Balcani

Per la pace nei Balcani nella legalità

Fiore che perde i petali

Università di Padova, 13 aprile 1999

Noi, studenti e docenti dell’Università di Padova, nel tragico momento in cui le popolazioni del Kosovo e della Repubblica Federale di Jugoslavia sono afflitte da indicibili sofferenze e coloro che, nel mondo, hanno a cuore le sorti della pace e della fraterna convivenza, reagiscono indignati di fronte all’incapacità dei governi di risolvere per via pacifica il conflitto in atto e assicurare a quei popoli un futuro di vita e sviluppo nel rispetto dei diritti umani,
intendiamo esercitare tutta la nostra responsabilità di soggetti attivi di pacificazione e di democrazia che il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite consacra nell’espressione “Noi, popoli delle Nazioni Unite”.


Forti di questa legittimazione universale, che lo Statuto del nostro antico Ateneo traduce nell’articolo 1.2 stabilendo che l’Università di Padova “promuove l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale”,
facciamo appello alle donne e agli uomini di governo, alle formazioni di società civile, agli enti di governo locale e regionale, a tutte le donne e gli uomini di buona volontà perché riflettano con noi sulla necessità di ricondurre la politica internazionale nel solco di quella legalità costituzionale-sopranazionale che si fonda, primariamente, sulla Carta delle Nazioni Unite, sulla Dichiarazione Universale e sulle Convenzioni giuridiche internazionali dei diritti umani: dai due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, alla Convenzione sui diritti dei bambini del 1989.

Continuiamo a sperare che la fine della contrapposizione ideologica, politica e militare tra Est e Ovest abbia aperto la via a una nuova era di pace e di solidarietà, nella quale dare piena realizzazione ai principi delle Nazioni Unite e al nuovo diritto internazionale da queste generato.
Siamo fermamente convinti che non ci sono più alibi per non procedere in questa direzione e mobilitare risorse umane e materiali a fini di sviluppo umano in ogni parte del mondo.
La sfida, oggi, è non di immaginare un nuovo ordine mondiale, poiché le sue grandi linee sono già tracciate dal nuovo diritto internazionale, ma di tradurle in atti politici coerenti e costruttivi.

Denunciamo le violazioni dei diritti umani perpetrate, con efferatezza e sistematicità, dalle autorità serbe in Kosovo.
Denunciamo i ritardi e le inadeguatezze con cui i governi democratici e le istituzioni internazionali, di cui essi fanno parte, si sono fatti carico della gestione della crisi in quel territorio.
Allo stesso tempo denunciamo il tentativo in atto di rilanciare il vecchio diritto internazionale delle sovranità statuali nazionali - armate, confinarie e belligene - col proposito di instaurare un ordine mondiale gerarchico facendo ricorso al nefasto istituto della guerra che ha intriso di sangue la storia dell’umanità, ma che, finalmente, il vigente diritto internazionale vieta in modo inequivocabile. Questo disegno di ordine mondiale, strutturalmente rissoso e belligeno, viene perseguito all’insegna della “de-regulation” da attuarsi, oltre che in campo economico, anche in quello giuridico-istituzionale nel tentativo di de-potenziare la “organizzazione internazionale multilaterale”, in particolare l’ONU e l’intero sistema delle Nazioni Unite, dall’Unesco alla Fao, sostituendo ad essa una organizzazione militare difensiva di dimensione macro-regionale, come la Nato. Un disegno globale strategicamente in contrasto con lo stesso processo di unificazione (pan)europea.

