Documento finale della IV assemblea dell’ONU dei popoli, “La globalizzazione dal basso. Il ruolo della società civile mondiale e dell’Europa”, Perugia, 13 ottobre 2001
Per la quarta volta noi, rappresentanti di centinaia di organizzazioni della società civile di tutto il mondo, ci ritroviamo all’Assemblea dell’ONU dei popoli di Perugia.
In quest’incontro abbiamo costruito relazioni e solidarietà tra i popoli, abbiamo dato il nostro contributo a una vera e propria società civile globale capace di fare sentire la propria voce sui problemi del pianeta. La nostra voce chiede a tutti di cambiare strada e rispondere alle esigenze di pace e di giustizia per tutti. Chiediamo che si rinunci alle logiche di guerra e di potenza militare, si elimini il terrorismo, si garantisca la sicurezza, si difendano i diritti umani, si risponda ai bisogni di tutti partendo da quelli essenziali – cibo, acqua, lavoro – si promuova la giustizia, uno sviluppo equo e sostenibile, l’uguaglianza, la democrazia, il rispetto delle diversità, la solidarietà e la condivisione. Questa nuova strada noi la stiamo già percorrendo, con il nostro lavoro per ridurre le ingiustizie, per la soluzione nonviolenta dei conflitti, per costruire un ordine internazionale che sappia fare a meno della guerra, per promuovere i diritti umani e sociali, per costruire ovunque solidarietà, uguaglianza e democrazia. La percorriamo sempre più lavorando insieme, con reti di associazioni e campagne comuni che attraversano i confini nazionali e affrontano ovunque sia necessario le ingiustizie del pianeta e le responsabilità dei poteri nazionali e sovranazionali. Costruiamo in questo modo una società civile globale sempre più visibile e attiva, protagonista di una globalizzazione dal basso, che diffonde i diritti, la giustizia, la democrazia, contrapposta alla globalizzazione neo-liberista imposta in questi anni dai poteri economici dei paesi più ricchi.
Dalla scorsa Assemblea dell’ONU dei popoli nel settembre 1999, questa strada si è fatta più grande e più forte. Milioni di persone in tutto il mondo, un nuovo movimento di movimenti, hanno messo in discussione i poteri globali negli appuntamenti di Seattle, di Praga, di Quebec City, di Genova; nuovi appuntamenti, come il Forum sociale mondiale di Porto Alegre, si sono affermati per dare alle organizzazioni della società civile la possibilità di sviluppare strategie comuni, costruire alternative, proporre politiche diverse. Per mostrare insomma che “un altro mondo è possibile”, come annunciava già la Marcia Perugia-Assisi del 1999.
Il ruolo della società civile globale
Il messaggio più importante che questa Assemblea dell’ONU dei popoli ha espresso è che un’alternativa esiste, è possibile e si sta costruendo con il lavoro di milioni di persone che reagiscono all’indifferenza, di migliaia di associazioni e gruppi della società civile di tutto il mondo che lavorano per il cambiamento. Come rappresentanti della società civile globale ci impegnamo:
- ad agire sempre di più insieme, su un agenda comune di cambiamento, che unisca le nostre mille campagne e iniziative, mantenendo le differenze ma superando le divisioni.
- a rompere il silenzio e l’isolamento di cui sono vittime milioni di persone nel mondo che subiscono le conseguenze dei conflitti, del terrorismo, della povertà, delle ingiustizie;
- a promuovere una società autenticamente alternativa al modello neo-liberista e alle priorità del mercato a partire dalle moltissime pratiche concrete di rispetto dei diritti, tutela dell’ambiente, economia solidale sviluppate ovunque dalla società civile;
- a partecipare al Forum sociale mondiale di Porto Alegre del febbraio 2002 e al Forum mondiale della società civile di Ginevra del luglio 2002, in collegamento con il sistema delle Nazioni Unite, agli appuntamenti in occasione delle Conferenze ONU su Finanza per lo sviluppo a Città del Messico nel marzo 2002 e su quella su Rio dieci anni dopo a Johannesburg nel settembre 2002.
