umani, alla democrazia e alla nonviolenza, con programmi specifici, sia in ambito scolastico che extra-scolastico, con particolare riferimento all’anno internazionale delle Nazioni Unite per la diffusione della cultura della pace.
Per un’economia di giustizia
Nonostante i principi e gli obiettivi stabiliti, con fatica ma anche con speranza, nelle Dichiarazioni e nei collegati Programmi d’Azione delle Conferenze Mondiali delle Nazioni Unite, a partire da quella di Rio del 1992, l’ingiustizia economica cresce in tutto il mondo alimentando conflitti, accrescendo i profitti di pochi e l’impoverimento di molti, aumentando le disuguaglianze sia tra i paesi del Nord e del Sud del mondo che all’interno delle nazioni.
La globalizzazione dell’economia, le politiche neoliberiste, (con) l’accresciuta competizione internazionale, deregolamentazione e liberalizzazione, la corsa alle riduzioni delle imposte e i tagli della spesa pubblica, anziché espandere le opportunità di sviluppo, rafforza la concentrazione del potere in particolare delle grandi imprese multinazionali e il prevalere degli interessi della speculazione finanziaria su quelli dell’economia reale. Queste tendenze, insieme all’oligopolio dell’informazione hanno gravissime ripercussioni sulle istituzioni politiche ai vari livelli, in termini non soltanto di crisi di governabilità ma anche, e soprattutto, di dequalificazione e depotenziamento democratico delle medesime. Anche l’impatto sulla qualità della vita individuale e collettiva è drammaticamente negativo: cresce la frammentazione politica e sociale, l’insicurezza del reddito e del posto di lavoro, il degrado ambientale e l’omologazione culturale.
L’economia dell’ingiustizia è da tempo al centro dell’attenzione di numerosissime organizzazioni della società civile del nord e del sud del mondo, che cercano di intervenire in sede locale, nazionale e internazionale. Gli obiettivi di fondo dell’azione della società civile globale si possono sintetizzare in tre parole: democratizzare, redistribuire e cooperare.
1. Democratizzare l’economia vuol dire recuperare controllo politico e sociale sulle imprese, sulla finanza e sulle istituzioni internazionali. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede innanzitutto di:
– affidare a delle Nazioni Unite riformate &endash; anziché a gruppi di paesi ricchi come il G7 – il compito di gestire l’interdipendenza nell’ottica del “bene comune”, consentendogli di intervenire sulle scelte economiche che sono alla radice dei problemi globali e di creare un sistema finanziario mondiale efficace, messo a servizio della solidarietà tra le persone, i paesi e le generazioni con misure come l’istituzione di un Consiglio di sicurezza economica e sociale democratico e rappresentativo, la regolamentazione del sistema finanziario, la tassazione delle transazioni finanziarie (come la Tobin tax), l’abolizione dei paradisi fiscali);
– procedere alle riforme necessarie perché il Fondo Monetario, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio agiscano nel rispetto dei principi e degli impegni per lo sviluppo sostenibile fissati dall’ONU, rovesciando l’attuale imposizione di condizioni che mettano gli interessi dei creditori prima di quelli dei popoli, garantendo la trasparenza, la partecipazione e il controllo democratico di tutti i paesi e della società civile;
– modificare quelle regole del commercio internazionale che danno il potere alle imprese multinazionali e impediscono il libero accesso ai mercati per i prodotti dei paesi in via di sviluppo respingendo le pressioni per nuove liberalizzazioni, come nelle proposte del “Millennium round” dell’OMC e gli obiettivi contenuti nel progetto dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti in qualunque contesto si ripresentino;
– agire all’interno dei singoli paesi, delle imprese e dei luoghi di lavoro dove é necessario tutelare il lavoro e rimuovere tutte le discriminazioni nei confronti delle donne.
2. Redistribuire vuol dire invertire la strada che sta continuando ad accrescere le disuguaglianze. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede innanzitutto di:
– cancellare il debito estero dei paesi impoveriti, rinegoziare il debito degli altri Paesi del Sud e promuovere la revisione del sistema di concessione dei crediti che genera processi insostenibili di indebitamento, assicurando che le risorse rese disponibili siano utilizzate contro la povertà;
– battersi contro la povertà mediante l’adozione di coerenti politiche e patti locali, nazionali e sovranazionali che coinvolgano anche gli enti locali, le forze sociali e quelle economiche e sostenerne lo sviluppo a livello globale con riforme agrarie, con il trasferimento di conoscenze e l’apertura anche dei mercati occidentali;
– creare nuova occupazione, adottare una politica per la piena occupazione e ridare piena dignità al lavoro e ai lavoratori di tutto il mondo, anche riducendo gli orari di lavoro assicurando un salario minimo, favorire l’accesso paritario delle donne alle risorse, all’occupazione, ai mercati e al commercio, sostenere lo sviluppo di un’economia sociale valorizzando il ruolo e le finalità del cosiddetto “Terzo settore” e stimolare la realizzazione di esperienze, anche di piccola scala, che possono offrire alternative concrete alla disoccupazione;
– operare affinché in tutto il mondo siano introdotti e difesi gli standard internazionali che proibiscono lo sfruttamento del lavoro minorile e garantiscono il rispetto dei fondamentali diritti economici, sociali e sindacali dei lavoratori contenuti nelle Convenzioni fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e in numerosi altri documenti internazionali.
