Rapporto Cardoso: la sfida della partnership nelle relazioni Nazioni Unite/società civile
1. Lo status consultivo alle Nazioni Unite, embrione di democrazia internazionale
L’ONU è stata la prima organizzazione internazionale multilaterale a prevedere, nella propria Carta istitutiva, un dialogo, anzi forme stabili di consultazione, con le organizzazioni nongovernative, ONG. L’art. 71 recita infatti: “Il Consiglio economico e sociale può prendere opportuni accordi per consultare le organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrino nella sua competenza. Tali accordi possono essere presi con organizzazioni internazionali e, se del caso, con organizzazioni nazionali, previa consultazione con il Membro delle Nazioni Unite interessato”.
Com’è noto, le ONG giocarono un ruolo attivo già durante i lavori della Conferenza di San Francisco nel 1945[1]. Nell’iniziale progetto di Carta delle Nazioni Unite non c’era alcuna previsione relativa alle ONG. È stato un gruppo di ONG americane, alcune delle quali consulenti ufficiali della delegazione degli Stati Uniti, e un piccolo gruppo di ONG internazionali guidate dalla Confederazione mondiale dei sindacati ad ottenere, attraverso un’efficace azione di lobbying, l’approvazione di importanti emendamenti, tra i quali quello relativo all’inserimento di un nuovo articolo – l’art. 71 appunto – che prevedeva l’accesso delle ONG al Consiglio economico e sociale (ECOSOC). La proposta originaria della Confederazione mondiale dei sindacati, sostenuta dall’Unione Sovietica e dalla Francia, era ancora più ambiziosa di quella poi recepita dalla Conferenza di San Francisco, e prevedeva di assegnare alle ONG un seggio permamente e un diritto di voto in Assemblea generale. La proposta trovò l’opposizione di gran parte dei governi, contrari ad estendere la partecipazione delle ONG all’Assemblea generale e a riconoscere loro uno status eguale a quello dei governi negli organi delle Nazioni Unite (NU)[2].
Pochi anni dopo l’entrata in vigore della Carta, l’ECOSOC ha adottato la Risoluzione 288 B (X) del 27 dicembre 1950, contenente regole per la consultazione delle ONG, successivamente modificate e aggiornate, sempre dall’ECOSOC, con due risoluzioni, rispettivamente la n. 1296 (XLIV) del 23 maggio 1968 e la n. 31 del 25 luglio 1996[3]. Quest’ultima è ancora oggi in vigore e definisce la ONG come “una organizzazione che non è stata costituita da una entità pubblica o da un accordo intergovernativo, anche se essa accetta membri designati dalle autorità pubbliche ma a condizione che la presenza di tali membri non nuoccia alla sua libertà di espressione”. La Risoluzione 1996/31 aggiorna i requisiti che una ONG deve possedere per ottenere lo status consultivo: esercitare le proprie attività nei settori principali di competenza dell’ECOSOC e dei suoi organi sussidiari; avere fini e obiettivi compatibili con i fini e i principi della Carta delle NU; sostenere l’azione delle NU; avere un carattere rappresentativo e di riconosciuto rilievo internazionale; avere uno statuto democratico, un segretariato permamente e un bilancio trasparente; avere la legittimazione a rappresentare i propri membri; attingere le proprie risorse finanziarie principalmente dagli associati e dalle associazioni nazionali affiliate.
La ratio del regime di status consultivo resta la stessa nelle tre risoluzioni: riconoscere alle ONG una soggettività internazionale funzionale, ma non anche la personalità giuridica internazionale[4]. Lo status consultivo legittima le ONG, in quanto attori di “utilità internazionale”, a svolgere ruoli politici direttamente nel sistema delle NU e a interagire nel medesimo contesto istituzionale con una pluralità di attori politici: governativi, intergovernativi, sopranazionali e nongovernativi. Inoltre lo status consultivo garantisce alle ONG l’accesso ai documenti delle NU e la possibilità di presentare, alle riunioni dell’ECOSOC e dei suoi organi sussidiari, comunicazioni scritte e orali.
C’è stata una crescita esponenziale sia del numero di ONG che hanno ottenuto lo status consultivo – erano 40 nel 1948, sono diventate 2418 nel 2004 –, sia dei networks transnazionali che aggregano questi attori “non territoriali” ad ogni livello – locale, nazionale, regionale-continentale e universale – e coordinano le loro attività nei vari settori – dalla protezione dell’ambiente alla tutela dei diritti umani, dalla cooperazione allo sviluppo agli aiuti umanitari, ecc. – sulla base di una comune strategia di “umanizzazione” delle relazioni internazionali. È qui opportuno segnalare che a seguito di questa crescita quantitativa anche le procedure di consultazione delle ONG sono state progressivamente adattate. Una riforma importante è sicuramente quella attuata con la Risoluzione dell’ECOSOC 1996/31, prima richiamata, con la quale è venuta meno la distinzione tra ONG internazionali e ONG nazionali, riconoscendo anche a queste ultime l’accesso diretto, senza intermediazioni statali, al regime dello status consultivo; è stato introdotto il principio dell’equilibrio geografico quale parametro per l’assegnazione dello status consultivo, al fine di ammettere ONG di tutte le regioni, in particolare dei paesi in sviluppo. Il principio di trasparenza è diventato un principio guida nelle relazioni NU/ONG[5].
Alle NU va dunque il merito di avere recepito nel proprio statuto il principio della democrazia partecipativa e di avere quindi aperto, a livello internazionale, nuovi spazi di partecipazione politica per le organizzazioni della società civile solidarista.
Oggi, il concetto di democrazia internazionale non è più definibile soltanto con riferimento al tradizionale principio di sovrana eguaglianza degli stati, principio tra l’altro che non trova ancora piena attuazione se è vero, com’è, che al Consiglio di sicurezza delle NU ci sono cinque stati – quelli con il potere di veto – che sono al di sopra degli altri e che nelle istituzioni economiche e finanziarie internazionali, quali il FMI e la BM, vige il cosiddetto voto ponderato, dove il pacchetto di voti è direttamente proporzionale al numero di “quote” versate dai singoli stati.