- a promuovere, a partire dalle organizzazioni qui presenti, la costituzione di un comitato internazionale che si unisca alla Tavola della Pace per l’organizzazione della quinta Assemblea dell’ONU dei Popoli. L’obiettivo è costruire una rete permanente, aperta alle organizzazioni di società civile di tutti i paesi interessate a un lavoro comune per la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarietà.
Tre sono le direzioni principali della costruzione di questa alternativa
1. Ripudiare la guerra, sradicare il terrorismo, costruire la pace. La violenza organizzata oggi è sempre meno monopolio degli stati: accanto alle guerre tra nazioni si moltiplicano i conflitti alimentati da interessi militari e criminali, da fondamentalismi etnici e religiosi. Per questo occorre eliminarne le cause che sono nelle violazioni dei diritti umani e dei popoli, occorre un sistema di sicurezza comune centrato sulle Nazioni Unite, dotato di una forza di polizia internazionale, una forza non armata di intervento della società civile e l’attivazione della Corte penale internazionale.
2. Ridurre le ingiustizie economiche e sociali. La globalizzazione neo-liberista ha aggravato le disuguaglianze, la povertà, l’insostenibilità dell’ economia mondiale, con l’aggravamento delle emergenze alimentari, sanitarie, ambientali, sociali. Occorre riorientare l’economia perché soddisfi i bisogni fondamentali delle persone, democratizzare l’economia mondiale, restituire spazio alla politica e alla società.
3. Promuovere la globalizzazione della democrazia. La concentrazione del potere nelle mani degli stati più potenti e di organismi sovranazionali non democratici e rappresentativi ha alimentato il disordine mondiale, le ingiustizie, le violazioni dei diritti umani, politici e sociali in tutto il pianeta. Occorre democratizzare e rafforzare le Nazioni Unite e le istituzioni sovranazionali con la responsabilità dei “beni comuni globali”, riconoscendo un ruolo diretto della società civile globale.
Proprio mentre l’Assemblea dell’ONU dei Popoli era riunita, è stato assegnato alle Nazioni Unite il Premio Nobel per la Pace, con un riconoscimento del ruolo essenziale che può e deve svolgere su questi temi, ottenendo dagli stati gli strumenti necessari, un ruolo che noi abbiamo sempre rivendicato.
Il ruolo e le responsabilità globali dell’Europa
Quest’impegno va sviluppato non solo su scala globale e nazionale, ma anche a livello europeo.
L’Europa, con la nascita dell’Euro, è oggi la più grande area economica del mondo e ha responsabilità sempre più importanti.
Vogliamo che l’Europa, alla vigilia di un nuovo allargamento, renda di nuovo espliciti i valori di pace, giustizia e solidarietà che sono stati alla base del progetto di integrazione europea. Questi valori devono ispirare politiche che abbiano gli obiettivi di ridurre le diseguaglianze e realizzare uno sviluppo umano sostenibile.
Vogliamo che la più grande potenza economica non si trasformi in una nuova superpotenza militare. Deve diventare un protagonista politico e sviluppare politiche comuni affrontando le proprie responsabilità globali in modo nuovo, iniziando dal rispetto per gli altri paesi da una valutazione delle conseguenze che le proprie politiche hanno sul resto del mondo. La società civile deve contribuire a sviluppare questa diversa idea di Europa.
Vogliamo che l’Unione Europea non sia una fortezza, che scarica sul resto del mondo i propri problemi, chiusa verso gli immigrati che bussano alle nostre porte.