Facendoci interpreti delle ansie della gente comune circa il futuro dell’umanità nell’era dell’interdipendenza e degli estesi processi di mondializzazione e del loro bisogno di conoscere i termini essenziali di un disegno politico alternativo rispetto a quello che i grandi centri di potere stanno perseguendo, noi proponiamo con determinazione la strategia di un ordine mondiale democratico, giusto e pacifico, saldamente ancorato non alla legge del più forte, ma a quella della eguale dignità di tutte le persone e di tutti i popoli. In questa visione la “guerra” è vietata (artt. 1, 2, 24 e altri della Carta delle Nazioni Unite, art. 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici); per la risoluzione dei conflitti, la via maestra è quella della prevenzione, del negoziato e della giurisdizione internazionale (artt. 1, 2, 33 della Carta delle Nazioni Unite); l’uso della forza, a fini non di guerra ma di polizia militare, è riservato all’Onu e alle organizzazioni regionali dietro espressa autorizzazione dell’Onu (artt. 40, 41, 42, 43, 44, 52, 53); è consentita, in via eccezionale e temporanea, l’autotutela individuale e collettiva degli stati soltanto in risposta ad aggressione armata (art. 51); gli stati hanno l’obbligo di conferire in via permanente alle Nazioni Unite parte delle loro forze armate perché costituiscano una forza di polizia internazionale sotto l’autorità delle medesime (art. 43).
La cosiddetta ingerenza umanitaria è “intervento d’autorità della comunità internazionale”, che per essere legittimo deve avvenire nel rigoroso rispetto della Carta delle Nazioni Unite e sotto il controllo di queste, e deve quindi prefiggersi non già obiettivi di distruzione (tipici delle azioni di “guerra”), ma l’interposizione fra le parti in conflitto, la protezione (difesa della incolumità) delle popolazioni, la cattura dei criminali, la somministrazione dell’aiuto umanitario.
Non ci può essere guerra giusta e legittima per la difesa dei diritti umani. Questi si tutelano nella legalità e per vie nonviolente. Il rilancio della guerra e quindi del principio di sovranità degli stati contraddice il principio di autorità sopranazionale che deve informare la giustizia penale internazionale.

Rifiutiamo la guerra come strumento illegale in sé e come forma di distruzione della terra, di sradicamento e deportazione delle popolazioni, di annientamento degli esseri viventi e di disintegrazione della trama della vita. La guerra è divenuta sempre più lo strumento disciplinatorio per eccellenza del corpo sociale e lo disciplina attraverso la violenza, il terrore, l’abbassamento delle condizioni di vita e delle pretese di vita.
Nella nostra strategia di ordine mondiale democratico, pacifico e solidale, i punti fermi sono:

 

  • il potenziamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite;
  • la costituzione della forza di polizia militare delle medesime;
  • la messa in funzione della Corte penale internazionale;
  • il rilancio del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (o di organo analogo), quale istituzione deputata all’orientamento sociale dell’economia;
  • l’estensione del processo di unificazione europea all’intero continente, in funzione di pacificazione e di dialogo al suo interno e con gli altri continenti nel quadro globale delle Nazioni Unite.

Riteniamo che la proposta di soluzione pacifica del conflitto in Kosovo debba partire da questa visione di ordine mondiale, per contrastare innanzitutto l’idea, al centro del disegno politico del nazionalismo serbo e di altri nazionalismi dell’area, che ad ogni etnia corrisponda uno stato autonomo e sovrano. La sacralizzazione della identità etnica costituisce una forma di fondamentalismo politico che in questa fase della crisi balcanica si rivolge contro le popolazioni musulmane del Kosovo. La prosecuzione della guerra rischia con tutta evidenza di distruggere in modo irrimediabile le tenui speranze di vedere un domani tornare a convivere in una stessa terra donne e uomini di culture diverse.
Proponiamo che:

a. sia subito dichiarato il cessate il fuoco e la situazione venga riportata sotto l’autorità delle Nazioni Unite mediante l’attivazione del Consiglio di sicurezza o, nel caso in cui questo si trovi nell’impossibilità di procedere, mediante la convocazione di una sessione speciale d’emergenza dell’Assemblea generale;

b. sia immediatamente dispiegata, sul territorio del Kosovo, una forza di polizia militare internazionale sotto comando delle Nazioni Unite, con la collaborazione dell’OSCE;