Democrazia internazionale in senso proprio significa partecipazione politica popolare ai processi decisionali delle organizzazioni internazionali, legittimazione diretta delle stesse attraverso lo sviluppo della democrazia elettiva, crescita delle organizzazioni di società civile globale e sviluppo dei loro networks e delle loro capacities.
Com’è noto, a livello regionale l’esperienza dell’Unione Europea è senza dubbio quella più avanzata con riferimento sia alla democrazia rappresentativa – dal 1979 il Parlamento europeo viene eletto a suffragio universale diretto – sia della democrazia partecipativa.
Sul piano globale è completamente assente la prima mentre, come si è prima accennato, si è sviluppata la seconda. La pratica dello status consultivo ha offerto alle ONG un importante “interstizio” per avviare processi di mutamento, anche strutturali, del sistema oltre che delle istituzioni internazionali. L’interstizio “status consultivo”, sostiene Papisca con efficace linguaggio metaforico, è da considerarsi una “mossa falsa operata dagli stati, … il cavallo di Troia all’interno del sistema politico internazionale, … un’azione in contropiede sugli stati sovrani”[6]. L’efficacia di questo interstizio dipende soprattutto dalle stesse ONG, le quali devono oggi confrontarsi con due grandi sfide. La prima è quella volta a trasformare lo status consultivo da mera forma di consultazione a strumento di proposta e di controllo nei confronti degli organi intergovernativi. La seconda è quella di elevare il ruolo delle ONG da semplici soggetti esecutori dei programmi delle NU a “co-partecipanti” ai processi decisionali[7].
È del tutto evidente che una risposta positiva a queste sfide comporta la modifica della stessa ragion d’essere dello status consultivo: non più “concessione” unilaterale e discrezionale dei governi, ma frutto di un accordo di partenariato tra ONG e organismi internazionali. Questo salto di qualità “democratico” potrebbe trovare terreno fertile proprio nelle organizzazioni internazionali il cui carattere evolutivo e la tendenza ad emanciparsi dal controllo degli stati membri ne favorisce la capacità di learning e di ricettività nei confronti delle istanze di mutamento provenienti dal mondo della società civile globale. Come vedremo più oltre, il dibattito in corso sulla riforma delle NU costituisce l’occasione non soltanto per promuovere un avanzamento di status e di ruolo politico delle ONG, ma anche e soprattutto per asserire con forza il principio secondo cui la democrazia internazionale è “variabile indipendente” nel processo di costruzione di un ordine internazionale più giusto, pacifico, equo e solidale. Insomma, la variabile “democrazia” come ultima risorsa per salvare le NU dal virus mortale rappresentato dagli stati nazionali e dai loro “interessi vitali” e per rilanciarne il ruolo all’interno di una strategia di più efficace funzionalità e rinnovata qualità.
In un discorso ai rappresentanti delle ONG alle NU nel settembre 1994, l’allora Segretario generale Boutros Boutros-Ghali affermava: “Le Nazioni Unite erano considerate soltanto un forum per le sovranità statali. Nello spazio di pochissimi anni questo atteggiamento è cambiato. Le ONG sono ora considerate full participants nella vita internazionale”[8]. Della stessa opinione è l’attuale Segretario generale delle NU, Kofi Annan, il quale ha più volte sottolineato nei suoi discorsi l’importanza delle ONG in seno alle NU in quanto partners “nel processo di elaborazione, deliberazione ed esecuzione delle politiche”[9] ed ha ribadito la necessità di studiare “nuovi modi di un più ampio coinvolgimento della società civile nei nostri sforzi comuni”[10].
2. Evoluzione del ruolo delle ONG alle Nazioni Unite: le Conferenze mondiali palestra di “nuova diplomazia”
Le relazioni NU/ONG si sono potenziate e moltiplicate negli anni ’90 del secolo scorso, all’interno di un processo dinamico di governance: “Nel sistema delle Nazioni Unite non c’è area più dinamica di crescita e mutamento attraverso la pratica (change through practice), di quella che ha coinvolto le ONG e altri soggetti della società civile”[11].
In alcuni settori, come quelli prima evocati della cooperazione allo sviluppo, degli aiuti umanitari e della promozione dei diritti umani, il partenariato NU/ONG è la regola da diversi decenni. Le ONG sono chiamate dalle NU a svolgere nuove funzioni in una materia, quella della pace e della sicurezza internazionale, che fino a ieri era di competenza esclusiva degli stati in quanto oggetto di high politics. Nel Rapporto “Un’Agenda per la Pace”[12], preparato nel 1992, su richiesta del Consiglio di sicurezza delle NU, dall’allora Segretario generale Boutros Boutros-Ghali, le ONG sono sollecitate, in quanto strutture che possiedono “capacità specializzate”, a partecipare alle operazioni di “diplomazia preventiva”, di “mantenimento della pace” e di “costruzione della pace” dopo un conflitto. Le ONG sono divenute parte attiva nei processi di elaborazione delle norme (standard-setting), nelle missioni “sul campo” di monitoraggio dei diritti umani, osservazione elettorale e assistenza ai rifugiati, nell’attuazione degli “anni” e dei “decenni” delle NU, nelle politiche promosse dai “programmi” delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e per lo sviluppo umano (UNDP). Le relazioni sono così strette che in molti casi le ONG partecipano, fin dall’inizio, alla stessa elaborazione dei progetti e dei programmi di intervento, interagiscono con i delegati dei governi nell’ambito di conferenze e seminari ufficiali e, più recentemente, anche con i rappresentanti degli stati membri del Consiglio di sicurezza, compresi quelli con seggio permanente[13]. La “Arria Formula” è un esempio emblematico di come la pratica di consultazione delle ONG da parte del Consiglio di sicurezza vada consolidandosi nonostante l’ostilità di alcuni membri permanenti[14]. Per meglio coordinare la loro azione presso il Consiglio di sicurezza, le ONG hanno fondato nel 1995 il “Gruppo di lavoro delle ONG sul Consiglio di sicurezza”[15], col compito di promuovere incontri con le delegazioni del Consiglio, i rappresentanti permanenti, i membri permanenti e i membri eletti, il Presidente del Consiglio.