La Conferenza intergovernativa prevista entro il 2004 dovrà modificare i trattati e le istituzioni dell’Unione Europea. Questi valori, questi obiettivi e queste responsabilità nuove dovranno essere inseriti nei documenti e nelle strutture dell’Unione. Dovranno ispirare e trasformare le attuali politiche dell’Unione Europea, riconoscendo il ruolo degli enti locali. Per questo L’Assemblea dell’ONU dei Popoli lancia la proposta di costituire un Forum della Società Civile sull’Europa, aperto alle organizzazioni di tutti i paesi, per premere su tutti gli organismi dell’Unione Europea con l’obiettivo una maggior democrazia, responsabilità e coinvolgimento formale della società civile, anche alla luce del recente libro bianco sulla Governance della Commissione europea. Il Forum, da qui alla Conferenza intergovernativa, avrà il compito di monitorarne le politiche, proporre alternative, chiedere cambiamenti istituzionali, praticare più stretti rapporti tra le organizzazioni della società civile. Un lavoro che troverà uno sbocco importante e sarà sviluppato nei lavori della quinta Assemblea dell’ONU dei Popoli nel 2003.
Le tre strade della società civile globale
Già nel documento finale dell’Assemblea dell’ONU dei popoli del 1999 abbiamo chiesto di mettere “prima di tutto la pace”, di realizzare un’economia di giustizia e di costruire una democrazia internazionale e una cultura dei diritti umani.
Oggi queste tre richieste sono ancora più urgenti e drammatiche.
Oggi più che mai l’alternativa che abbiamo è tra costruire un mondo più giusto, più pacifico, più democratico e più solidale, oppure essere condannati alla barbarie, alla violenza, al terrorismo, alla guerra.
Prima di tutto la pace
La pace, come proclama l’art. 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. Senza pace non ci può essere né sviluppo né democrazia. Senza giustizia non c’è pace, che è promozione e rispetto dei diritti umani e sociali, rapporto corretto ed equilibrato con la natura, costruzione di condizioni di giustizia e democrazia per tutti i popoli.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di costruire un nuovo sistema di sicurezza comune, di affermare che nessuno stato, per quanto potente può garantire con le armi la propria sicurezza in un mondo dominato da ingiustizie, violenze e insicurezze per interi popoli. La fine della guerra fredda, dodici anni fa, aveva creato una straordinaria opportunità per procedere su questa strada, per assegnare alle Nazioni Unite i compiti di garantire questa sicurezza comune, sviluppando le proprie capacità di soluzione politica dei conflitti, di peace keeping e di polizia internazionale, realizzando la Corte penale internazionale con la responsabilità di perseguire i crimini contro l’umanita, in quadro di legittimità, trasparenza e controllo democratico internazionale.
Il proliferare di sanguinosi conflitti in Africa, in Asia, nei Balcani, il moltiplicarsi di interventi militari dell’occidente, dalla guerra del Golfo, a quella del Kosovo, l’emergere di una grave minaccia del terrorismo internazionale e la guerra oggi in corso in Afghanistan ci hanno riportato in un mondo segnato dalle armi.
Contro questa tragedia, la società civile globale deve innanzitutto promuovere, a tutti i livelli, il ripudio della guerra, riaffermare che le armi e il terrorismo non offrono soluzioni alle tensioni e ai conflitti che insanguinano il pianeta e praticare la ricerca di soluzioni politiche e nonviolente per prevenire i conflitti. Occorre ratificare le convenzioni internazionali sul terrorismo esistenti e, nel quadro di una nuova convenzione internazionale contro il terrorismo, elaborare una definizione di terrorismo che ne comprenda tutte le forme.