3. Cooperare vuol dire non lasciare alla competizione di un mercato senza regole i destini delle nostre società. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede innanzitutto di:
– invertire la disastrosa tendenza degli ultimi anni di riduzione degli stanziamenti per la cooperazione internazionale, finalizzando gli interventi alla promozione dello sviluppo umano, accettando un maggiore coordinamento internazionale e promuovendo la cooperazione diretta tra comunità locali;
– orientare il mercato in modo da soddisfare i bisogni fondamentali delle persone e assumere tutte le misure necessarie per garantire a tutti l’accesso ai diritti sociali di base (il diritto al cibo, all’acqua, alla salute, all’educazione, alla casa, al lavoro...)
– adottare un modello di sviluppo sostenibile ripensando cosa si produce, come e perché, mettendo fine al deterioramento dell’ambiente e affrontando decisamente le grandi emergenze ambientali come il riscaldamento globale, la distruzione della biodiversità, la deforestazione e la desertificazione che minacciano la vita sulla Terra.
Il ruolo delle organizzazioni della società civile nella costruzione di un’economia più giusta e sostenibile non si esaurisce con la denuncia e la pressione sui governi nazionali, sulle istituzioni e agenzie internazionali e sulle imprese perché tengano fede agli impegni, al rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali.
L’insieme delle iniziative e delle esperienze promosse dalla società civile sia del Nord che del Sud del mondo in questo campo è così ricco da delineare e anticipare un diverso modello di economia, la strada per uno sviluppo alternativo, relazioni piu’ giuste tra paesi e popoli. Tra queste vi sono:
– lo sviluppo di attività’ economiche in quello che viene definito “terzo settore”, “economia sociale” o nella cosiddetta “economia informale” di particolare rilevanza nei paesi del Sud.
– il sostegno e la valorizzazione delle risorse economiche, sociali e culturali delle comunità locali che spesso sono ignorate dal mercato, sostenendo le piccole (e medie) imprese, le cooperative, l’artigianato e il lavoro in proprio, anche nella attività tradizionali;
– la cooperazione decentrata tra comunità locali di diversi paesi finalizzata allo sviluppo di conoscenza, di solidarietà reciproca, di scambi commerciali, e il sostegno alle comunità dei popoli indigeni;
–il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale;
–istituzioni finanziarie alternative, come le Banche etiche, il microcredito, un credito che privilegi i poveri e le donne e tutti gli altri strumenti di finanza per una gestione etica del risparmio;
–la promozione di lavori socialmente utili;
–la realizzazione di programmi di autosufficienza alimentare, garantendo anche l’accesso alla distribuzione dei prodotti;
– la revisione degli stili di vita personali e collettivi, anche all’interno del mondo della cooperazione internazionale, eliminando gli sprechi e gli eccessi, controllando e ripensando i consumi, promuovendo “un’economia di comunione,” realizzando campagne di boicottaggio, bilanci di giustizia, forme di ecologia domestica, adozioni a distanza, turismo responsabile, banche del tempo, sostegno ai progetti di cooperazione con il Sud;
– la creazione di reti e alleanze della società civile per accrescere la pressione e il controllo nei confronti dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali;
– l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati stranieri che rappresentano una risorsa economica e culturale.
Per la democrazia internazionale ed una cultura dei diritti umani
Il viaggio verso la democrazia è appena iniziato in tanta parte del mondo, mentre il rapido processo di globalizzazione in atto richiederebbe la realizzazione di un altrettanto rapido sviluppo della democrazia internazionale. Purtroppo, la scarsa disponibilità degli Stati e dei Governi di affrontare sistematicamente questo problema cruciale, sta mettendo in serio pericolo la pace e ed il rispetto per i diritti umani, la convivenza stessa. Al di là delle periodiche elezioni che si svolgono in un numero crescente di paesi, la realtà della democrazia, intesa come vera partecipazione popolare ai processi decisionali, nel mondo è allarmante. Da un lato perché il riconoscimento dei diritti civili e politici all’interno di molti Stati è spesso assente o tutt’al più formale anziché sostanziale; dall’altro perché, accanto alla deregolazione economica, è in atto una deregolazione politico-istituzionale che premia i più forti e le concentrazioni di potere. Anche dove esiste da decenni o da secoli, la democrazia sostanziale si sta riducendo.