Le Conferenze mondiali delle Nazioni Unite degli anni ’90 rappresentano sicuramente un momento di svolta nelle relazioni NU/ONG. Tali Conferenze sono state in maniera significativa influenzate dalla presenza delle ONG, le quali hanno potuto svolgere una intensa e capillare attività di lobbying, contribuire direttamente alla definizione delle agende globali, mobilitare l’opinione pubblica mondiale, rafforzare la partecipazione della società civile del Sud. L’importanza di questi eventi è cresciuta nel tempo, non solo per l’opportunità che offrono ai movimenti sociali transnazionali di essere fortemente visibili, ma anche per i governi e gli stessi gruppi di interesse economico[16]. Molte delle delegazioni degli stati partecipanti comprendevano anche esperti di ONG. Nelle lunghe ed estenuanti attività negoziali, le ONG sono state considerate come delle “risorse” in quanto fornivano informazioni che venivano utilizzate in particolare dai rappresentanti dei paesi più piccoli del Sud del mondo. Falk sottolinea in proposito come la presenza transnazionale alle Conferenze mondiali abbia contribuito a ridurre “le ineguaglianze tra le delegazioni governative, in particolare il gap di conoscenze” e come “queste arene delle Nazioni Unite abbiano aggiunto una sfaccettata dimensione alla politica democratica su alcune fra le più controversie questioni politiche in atto tra i popoli e i governi del mondo”[17].
Le Conferenze delle NU costituiscono dunque una pratica ormai avviata di democrazia internazionale, di esercizio della cittadinanza attiva nel sistema politico mondiale. È agevole individuarne sia gli attori coinvolti sia le procedure sia gli esiti delle conferenze. Gli attori si possono suddividere in almeno cinque categorie principali: governativi, intergovernativi, sopranazionali, transnazionali, subnazionali. I processi preparatori delle Conferenze mondiali, che durano dai due ai tre anni, sono guidati da un “Comitato preparatorio” al quale partecipano i rappresentanti dei governi degli stati membri delle NU, delle Agenzie specializzate e delle ONG. Gli esiti delle Conferenze sono molteplici e riguardano la posizione di nuove norme giuridiche, la creazione di nuovi organismi, l’elaborazione di nuove politiche e di nuove modalità d’azione. Per esempio, un esito positivo della Conferenza del Messico sui diritti delle donne (1975) è stata l’adozione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne. Alla Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano (1972) si deve la creazione del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP); a quella di Rio sull’ambiente e lo sviluppo (1992) l’adozione delle Convenzioni sul cambiamento climatico e la desertificazione, del Trattato sulla biodiversità e la creazione della Commissione sullo sviluppo sostenibile; a quella di Vienna sui diritti umani (1993) l’istituzione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani[18].
Va sottolineato che le Conferenze delle NU sono un cantiere aperto di learning per gli attori della governance globale. Esse contribuiscono infatti a promuovere nuove conoscenze, sviluppare studi e ricerche orientate all’azione, diffondere le informazioni a livello globale, far crescere una cultura politica progettuale e costituente nel mondo delle organizzazioni della società civile e legittimare la loro partecipazione a livello internazionale, potenziare il diritto internazionale dei diritti umani e i collegati sistemi di garanzia, sviluppare l’educazione ai diritti umani e alla democrazia nel mondo scolastico ed extrascolastico. Esse sono all’origine di nuove “coalizioni politiche” formate da rappresentanti dei governi, funzionari internazionali, accademici, esperti, amministratori locali, leaders di ONG e movimenti sociali.
Insomma, con le parole di Fomerand possiamo dire che le Conferenze mondiali “riflettono e amplificano i mutamenti in corso di un mondo rivoluzionario che cerca di essere più equo e democratico allo stesso tempo”[19].
Falk, dal canto suo, asserisce che: “È difficile dire a questo punto se i numerosi mutamenti nell’assetto globale, compresa la crescita degli attori non-statali, eroderanno il carattere statista delle Nazioni Unite, ma ciò che è chiaro è che l’ordine mondiale nel suo insieme si sta tirando fuori da uno schema strettamente statalistico. Se le Nazioni Unite non trasformano le proprie strutture e processi per riflettere questo carattere in mutamento della società internazionale, è prevedibile che il loro ruolo rimanga marginale, specialmente in relazione alle varie dimensioni della globalizzazione”[20].
3. Le difficoltà nel cantiere delle relazioni NU/ONG
Pur in presenza di questi dati positivi sullo sviluppo delle relazioni NU/ONG non mancano alcuni segnali di contro-tendenza provenienti sia dagli stati, sia dal sistema delle NU sia dalle stesse ONG. Il regime di consultazione, ha dichiarato il Segretario generale delle NU[21], è in una condizione di sofferenza. In particolare, le risorse e le facilitazioni messe a disposizione delle ONG sono ormai insufficienti a soddisfare le richieste di partecipazione alle conferenze e agli incontri promossi dalle NU. La diversità-complessità delle procedure di accreditamento crea confusione, incertezze, disuguaglianze e insoddisfazione tra le ONG. Molti governi di stati membri sono diffidenti di fronte alle richieste delle ONG di avere più spazio nelle discussioni e le accusano di essere poco trasparenti nello svolgimento delle loro attività. Allo stesso tempo, molte ONG vivono una condizione d’insofferenza e frustrazione in ragione del fatto che sono poco ascoltate e non riescono ad incidere in maniera significativa sulle politiche dell’Organizzazione mondiale. C’è un forte squilibrio nel numero di ONG con status consultivo provenienti dai paesi industrializzati (circa il 70%) e dai paesi in sviluppo (30%), con la conseguenza che queste ultime sono ancora poco coinvolte nelle attività delle NU. La materia delle relazioni NU/ONG non fa capo ad un’unica struttura, ma è gestita da diverse Unità del Segretariato, rendendo così difficile l’azione di coordinamento e l’applicazione di standards comuni nel processo di consultazione. Infine, ci sono alcune importanti formazioni della società civile globale che non vogliono essere assimilate alle ONG, come per esempio l’Unione Interparlamentare e i gruppi del settore privato, e poco chiare risultano le loro modalità di partecipazione.