Ai Governi e ai Parlamenti, la società civile globale rinnova le richieste di:
1. rispettare i principi costituzionali della legalità internazionale, sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e nelle convenzioni giuridiche internazionali, quali il principio della eguale dignità di tutte le persone, il principio del divieto dell’uso della forza per la soluzione delle controversie internazionali e il principio dell’obbligo di risoluzione pacifica delle medesime;
2. far cessare le guerre in atto e porre l’ONU nella condizione di esercitare le proprie funzioni e poteri in ordine all’applicazione delle risoluzioni dell’ONU sui diritti dei popoli, alla prevenzione e alla cessazione dei conflitti, al mantenimento della pace e alla costruzione della medesima dopo i conflitti, facendo funzionare un adeguato sistema di sicurezza comune a livello mondiale, evitando che singoli paesi o alleanze militari si sostituiscano al ruolo e alle funzioni dell’ONU, dando vita alla forza di polizia militare internazionale prevista dall’art. 43 della Carta e mantenendo sotto il controllo delle Nazioni Unite i sistemi regionali di sicurezza secondo quanto disposto dal Cap. VIII della Carta;
3. accelerare la ratifica dei paesi che ancora non l’hanno fatto e l’entrata in vigore dello Statuto della Corte penale internazionale approvato dalla Conferenza di Roma; ribadire che nessuna impunità può essere concessa a chi si è macchiato di crimini di genocidio, guerra, terrorismo, crimini contro l’umanità;
4. ridurre la spesa militare, promuovere la riduzione e la riconversione delle forze armate nazionali in forze a disposizione della polizia internazionale in sede mondiale e regionale, e dare vita ad un corpo civile internazionale non armato per il monitoraggio dei diritti umani, l’intervento civile e le funzioni di costruzione della pace;
5. rilanciare il processo di disarmo, con la totale eliminazione delle armi nucleari, delle armi batteriologiche e chimiche e delle mine anti-persona, fermando i progetti di “scudo spaziale”, con stretti controlli sul commercio di armi leggere, la riduzione della produzione e esportazione di armamenti, favorendo la riconversione civile e il controllo dell’ONU sul commercio di armi;
6. riconoscere il diritto fondamentale di ogni persona all’obiezione di coscienza al servizio militare.
7. riconoscere ai popoli il diritto di autodeterminazione, esercitato rispettando i diritti di tutti e della legalità internazionale.
8. promuovere l’eguaglianza di genere nelle relazioni internazionali.
Di fronte ai conflitti in corso, la società civile globale rinnova il proprio impegno ad agire in prima persona per:
1. la cessazione delle azioni di guerra e terrorismo e la prevenzione dei conflitti;
2. sollecitare un intervento efficace dell’ONU e della comunità internazionale nel rispetto della legalità internazionale, chiedendo il riconoscimento del ruolo delle organizzazioni della società civile;
3. costruire la pace in Medio Oriente: occorre intervenire a difesa dei diritti delle persone, dei popoli e della legalità internazionale, mettere fine all’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza e ad ogni altra forma di violenza, promuovendo un piano di pace basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite e sul principio “Israele e Palestina: due stati per due popoli”. Per questo proponiamo a tutti di tornare a Gerusalemme, portando l’Europa, la società civile di tutto il mondo a fianco dei nostri amici palestinesi e israeliani per ribadire che la pace è possibile;
4.capire le radici dei conflitti, sapendo distinguere le diverse responsabilità delle popolazioni, dei governi e delle forze armate, e portare di fronte alla giustizia internazionale i responsabili dei crimini e delle violazioni dei diritti umani
5. portare aiuto alle popolazioni vittime innocenti della guerra e sviluppare un’adeguata politica di cooperazione e di solidarietà internazionale con al centro le organizzazioni della società civile e le comunità locali, superando gli ostacoli posti dai governi;
6.dare spazio alle pratiche delle donne per la costruzione della pace;
7.aiutare chi si rifiuta di prendere parte alla guerra e chi cerca di opporsi sostenendo le forze che sul posto cercano soluzioni di pace;
8. respingere la prospettiva di “scontro tra civiltà”, mantenere aperti canali di dialogo tra le parti, combattere la diffusione dell’immagine del nemico e promuovere la riconciliazione e la ricostruzione, l’educazione alla pace, ai diritti umani, alla democrazia e alla nonviolenza, nel pieno rispetto e valorizzazione delle differenze che arricchiscono l’umanità, favorendo gli scambi tra i popoli e il dialogo tra le religioni.
9. opporsi alla cultura della violenza che rischia di diffondersi in ogni piega della società, minacciando anche i percorsi di cambiamento e, più in generale, diffondere un’idea e una cultura della pace che non è la pura assenza di guerra ma il diritto di ogni essere umano a un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani possano essere pienamente realizzati.