c. sia subito consentito il ritorno dei profughi alle loro case;

d. sia dispiegato sul territorio un contingente di monitori dei diritti umani, sempre sotto autorità delle Nazioni Unite con la collaborazione dell’OSCE, dell’Unione Europea, del Consiglio d’Europa;

e. sia convocata una Conferenza internazionale di pace, sempre sotto egida delle Nazioni Unite, per definire lo statuto politico del Kosovo tenuto conto del fatto che esso è parte integrante della Repubblica Federale di Jugoslavia;

f. sia facilitata l’azione del Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, dandogli mezzi e appoggio morale e politico;

g. sia smilitarizzato il territorio.

Proponiamo di applicare al Kosovo il principio secondo cui il territorio su cui vivono, e devono convivere, più popoli e gruppi etnici costituisce “patrimonio comune dell’umanità” per ragioni etiche, storiche e culturali. Il Kosovo abbia pertanto lo statuto di “provincia transnazionale” della Repubblica Federale di Jugoslavia, con l’installazione sul suo territorio di una “autorità ausiliaria di garanzia internazionale”, il cui ufficio sia gestito dalle Nazioni Unite, con la collaborazione di altre istituzioni regionali quali l’OSCE, il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea. Un importante elemento costitutivo della “provincia transnazionale del Kosovo” deve essere il libero accesso all’azione solidaristica e pedagogica delle formazioni di società civile.Auspichiamo che alla conferenza di pace delle Nazioni Unite sia dato spazio ad un ruolo delle organizzazioni non governative e dei gruppi di volontariato che non sia soltanto quello, pur indispensabile, dei portatori d’acqua in situazioni di emergenza spesso provocate da comportamenti criminali o irresponsabili dei governi.
Ci impegnamo democraticamente a far sì che la Repubblica Italiana si ponga, con determinazione, una volta per tutte, alla testa di un gruppo di stati che con essa condividano la volontà di essere veramente, in parole ed opere, “Stati amanti della pace” (peace loving states) secondo il mandato dell’art. 4 della Carta delle Nazioni Unite.
Ci impegniamo ad intensificare l’azione educativa per la pace e i diritti umani, fermamente convinti, con l’Unesco, che “la guerra nasce nella mente degli uomini” ed in questa va sradicata.


Documento stilato al termine del Seminario «La guerra nel Balcani. Il caso del Kosovo guardando alle “carte” e ai fatti», promosso dal Centro sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova, svoltosi martedì 13 aprile 1999, alle ore 10.00, nell’Aula di Studi Internazionali della Facoltà di Scienze Politiche, con la partecipazione dei professori Mariarosa Dalla Costa, Giuliano Ferrari Bravo, Marco Mascia, Enzo Pace, Antonio Papisca e di un folto gruppo di studenti.
Prime adesioni: Antonio Papisca, Enzo Pace, Mariarosa Dalla Costa, Giuliano Ferrari Bravo, Marco Mascia, Franca Bimbi, Italo De Sandre, Ferruccio Gambino, Francisco Leita, Enzio Mingione, Giuseppe Mosconi, Chantal Saint-Blancat, Franco Bosello, Renato Pescara, Roberto Stefani, Francesca Camillo, Luca Gallo, Stefano Piazza, Rita Trentadue, Laura Astarita, Gianfranco Peron, Ottavio Casarano, Gianpaola Facchin, Cesarina Menegon, Marco Spinnato, Benedetta Pricolo, Alberto Ragazzi, Lara Sereno, Elisabetta Vidaich, Emanuela Zanrosso.
Il documento è stato approvato dalla Tavola della Pace e dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani e costituisce la piattaforma politica della Marcia straodinaria per la Pace Perugia-Assisi del 16 maggio 1999

Parole chiave

Balcani guerra pace Ex Iugoslavia

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