Alger individua quattro fattori che stanno impedendo alle NU di dare una risposta organica e coraggiosa alle sfide, anzi alle opportunità offerte dalla crescita del numero di ONG e dal moltiplicarsi delle loro attività[22]. Innanzitutto c’è disaccordo tra stati e ONG su alcune aree tematiche, a partire da quella dei diritti umani. Questo conflitto si acuisce soprattutto durante le sessioni annuali della Commissione diritti umani[23] e dei cosiddetti treaty bodies in occasione dei dibattiti sui rapporti periodici degli stati. Un secondo fattore di disturbo, tutto interno alla comunità delle ONG, è rappresentato dai contrasti tra ONG internazionali e ONG nazionali, sviluppatisi a seguito del crescente numero di ONG nazionali formalmente ammesse al regime dello status consultivo[24]. Un terzo fattore è costituito dalla crisi finanziaria in cui versa l’ONU e che ha avuto ricadute dirette proprio sulle relazioni NU/ONG. Le NU hanno dovuto limitare la stampa di documenti e hanno obbligato le ONG a pagare un abbonamento annuale per avere accesso allo Optical Disk System (ODS). Inoltre, su pressione degli Stati Uniti, le NU sono state costrette a contenere la prassi delle Conferenze mondiali che assicuravano grande rilievo e visibilità politica all’azione delle ONG. Il quarto fattore è rappresentato dai conflitti tra ONG e i funzionari del Segretariato, i quali accusano le stesse ONG di “rendere la loro vita più complessa”[25].
In via generale, le espressioni di maggiore diffidenza nei confronti delle ONG vengono dai governi i quali, abituati ad agire indisturbati nell’arena politica internazionale, considerano la presenza, sempre più attiva, competente e progettuale, delle ONG come un elemento di disturbo della normale prassi intergovernativa. A fronte di una accresciuta capacità di apprendimento e di adattamento da parte delle ONG, accompagnata da una sempre più chiara propensione ad accettare il pluralismo soggettuale nel sistema della politica internazionale come una risorsa e non come un problema, i governi reagiscono accusando le ONG di non avere un mandato elettorale alle spalle, di essere poco democratiche al loro interno e poco rappresentative, di non essere sufficientemente responsabili (accountable), di assumere posizioni con marcate connotazioni ideologiche. In altre parole, molti governi, pur consapevoli del fatto che nell’era dell’interdipendenza planetaria e della multi-level governance diminuisce progressivamente la loro autonomia decisionale – si potrebbe dire, per continuare con la metafora del virus, che l’interdipendenza funziona come un virus che abbassa le difese immunitarie degli stati rendendoli, pur se disomogeneamente, altrettante entità a sovranità limitata –, non accettano di riconoscere le ONG come partners affidabili nella soluzione dei problemi globali.
Dal canto loro, le ONG rispondono con fatti concreti alle accuse dei governi. In primo luogo, esse dichiarano che non vogliono in alcun modo sostituirsi alle istituzioni parlamentari asserendo che, in un sistema democratico, sia esso nazionale o internazionale, gli attori della democrazia rappresentativa e quelli della democrazia partecipativa hanno un eguale status di cittadinanza, sono fra loro complementari e sono entrambi parte integrante dei processi di governance locale e globale. A questo argomentare possiamo aggiungere un ulteriore elemento di riflessione e cioè che, in un momento di crisi acuta dei tradizionali sistemi della rappresentanza, lo sviluppo di forme transnazionali di democrazia non soltanto assicura maggiore legittimità democratica ai processi decisionali internazionali, ma può anche produrre una maggiore coscienza civica tra la gente, con ricadute positive sugli stessi meccanismi della rappresentanza, in particolare sulla partecipazione ai processi elettorali.
In secondo luogo, alle accuse di scarsa rappresentatività, le ONG hanno risposto avviando un esemplare processo di network-building sia per filoni tematici (nei settori dei diritti umani, della cooperazione e dell’aiuto allo sviluppo, dell’assistenza umanitaria, della tutela dell’ambiente, della condizione della donna, ecc.) sia geografici, strutturando reti organizzate di ONG ai vari livelli dell’agire politico, da quello nazionale a quello regionale, da quello continentale a quello mondiale. Esempi significativi di queste capacità sono, a livello globale, la Coalizione per la Corte penale internazionale, la Campagna contro le mine anti-persona, la Coalizione per la lotta contro la povertà; a livello regionale europeo la Piattaforma delle ONG sociali europee, la Confederazione delle ONG europee per l’aiuto e lo sviluppo, Green Nine, la lobby europea delle donne[26]. Per queste reti, che rappresentano interessi generali e aggregano una domanda politica condivisa da larga parte dell’opinione pubblica mondiale, il livello di rappresentatività è quantificabile non tanto sulla base del numero di “tessere”, quanto in ragione di due indicatori altrettanto significativi: la crescita quantitativa delle ONG, delle reti transnazionali di ONG e dei gruppi di volontariato locale: si contano oggi oltre 48.000 organizzazioni internazionali non-governative[27]; e lo sviluppo di una nuova cultura politica dell’associazionismo solidarista che si riconosce nei diritti umani universalmente riconosciuti. In terzo luogo, alla critica di non essere affidabili, i principali coordinamenti di ONG accreditati alle NU e all’UE stanno reagendo intervenendo su almeno cinque livelli: quello del rinnovamento della leadership, quello dello sviluppo della democrazia interna – soprattutto attraverso l’uso della “rete” –, quello della formazione del proprio personale, quello della specializzazione e quello della trasparenza. Le coalizioni di ONG prima richiamate sono seriamente impegnate nel portare avanti questo processo di rinnovamento interno.