Per un’economia di giustizia
Le radici dei conflitti sono nelle ingiustizie che segnano il pianeta. Da dieci anni le Conferenze mondiali delle Nazioni Unite hanno stabilito piani d’azione per affrontare i problemi globali – la fame, l’ambiente, lo sviluppo sociale, etc. – che i governi non hanno voluto realizzare. Al contrario, le politiche neo-liberiste imposte dalle istituzioni economiche sovranazionali, dai governi dei paesi ricchi e dalle imprese multinazionali hanno aumentato i profitti di pochi e l’impoverimento di molti, aggravando le disuguaglianze sia tra i paesi del Nord e del Sud del mondo che all’interno delle nazioni.
La globalizzazione dell’economia, le politiche neoliberiste, l’accresciuta competizione internazionale, deregolamentazione e liberalizzazione, la corsa alle riduzioni delle imposte e i tagli della spesa pubblica, anziché espandere le opportunità di sviluppo, rafforzano la concentrazione del potere in particolare delle grandi imprese multinazionali e il prevalere degli interessi della speculazione finanziaria su quelli dell’economia reale. Questi meccanismi passano anche per il persistere di paradisi fiscali dove transitano nel completo anonimato 3600 miliardi di dollari l’anno, alimentando speculazioni e affari illeciti, l’economia criminale e le stesse reti legate al terrorismo internazionale.
Mentre crescono le ricchezze più grandi, cresce ovunque la povertà, la frammentazione sociale, l’insicurezza del reddito e del posto di lavoro, il degrado ambientale e l’omologazione culturale.
Da anni la società civile globale chiede e pratica un’altra strada, al posto dell’economia dell’ingiustizia vuole affermare un’economia fondata su tre principi: democratizzare, redistribuire e cooperare.
1. Democratizzare l’economia vuol dire recuperare controllo politico e sociale sulle imprese, sulla finanza e sulle istituzioni internazionali. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede innanzitutto di:
- affidare a organismi sovranazionali nati dalla riforma delle Nazioni Unite – anziché a gruppi di paesi ricchi come il G8 – il compito di gestire l’interdi pendenza nell’ottica del “bene comune”, consentendo loro di intervenire sulle scelte economiche che sono alla radice dei problemi globali e di regolare il sistema finanziario mondiale in modo che le risorse siano effettivamente destinate allo sviluppo, al servizio della solidarietà tra persone, paesi e generazioni, con misure come l’istituzione di un Consiglio di sicurezza economica e sociale democratico e rappresentativo, la regolamentazione del sistema finanziario, la tassazione delle speculazioni finanziarie (la tassa sulle transazioni valutarie, finora nota come Tobin tax), l’abolizione dei paradisi fiscali, utilizzando queste misure per finanziare uno sviluppo sostenibile dei paesi più poveri;
- utilizzare la prossima Conferenza ONU su Finanza per lo sviluppo del 2002 per costruire un nuovo orizzonte per l’economia e la finanza internazionale e procedere alle riforme necessarie perché il Fondo Monetario, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio agiscano nel rispetto dei principi e degli impegni per lo sviluppo sostenibile fissati dall’ONU, rovesciando l’attuale imposizione di condizioni che mettono gli interessi dei creditori prima di quelli dei popoli, garantendo la trasparenza, la partecipazione e il controllo democratico di tutti i paesi e della società civile;
- modificare quelle regole del commercio internazionale che danno un potere eccessivo all’OMC, ai paesi del Nord, e alle imprese multinazionali e impediscono il libero accesso ai mercati per i prodotti dei paesi in via di sviluppo, respingendo le pressioni per nuove liberalizzazioni nell’agenda della Conferenza dell’OMC nel novembre 2001 in Qatar, respingendo le pressioni per la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali in tutto il mondo, e respingendo gli obiettivi del progetto di Accordo Multilaterale sugli Investimenti in qualunque contesto si ripresentino;
- impedire il controllo da parte dell’OMC di diritti e attività essenziali come l’istruzione, la sanità, i servizi, l’agricoltura;
- all’interno dei singoli paesi è necessario sostenere il diritto dei lavoratori ad organizzarsi in sindacato, il cui ruolo è quello di promuovere i diritti e rimuovere ogni forma di discriminazione, in particolare nei confronti delle donne.