Invertire questa pericolosa tendenza è possibile solo a partire dalla crescita di una società civile globale sempre più consapevole, vigile ed “esigente”. La globalizzazione dell’economia senza la globalizzazione della democrazia finirà con erodere anche quei piccoli spazi di libertà e di autodeterminazione che oggi esistono. Per questo, alla società civile spetta innanzitutto il compito di vigilare e denunciare i limiti e le inadempienze di un sistema internazionale in cui il diritto e la democrazia sono un optional. Senza questo “investimento”, tutti gli sforzi di consolidare il cammino della pace e di promuovere uno sviluppo equo e sostenibile sono destinati a fallire.
L’azione di monitoraggio sull’operato delle istituzioni pubbliche e private, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale è parte essenziale del processo democratico e per questo deve essere rafforzata e tutelata dalla legislazione nazionale e internazionale. Questa attività sta anche alla base dei doveri di tutte le assemblee elettive, e in primo luogo dei Parlamenti, il cui ruolo deve essere potenziato e non sminuito come purtroppo sta accadendo.
Per il consolidamento e l’espansione della democrazia all’interno degli Stati è necessario che la società civile organizzata:
1. sia di continuo stimolo alla partecipazione e al coinvolgimento dei cittadini nella gestione degli affari pubblici;
2. metta costantemente in primo piano la ricerca del “bene comune” e la difesa dei diritti fondamentali di tutti le donne, gli uomini e i bambini, rispetto alla difesa degli interessi di parte;
3. operi affinché sia riconosciuto alle persone e alle comunità locali il diritto di fare in proprio ciò che è nelle loro possibilità, chiedendo allo Stato di riconoscere l’autonomia della società civile organizzata, assicurando il pieno rispetto dei diritti sociali, economici e civili e del dovere di solidarietà.
Per lo sviluppo della democrazia transnazionale è innanzitutto necessario che la società civile globale si opponga con determinazione al tentativo in corso di:
–ridurre, anziché aumentare, il ruolo politico dell’ONU e delle altre organizzazioni multilaterali, a vantaggio degli Stati più forti e delle loro “coalizioni”;
–mettere da parte la civiltà dei valori umani universali, del sopranazionalismo e del transnazionalmismo solidarista, del multilaterismo, civiltà concretamente avviata dalla Carta delle Nazioni Unite e dal collegato Diritto internazionale dei diritti umani;
–escludere qualsiasi forma di controllo e intervento democratico della politica sull’economia e sul suo processo di globalizzazione;
–adottare gli strumenti per impedire la libera circolazione delle persone ed erodere il diritto all’asilo.
In particolare, occorre che le organizzazioni della società civile chiedano ai Governi e ai Parlamenti di:
1. dare effettività al nuovo diritto internazionale, quello che si basa sulla Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e sulle Convenzioni che ne derivano;
2. dare impulso allo sviluppo e alla contestuale democratizzazione delle Nazioni Unite a cominciare dalle seguenti misure: riformare il Consiglio di Sicurezza in senso rappresentativo e democratico; promuovere il controllo di legittimità sugli atti del Consiglio di Sicurezza ad opera della Corte Internazionale di Giustizia; costituire l’Assemblea Parlamentare delle Nazioni Unite, quale organo sussidiario dell’attuale Assemblea Generale; estendere gli ambiti di co-decisionalità che coinvolgono le organizzazioni non-governative; istituire presso il Palazzo di Vetro un “Foro permanente della società civile globale” che consenta un coordinamento stabile delle organizzazioni sovranazionali dei cittadini; rendere tripartite – esecutivo, parlamento, società civile– le delegazioni nazionali nei vari organi delle Nazioni Unite;
3. promuovere la democratizzazione delle Istituzioni regionali, come l’Unione Europea, attribuendo maggiori poteri al Parlamento e favorendo la costruzione di una fitta rete di società civile e di Enti Locali in grado di svolgere pienamente il proprio ruolo di proposta, collaborazione e controllo;
4. promuovere la riforma e la democratizzazione delle Istituzioni economiche e finanziarie internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale per il Commercio) riportandole sotto il controllo politico e l’effettivo coordinamento delle Nazioni Unite.
5. promuovere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, creando una vera cultura dei diritti umani, educando e rafforzando la consapevolezza ed il riconoscimento dei diritti sociali, economici, politici e civili;
6. rafforzare i meccanismi di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani e dotarsi degli appositi organi per creare pressione sui governi che violino i diritti umani, anche in chiave di prevenzione di conflitti armati ed emergenze umanitarie (come accadono con sempre maggiore frequenza dalla fine della guerra fredda: Angola, Sierra Leone, Algeria, Kosovo, Timor Est)
7. promuovere i diritti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche e cercare i canali per assicurare la partecipazione ai processi decisionali internazionale anche ai popoli indigeni e non rappresentati
8. rafforzare i diritti delle donne e del fanciullo e dotarsi di efficaci strumenti per recuperare le donne ed i bambini sfruttate dalla prostituzione, dal lavoro minorile e dall’impiego di bambini soldati;
9. dotarci di strumenti per la giustizia internazionale, ratificando il Trattato per il Tribunale Penale Internazionale e allineando le legislazioni nazionali alle norme internazionali.