4. Le novità del “Rapporto Cardoso”
Il Segretario generale (SG) delle NU, consapevole dell’importanza della partecipazione delle organizzazioni della società civile al funzionamento dell’Organizzazione, ha inserito le relazioni NU/ONG nell’agenda sulla riforma delle NU e, nel febbraio 2003, ha istituito un “Panel of Eminent Persons on United Nations Relations with Civil Society”[28], con il compito di formulare raccomandazioni su come migliorare le relazioni tra società civile e Nazioni Unite. In particolare il Panel aveva il compito di: a) rivedere le linee guida esistenti, le decisioni e le pratiche relative all’accesso e alla partecipazione delle organizzazioni della società civile alle discussioni e ai processi delle NU; b) identificare le “migliori pratiche” e le “migliori vie” di interazione con le ONG e le altre organizzazioni della società civile; c) individuare i modi per facilitare la partecipazione degli attori della società civile dei paesi in sviluppo; d) rivedere l’organizzazione interna del Segretariato, al fine di assicurare una gestione più coerente ed efficace delle relazioni con la società civile.
Il Panel ha presentato nel giugno 2004 il Rapporto “We the Peoples: civil society, the United Nations and global governance” (cosiddetto “Rapporto Cardoso”)[29]. Le trenta Raccomandazioni in esso contenute sono precedute dall’enunciazione di alcune idee di fondo. La prima è che, di fronte alla globalizzazione della politica, le principali istituzioni della democrazia rappresentativa (elezioni, partiti politici e parlamenti) hanno mantenuto un raggio d’azione nazionale e locale con scarsa influenza sulle questioni della governance globale, mentre è cresciuta sia la domanda sia la pratica della democrazia partecipativa a livello internazionale. Lo sviluppo di forme e di esperienze di partecipazione diretta dei cittadini nei dibattiti politici a livello globale “costituisce un allargamento della pratica democratica dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa”[30]. Una seconda considerazione si fonda sul fatto che la definizione della “agenda multilaterale” non è più appannaggio esclusivo dei governi nazionali, ma è sempre più condizionata, nel segno del mutamento e della “human governance”, dai movimenti di società civile e dall’opinione pubblica mondiale. La società civile, si afferma nel Rapporto, “è oggi di così vitale importanza per le NU che l’impegno con essa è una necessità, non un’opinione”[31]. Nel Rapporto si parla di una “multi-constituencies coalition” fatta di governi, organizzazioni di società civile e altri attori. C’è tuttavia anche qualche contraddizione: da un lato, viene riconosciuto che il dialogo e la cooperazione con la società civile possono rendere più efficace l’azione delle NU e che le sfide globali dovrebbero trasformare le NU in qualcosa di più di un forum intergovernativo, dall’altro, si dice esplicitamente che “il ruolo unico delle NU come forum intergovernativo è di importanza vitale e deve essere protetto a tutti i costi”[32]. Allo stato attuale di cose, la “contraddizione” appare come un realistico e ineludibile compromesso che consente di portare avanti l’idea guida dell’intero Rapporto, che è quella di fare delle NU un’organizzazione che “guarda all’esterno” (outward-looking), che abbraccia una pluralità di attori – società civile, settore privato e stati (costituencies) –, che favorisce la comunicazione tra il locale e il globale e che promuove la democrazia a tutti i livelli dell’azione politica.
Il Panel, con il termine società civile, fa riferimento “alle associazioni di cittadini (al di fuori delle loro famiglie, amici e affari) costituite volontariamente per promuovere i loro interessi, idee e ideologie. Il termine non include le attività di profitto (il settore privato) o di governo (il settore pubblico)”. Col termine ONG intende “tutte le organizzazioni di importanza per le Nazioni Unite che non sono governi e non sono state create da decisioni intergovernative, o da associazioni di affari, di parlamentari e di autorità locali. (…) Esse comprendono organizzazioni dedicate all’ambiente, allo sviluppo, ai diritti umani e alla pace e ai loro networks”[33].
Il SG delle NU ha risposto al Rapporto Cardoso con un suo Rapporto inviato all’Assemblea generale (AG) nel mese di settembre 2004, nel quale sono contenuti commenti ad alcune delle raccomandazioni del Panel nonché suggerimenti riguardanti la loro attuazione. Il SG dichiara di condividere due assunti di fondo che informano il Rapporto Cardoso: l’ONU deve diventare “una organizzazione che guarda di più all’esterno”, estendendo le relazioni consultive alle diverse constituencies e, contestualmente, deve promuovere un più efficace collegamento “del globale con il locale”. Analizzeremo di seguito le raccomandazioni del Panel e le risposte del SG aggregandole all’interno di cinque grappoli: ruolo di aggregazione delle NU, investire di più nel partenariato, ruolo delle constituencies a livello nazionale, potenziamento delle relazioni con i rappresentanti eletti e con le autorità locali, processo di accreditamento.
4.1 Ruolo di aggregazione delle NU
Con riferimento al cosiddetto “convening role” (“ruolo di aggregazione”), il Panel afferma che le NU dovrebbero favorire una maggiore partecipazione di tutti gli attori della società civile, riconoscere che gli attori-chiave si differenziano tra loro in base alle rispettive aree d’intervento e promuovere “multi-stakeholder partnerships” (letteralmente: “partenariato con più soggetti interessati”) al fine di valorizzare i contributi dei coordinamenti di politica globale (global policy networks) nell’elaborazione delle varie opzioni politiche. Dovrebbero inoltre estendere la pratica dei “forum” su aree tematiche, articolandoli in quattro momenti fra loro sinergici: incontri ad alto livello per definire il quadro delle problematiche (the framework of issues), conferenze globali per definire norme e obiettivi, “multi-stakeholder partnerships” per tradurre in pratica le nuove norme e gli obiettivi, udienze conoscitive con i molteplici soggetti interessati per monitorare le attività, rivedere le esperienze e mettere a punto le strategie. Interessante è la proposta di promuovere, presso il Segretariato, una “global internet agora” per far discutere insieme persone con esperienze diverse e per identificare politiche di intervento comuni sulle emergenti priorità globali. Le conferenze mondiali dovrebbero continuare a svolgersi ma “con moderazione”, soprattutto per concentrare l’attenzione su alcuni temi globali, coinvolgendo maggiormente le reti di società civile. Dovrebbe essere accuratamente programmata la partecipazione dei principali “constituency networks” alle sessioni dell’Assemblea generale e delle sue Commissioni permanenti e potenziato il dialogo tra i membri del Consiglio di sicurezza e la società civile globale rendendo più efficace la “Arria formula meetings”. Nel Rapporto si raccomanda inoltre l’organizzazione di incontri regolari dei membri delle missioni operative (field operations) del Consiglio di sicurezza con i rappresentanti delle ONG locali e delle organizzazioni internazionali umanitarie, la sperimentazione di seminari promossi dallo stesso Consiglio sulle grandi questioni globali, nonché l’istituzione di commissioni d’inchiesta indipendenti per valutare le operazioni del Consiglio di sicurezza a conclusione del loro mandato.