2. Redistribuire vuol dire invertire la strada che sta continuando ad accrescere le disuguaglianze. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede di:
- accelerare ed estendere la cancellazione del debito estero dei paesi impoveriti che costituisce ancor oggi una grave forma di sfruttamento a danno di una larga parte dei paesi del Sud del mondo; riconoscere che per questa strada si possono liberare risorse necessarie per salvare milioni di vite umane; riconoscere le responsabilità dei creditori che hanno sostenuto governi dispotici; riconoscere l’esistenza di un “debito ecologico” che i paesi del Sud possono vantare nei confronti del Nord, a causa dell’uso ineguale delle risorse del pianeta e delle diverse forme di dominio coloniale e neocoloniale che la storia ha conosciuto; intervenire per riequilibrare i rapporti tra paesi indebitati e paesi creditori introducendo norme di trasparenza, forme di arbitrato e mediazione nei quali sia garantita la partecipazione delle società civili dei paesi indebitati; promuovere la revisione del sistema di concessione dei crediti, ridimensionando il ruolo della finanza privata; assicurare che le risorse rese disponibili siano utilizzate contro la povertà, operando affinché la Conferenza ONU su Finanza per lo sviluppo del 2002 possa contribuire a raggiungere questi obiettivi.
- operare affinché in tutto il mondo siano introdotti e difesi gli standard internazionali che proibiscono lo sfruttamento del lavoro minorile e garantiscono il rispetto dei fondamentali diritti economici, sociali e sindacali dei lavoratori contenuti nelle Convenzioni fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e nei suoi documenti più recenti;
- battersi contro la povertà mediante l’adozione di coerenti politiche e patti locali, nazionali e sovranazionali che coinvolgano anche gli enti locali, le forze sociali e quelle economiche e sostenerne lo sviluppo a livello globale con riforme agrarie, con il trasferimento di conoscenze e l’apertura anche dei mercati occidentali;
- creare nuova occupazione, adottare una politica per la piena occupazione e ridare piena dignità al lavoro e ai lavoratori di tutto il mondo, anche riducendo gli orari di lavoro, assicurando un salario minimo, favorire l’accesso paritario delle donne, riconoscendo che l’accesso al lavoro è un meccanismo essenziale per uscire dalla povertà;
- sostenere lo sviluppo di un’economia sociale valorizzando il ruolo e le finalità del cosiddetto “Terzo settore” e stimolare la realizzazione di esperienze, anche di piccola scala, che possono offrire alternative concrete alla disoccupazione;
3. Cooperare vuol dire non lasciare alla competizione di un mercato senza regole i destini delle nostre società. Ai Governi e ai Parlamenti la società civile chiede innanzitutto di:
- invertire la disastrosa tendenza degli ultimi anni di riduzione degli stanziamenti per la cooperazione internazionale, applicando la raccomandazione dell’ONU di destinare lo 0,7% del Prodotto interno lordo dei paesi ricchi alla cooperazione allo sviluppo, superando la logica dell’emergenza, finalizzando gli interventi alla promozione dello sviluppo umano, accettando un maggiore coordinamento internazionale e promuovendo la cooperazione diretta tra comunità ed enti locali;
- fare in modo che l’economia soddisfi i bisogni fondamentali delle persone e realizzare tutte le politiche economiche e sociali necessarie per garantire a tutti l’accesso ai diritti sociali di base: il diritto al cibo, all’acqua, alla salute, all’educazione, alla casa, al lavoro, che non possono essere lasciati al mercato; occorre in particolare fermare la privatizzazione dell’acqua;
- adottare un modello di sviluppo sostenibile ripensando cosa si produce, come e perché, mettendo fine al deterioramento dell’ambiente e affrontando decisamente le grandi emergenze ambientali come il riscaldamento globale, la distruzione della biodiversità, la deforestazione, la desertificazione, lo spreco di risorse idriche che minacciano la vita sulla Terra.