Nella sua risposta, il SG sottolinea come l’AG e le sue principali Commissioni abbiamo sempre più coinvolto le ONG nei loro processi decisionali, sia informalmente – attraverso tavole rotonde e panel di discussione – sia formalmente – atttraverso l’invito a partecipare alle sessioni speciali dell’AG e alle conferenze mondiali – sia, più recentemente, attraverso il cosiddetto “dialogo biennale ad alto livello”. Egli dichiara di condividere le raccomandazioni del Panel intese a far sì che le ONG diventino una componente regolare del lavoro dell’AG e propone di istituire, prima di eventi maggiori e prima dell’apertura della sessione annuale dell’AG, la pratica di “holding interactive hearings” tra stati membri e rappresentanti di ONG che hanno le necessarie conoscenze relativamente alle questioni in agenda.
Con riferimento al Consiglio di sicurezza, il SG fa notare che tale organo ha sviluppato, nel corso dell’ultimo decennio, le relazioni con le ONG, soprattutto facendo più frequentemente ricorso alla “Arria formula” e invitando le ONG a partecipare a “dibattiti aperti” sui tempi della prevenzione dei conflitti, del peacekeeping e del peacebuilding. Egli incoraggia il Consiglio di sicurezza a trovare modi per potenziare ulteriormente le sue relazioni con la società civile. Quanto alla proposta del Panel di istituire Commissioni d’inchiesta per valutare l’operato delle operazioni di pace decise dal Consiglio di sicurezza, il SG sottolinea che tale meccanismo di monitoraggio potrebbe essere riservato a casi speciali, mentre sarebbe utile promuovere forme di assessment con il coinvolgimento anche di ONG selezionate.
4.2 Investire di più nel partenariato
Il tema della partnership è centrale nel Rapporto del Panel. Esso propone la creazione presso il Segretariato generale delle NU di una “Partnership Development Unit” con funzioni di coordinamento, informazione e valutazione e di un “Multi-Stakeholder Partnership Assessment Forum” composto da funzionari delle NU, rappresentanti di governi, delle organizzazioni di società civile e di altri attori. Suggerisce anche di istituire un gruppo composto da 30/40 “constituency engagement specialists” per aiutare le NU a migliorare le relazioni con le varie aree soggettuali impegnate nella politica internazionale. Significativa è l’attenzione che il Panel dedica allo sviluppo delle relazioni con gli attori del settore privato. Esso propone il potenziamento delle capacità del Global Compact, in particolare per quanto riguarda una maggiore responsabilità sociale delle imprese, e la sua inclusione nello “Office of Constituency Engagement and Partnerships”.
Dal canto suo, il SG fa notare che presso il Segretariato è già avviata la costituzione di un “Partnerships Office”, che dovrebbe assorbire il Fondo delle NU per le partnerships internazionali e l’Ufficio del Global Compact. All’interno di questo nuovo Ufficio, il SG propone di istituire una piccola unità che potrebbe includere oltre al “Non-Governmental Liaison Service” (NGLS), anche una “Accreditation Unit” e una “Elected Representatives Liaison Unit”. Tali strutture potrebbero così godere di una maggiore stabilità sia istituzionale sia finanziaria. Secondo il SG, questa scelta non impedirebbe la creazione di unità separate per l’accreditamento e per il collegamento con i rappresentanti eletti. Il SG non condivide invece la proposta del Panel di incorporare il segretariato del Forum permanente sulle questioni indigene nell’Ufficio delle Partnerships. Tale Forum, è asserito, ha un rapporto chiaro e diretto con l’ECOSOC. Sul tema della partnership, il SG fa presente quattro ordini di questioni: a) nell’ambito di un più organizzato e sostenuto dialogo con la comunità delle ONG, l’Ufficio delle Partnerships potrebbe assumere un ruolo di coordinamento mentre i Dipartimenti, i Fondi e i Programmi dovrebbero assicurare la consultazione sistematica con le constituencies; b) quest’ultime potrebbero essere associate nei processi di organizzazione delle risorse umane promossi dalle NU; c) gli stati membri dovrebbero impegnarsi a versare maggiori contributi ai fondi volontari destinati a promuovere lo sviluppo del dialogo con le organizzazioni della società civile; d) è necessario formare una leadership capace di portare avanti questi cambiamenti.
Allo scopo di promuovere la partecipazione delle ONG dei paesi in sviluppo alle riunioni degli organi delle NU, il SG propone la creazione di un “single trust fund” che dovrebbe fornire un supporto finanziario per le spese di viaggio e alloggio dei rappresentanti delle ONG.
4.3 Ruolo delle constituencies a livello nazionale
Il Panel ritiene fondamentale rafforzare il ruolo delle ONG e delle altre constituencies a livello nazionale, consapevole del fatto che gli accordi e le strategie globali devono poi trovare attuazione a livello locale. In particolare, esso propone di potenziare il ruolo delle Commissioni regionali delle NU, dello UN Development Group (UNDG) e degli UN Resident Coordinators Offices e di creare un fondo globale per lo sviluppo dei processi di partenariato e dei “gruppi consultivi della società civile”.
Nel suo rapporto il SG condivide l’enfasi posta dal Panel sul ruolo della società civile a livello nazionale. Egli sottolinea come tale ruolo sia evoluto considerevolmente negli ultimi tre decenni, al punto che oggi le ONG nazionali e internazionali sono divenute “partner vitali” delle NU, in particolare nei settori dell’assistenza umanitaria, della costruzione della pace, della riconciliazione, della transizione verso amministrazioni civili, della lotta alla povertà, dell’attuazione degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG). Sul punto, il SG riprende la proposta del Panel di creare un “trust fund” per rafforzare a livello nazionale la capacità delle ONG e dell’Ufficio dello “President Coordinator” nonché quelle intese a potenziare alcuni strumenti quali lo United Nations Development Group, il Poverty Reduction Strategy Paper Process (PRSP), i Country Teams delle NU (creati per dare un supporto ai governi e alle organizzazioni della società civile nella attuazione degli MDG), lo UN Development Assistance Framework, lo UN Resident Coordinator System.