La società civile globale inoltre rinnova il proprio impegno per costruire quotidianamente un diverso modello di economia, la strada per uno sviluppo alternativo, relazioni più giuste tra paesi e popoli, estendendo le alleanze e le campagne comuni con i sindacati dei lavoratori.
L’impegno della società civile comprende tra l’altro:
- lo sviluppo di attività economiche in quello che viene definito “terzo settore”, “economia sociale” o nella cosiddetta “economia informale” di particolare rilevanza nei paesi del Sud.
- il sostegno e la valorizzazione delle risorse economiche, sociali e culturali delle comunità locali che spesso sono ignorate dal mercato, sostenendo le piccole imprese, le cooperative, l’artigianato e il lavoro in proprio, anche nella attività tradizionali;
- la cooperazione decentrata tra comunità locali di diversi paesi finalizzata allo sviluppo di conoscenza, di solidarietà reciproca, di scambi commerciali, e il sostegno alle comunità dei popoli indigeni;
- il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale;
- istituzioni finanziarie alternative, come le Banche etiche, il microcredito, un credito che privilegi i poveri e le donne e tutti gli altri strumenti di finanza per una gestione etica del risparmio;
- la realizzazione di programmi di autosufficienza alimentare, garantendo anche l’accesso alla distribuzione dei prodotti;
- la revisione degli stili di vita personali e collettivi, anche all’interno del mondo della cooperazione internazionale, eliminando gli sprechi e gli eccessi, controllando e ripensando i consumi, realizzando campagne di boicottaggio, bilanci di giustizia, forme di ecologia domestica, adozioni a distanza, turismo responsabile, banche del tempo, sostegno ai progetti di cooperazione con il Sud;
- l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati che rappresentano una risorsa economica e culturale.
Per la democrazia internazionale e una cultura dei diritti umani
La pace e la giustizia hanno bisogno della democrazia. Il viaggio verso la democrazia è appena iniziato in tanta parte del mondo, e il rapido processo di globalizzazione in atto richiederebbe la realizzazione di un altrettanto rapido sviluppo della democrazia internazionale. Gli stati e i governi sono responsabili di gravissimi ritardi su questo fronte, resistono all’esigenza di sviluppare forme democratiche per prendere decisioni a scala sovranazionale sui temi che riguardano l’intero pianeta e tendono ovunque a svuotare e ridimensionare i processi democratici a scala nazionale.
È essenziale rovesciare queste tendenze. La globalizzazione dell’economia senza la globalizzazione della democrazia finirà con erodere anche quei piccoli spazi di libertà e di autodeterminazione che oggi esistono. Quella che vogliamo è la globalizzazione dei diritti umani, dei processi democratici, dell’azione della società civile: una globalizzazione dal basso.
Il nuovo ruolo che la società civile sta assumento a scala nazionale e globale deve riportare dentro la democrazia i principi e la pratica della partecipazione: al dibattito sulle priorità comuni, alle deliberazioni sulle azioni da prendere, alla realizzazione delle politiche.