4.4 Potenziamento delle relazioni con i rappresentanti eletti e con le autorità locali
Un insieme di raccomandazioni sono espressamente dedicate al potenziamento delle relazioni tra le NU e i membri dei parlamenti nazionali. Le NU dovrebbero incoraggiare i Parlamenti a promuovere dibattiti sui punti principali dell’agenda globale, mentre gli stati membri sono invitati ad includere rappresentanti dei Parlamenti nelle loro delegazioni presso i principali organi delle NU. Si propone inoltre di invitare membri dei Parlamenti nazionali specializzati in un determinato settore a parlare alle principali Commissioni e alle Sessioni speciali dell’AG. Ancora, al fine di promuovere un più diretto ruolo dei parlamentari nella governance globale, si raccomanda la creazione di una “Elected Representatives Liaison Unit”, la quale dovrebbe fornire, con il supporto dell’Unione Interparlamentare, informazioni ai Parlamenti nazionali e alle associazioni dei parlamentari, promuovere una maggiore attenzione sulle attività delle NU nei Parlamenti nazionali, favorire la partecipazione dei parlamentari ai “forum” e alle conferenze delle NU, nonché organizzare “global public forum committees” per discutere periodicamente i temi e le priorità dell’agenda globale.
Due raccomandazioni riguardano le relazioni delle NU con le autorità di governo locale. Con la prima, si suggerisce all’AG di approvare una risoluzione che riconosca il principio della “autonomia locale” come “principio universale”. Con la seconda, si propone di assegnare alla preconizzata “Elected Representatives Liaison Unit” il compito di tenere i collegamenti con le autorità locali e con la loro nuova associazione mondiale “United Cities and Local Goverments”, che dovrebbe diventare un “organo consultivo” (advisory body) delle NU sulle questioni della governance.
Nel suo Rapporto, il SG dichiara di condividere le proposte del Panel e di sottoporle all’attenzione dell’AG. Egli ricorda che la partecipazione dei parlamentari nelle delegazioni nazionali e attraverso varie organizzazioni parlamentari ha aiutato ad avvicinare le NU ai cittadini e ai loro rappresentanti eletti e che l’Unione Interparlamentare (IPU) ha svolto un ruolo attivo nell’incoraggiare una più sostenuta interazione tra le NU e i parlamentari, ruolo che è stato riconosciuto dall’AG attribuendo alla IPU lo status di osservatore.
Per quanto concerne le relazioni delle NU con le autorità locali, il SG si limita a ricordare la creazione nel 2000 dello UN Advisory Committee of Local Authorities (UNACLA) e il coinvolgimento diretto degli enti di governo locale nel Consiglio direttivo di UN-HABITAT.
4.5 Processo di accreditamento
Per quanto riguarda il regime dello status consultivo e il collegato sistema di accreditamento e accesso alle attività delle NU, il Rapporto contiene raccomandazioni sia per il breve che per il medio periodo. Nel breve periodo dovrebbero essere riunite le diverse procedure esistenti in un unico “United Nations accreditation process” coordinato da una “Accreditation Unit” funzionante presso il segretariato dell’AG. Questa nuova Unità avrebbe, tra l’altro, il compito di creare un organo consultivo (advisory body) con la specifica funzione di esprimere pareri sulle richieste di accreditamento presentate dalle ONG. Spetterebbe poi ad un Comitato dell’AG, e quindi ad un organo strettamente intergovernativo, decidere su tali richieste. Nel rapporto si fa anche cenno alla possibilità che le ONG adottino, come già avviene per le multinazionali e i gruppi d’interesse economico, codici di condotta. Nel medio periodo (il Rapporto parla di tre anni), il SG dovrebbe presentare all’AG una proposta organica di revisione del regime dello status consultivo.
Secondo il Panel, uno dei principali obiettivi del nuovo sistema di accreditamento dovrebbe essere quello di produrre un effetto di de-politicizzazione dell’intero processo ripristinando i criteri originari di selezione delle domande per ottenere lo status consultivo e cioè l’expertise, le competenze e le capacità delle ONG.
La risposta del SG alle raccomandazioni del Panel è che non c’è nulla nell’art. 71 della Carta che potrebbe precludere all’AG di invitare le ONG a partecipare alle sue sessioni e al suo lavoro e che anzi ci sarebbe un “valore considerevole” nell’aprire i lavori dell’AG alla partecipazione delle ONG accreditate. Un primo passo in questa direzione, sostiene il SG, potrebbe essere quello di accreditare le ONG ai principali Comitati dell’AG. Egli dichiara il suo favore alla proposta del Panel di istituire un unico sistema di accreditamento delle ONG per tutti gli organi intergovernativi delle NU, incluse l’AG, l’ECOSOC e le Conferenze, argomentando che mentre l’art. 71 attribuisce all’ECOSOC il compito di stipulare accordi per la consultazione con le ONG, la Carta non individua un meccansimo specifico o un organo per l’accreditamento delle ONG. Pertanto, afferma il SG, non ci sarebbero ostacoli di tipo normativo qualora l’AG decidesse di assumersi la responsabilità di un unico sistema di accreditamento.
Al fine di rendere più snello il processo di accreditamento, il SG fa propria la proposta del Panel di attribuire al Segretariato delle NU il compito di fare una pre-selezione delle domande di accreditamento presentate dalle ONG sulla base di criteri chiari definiti da un organo intergovernativo, e agli stati membri di esprimere i loro pareri.