A livello sovranazionale, per costruire una democrazia internazionale, la società civile mondiale chiede alle istituzioni sovranazionali e ai governi nazionali di:
1. ottenere una rappresentanza formale nelle sedi decisionali a livello sovranazionale; la sua voce deve essere ascoltata ovunque, nelle istituzioni delle Nazioni Unite e in tutti gli organismi sovranazionali; in alcuni di questi è necessario pensare alle forme di coinvolgimento formale delle rappresentanze della società civile globale nella presa di decisioni, utilizzando anche il modello di rappresentanza di interessi sociali diversi da quelli dei governi adottato all’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
2. dare impulso allo sviluppo e alla democratizzazione delle Nazioni Unite a cominciare dalle seguenti misure: riformare il Consiglio di Sicurezza in senso rappresentativo e democratico, eliminando il diritto di veto; promuovere il controllo di legittimità sugli atti del Consiglio di Sicurezza ad opera della Corte Internazionale di Giustizia; costituire l’Assemblea Parlamentare delle Nazioni Unite, quale organo sussidiario dell’attuale Assemblea Generale; estendere gli ambiti di co-decisionalità che coinvolgono le organizzazioni non-governative; istituire presso il Palazzo di Vetro un “Foro permanente della società civile globale” che consenta un coordinamento stabile delle organizzazioni sovranazionali dei cittadini; rendere tripartite – esecutivo, parlamento, società civile – le delegazioni nazionali nei vari organi delle Nazioni Unite; sostenere la creazione di un parlamento elettronico mondiale (e-parliament); avviare un processo di riqualificazione del personale delle Nazioni Unite;
3. introdurre rapidamente gli strumenti per la giustizia internazionale, ratificando il Trattato per la Corte Penale Internazionale e allineando le legislazioni nazionali alle norme internazionali;
4. promuovere il ruolo delle istituzioni regionali, a partire dalla loro democratizzazione. In particolare, l’Unione Europea è chiamata a completare il processo di integrazione e allargamento, con la realizzazione di una unione politica basata su una costituzione federale. Vanno attribuiti maggiori poteri al Parlamento, favorendo la costruzione di una rete di società civile e di enti locali in grado di svolgere pienamente il proprio ruolo di proposta, collaborazione e controllo. La creazione di una federazione europea, dotata di una propria politica estera e di sicurezza, orientata alla prevenzione dei conflitti e un servizio civile europeo, permetterà di dare un contributo alla costruzione di un nuovo ordine internazionale democratico.
5. promuovere la riforma e la democratizzazione delle Istituzioni economiche e finanziarie internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale per il Commercio) riportandole sotto il controllo politico e l’effettivo coordinamento delle Nazioni Unite.
6. dare effettività al nuovo diritto internazionale, quello che si basa sulla Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e sulle Convenzioni che ne derivano, creando una vera cultura dei diritti umani, educando alla consapevolezza ed al riconoscimento dei diritti sociali, economici, politici e civili; rafforzare i meccanismi di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani e dotarsi degli appositi organi per creare pressione sui governi che violino i diritti umani, promuovendo una campagna d’informazione sulla Carta delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani,
7. promuovere il rispetto dei diritti umani delle donne internazionalmente riconosciuti dalle convenzioni giuridiche internazionali delle Nazioni Unite;
8. promuovere i diritti umani, economici e sociali fondamentali: alla sicurezza alimentare, all’acqua, al lavoro, alla salute; in particolare va garantito l’accesso ai servizi sanitari e ai farmaci essenziali, specie per quanto riguarda la lotta all’AIDS;
9. ratificare la Convenzione ONU per i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie;
10. dare piena attuazione alla Dichiarazione e al Piano d’azione approvato a Durban dalla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo;
A livello delle politiche nazionali, per estendere la democrazia e affermare i diritti umani, politici e sociali, la società civile chiede ai governi e ai parlamenti di:
1. estendere i diritti di libertà, di espressione e di organizzazione autonoma della società civile;
2. estendere le forme di partecipazione democratica alla vita politica e di coinvolgimento della società civile e dei cittadini nella presa di decisioni;
3. assicurare la libera circolazione delle persone, i diritti degli immigrati e il diritto all’asilo per i rifugiati;
4. promuovere i diritti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche, combattendo ogni forma di razzismo; cercare i canali per assicurare la partecipazione ai processi decisionali internazionali anche ai popoli indigeni e non rappresentati;
5. rafforzare i diritti delle donne e dei bambini e dotarsi di efficaci strumenti per recuperare le donne ed i bambini sfruttate dalla prostituzione, dal lavoro minorile e dall’impiego di bambini soldati;
6. romuovere il rispetto dei diritti umani delle donne internazionalmente riconosciuti dalle convenzioni giuridiche internazionali delle Nazioni Unite.
Sono questi i temi di impegno quotidiano della società civile globale per praticare i principi della democrazia e rendere concreti i diritti umani, politici e sociali.
Sono queste le strade che continueremo a percorrere, che mostrano che “un altro mondo è possibile” e che vogliamo costruirlo insieme. Diamo a tutti appuntamento a Perugia nell’autunno del 2003.