Per quanto riguarda le diverse categorie di status consultivo (generale, speciale e roster) e le relative facilities ad esse collegate, il SG afferma che l’AG potrebbe considerare la possibilità di istituire un regime uniforme di diritti e responsabilità per la partecipazione delle ONG alle Conferenze mondiali e alle sessioni speciali dell’AG. Allo stesso tempo, il SG pone il problema della accountability delle ONG, sottolineando come molte di esse dotate di status consultivo non adempino all’obbligo di presentare i rapporti quadriennali sulle loro attività. A questo proposito, il SG raccoglie la raccomandazione del Panel di chiedere alle ONG la sottoscrizione di un codice di condotta, in analogia con quanto già avviene per le multinazionali.
Infine, allo scopo di potenziare il dialogo del Segretariato delle NU con le ONG, il SG fa proprie le proposte del Panel di istituire una “global internet agorà” e di promuovere delle udienze conoscitive (multi-stakeholder advisory forum). Egli propone altresì la creazione di un database centralizzato delle ONG e di un organo per le “buone pratiche” delle ONG coinvolte nelle attività delle NU.
4.6 Il nuovo organigramma delle relazioni NU/società civile
La nuova infrastruttura delle NU per le relazioni con le organizzazioni della società civile fa dunque riferimento ai tre principali organi delle NU: Segretariato generale, che assumerebbe il ruolo guida, Assemblea generale e Consiglio di sicurezza. Presso il Segretariato generale il Panel propone di istituire un Ufficio di progettazione, impegno e partnership (Office of Costituency Engagement and Partnerships), il quale potrebbe assumere la responsabilità di elaborare e dare attuazione alla strategia di impegno delle NU con tutte le constituencies e di coordinare le attività delle seguenti strutture: Unità società civile (che dovrebbe assorbire il “Servizio di collegamento con le organizzazioni non governative”), Unità per lo sviluppo del partenariato (dovrebbe assorbire il Fondo delle NU per le partnerships internazionali), Forum di valutazione della partnership dei soggetti interessati (Multi-Stakeholder Partnership Assessment Forum), Specialisti della costruzione di gruppi di impegno per area (Constituency Engagement Specialists), Global internet agora, Unità di collegamento dei rappresentanti elettivi (Elected Representatives Liaison Unit), Ufficio del “Global Compact”, Forum permanente sulle questioni indigene (Permanent Forum on Indigenous Issues), Fondo delle NU per sviluppare le capacità di società civile nei paesi in sviluppo.
Al Segretariato dell’AG spetterebbe il compito di gestire il processo di accreditamento delle ONG, mentre il Consiglio di sicurezza dovrebbe consultare le ONG nel settore della pace e della sicurezza internazionale potenziando la cosiddetta “Arria Formula” e organizzando degli incontri tra le missioni del Consiglio di sicurezza sul campo e le stesse ONG.
5. Il contributo delle ONG
Numerose sono state le prese di posizione delle ONG sul Rapporto del Panel Cardoso. Prenderemo in considerazione quelle più significative elaborate da World Federation of United Nations Associations (WFUNA)[34], Conference of Non-Governmental Organizations in Consultative Relationship with the United Nations (CONGO)[35], Third World Network (TWN)[36], World Federalist Movement (WFM)[37], Amnesty International[38], Women’s Environment & Development Organization (WEDO)[39], Global Policy Forum (GPF)[40].
In via generale, la comunità delle ONG esprime un giudizio positivo sul lavoro svolto dal Panel e sull’impegno da esso profuso per individuare nuovi spazi di partecipazione per la società civile e nuove forme di “dialogo politico globale” (global policy dialogue) tra queste e gli stati membri delle NU. Molte delle proposte presentate dal Panel, sottolineano le ONG, hanno un grande potenziale per migliorare le relazioni Nazioni Unite/società civile e avviare un processo di democratizzazione della governance globale. In particolare, le ONG dichiarano di condividere le proposte del Panel miranti ad estendere il regime di consultazione anche presso l’AG, a potenziare l’impegno delle NU con la società civile a livello nazionale, soprattutto nei paesi del Sud, a istituire un fondo per la società civile globale, a sviluppare la prassi della “Arria Formula” e delle hearings globali, a creare un’unica unità di accreditamento delle ONG e a de-politicizzarne il processo attraverso la valorizzazione dell’expertise, delle competenze e delle capacità delle stesse ONG.
Non mancano tuttavia alcune preoccupazioni di fondo e un insieme articolato di critiche: queste ultime, mi sembra doveroso sottolinearlo, formulate con uno spirito costruttivo, in maniera competente e con grande senso di responsabilità.
Le preoccupazioni di fondo sono tre. La prima riguarda il ruolo che le NU dovrebbero avere nel sistema delle relazioni internazionali. Il GPF fa notare come l’approccio adottato dal Panel sia un approccio di contenimento più che di estensione del ruolo delle NU nella politica internazionale. Le NU sono viste come un “forum di discussione” e non come un’arena “per la legislazione e l’azione”. Seguendo questa strada, asserisce il GPF, c’è il pericolo di indebolire ulteriormente la capacità delle NU di stabilire regole e di agire come un “difensore del diritto internazionale”.
La seconda preoccupazione si riferisce all’enfasi data dal Panel all’idea di “partnership” e alla centralità dei processi di “multi-constituency” o “multi-stakeholder” nella politica globale. La comunità delle ONG è unanime nel denunciare il tentativo, abbastanza esplicito nel Rapporto, di promuovere un maggiore coinvolgimento del settore privato (business sector) nel funzionamento delle NU e di offuscare la distinzione fondamentale tra organizzazioni che operano a fini solidaristici di promozione umana, le ONG appunto, e quelle che operano a fini di profitto. Sul punto, le ONG non contestano tanto il principio generale della partecipazione di tutte le constituencies ai lavori delle NU, quanto il fatto che il Panel metta sullo stesso piano ONG e settore privato e non definisca, per quest’ultimo, regole precise per la consultazione. Per il GPF bisogna prevenire il mainstreaming della “partnership governance” perché potrebbe avere come effetto quello di incrementare l’influenza della variabile business e indebolire i doveri e le responsabilità dei governi in seno alle NU. In altre parole, le ONG fanno notare come l’approccio della multi-stakeholder partnership potrebbe provocare un trasferimento della responsabilità delle decisioni globali dai “governi” alle “coalizioni” di società civile, business e governi, mettendo così in discussione la tradizionale divisione del lavoro politico propria di ogni sistema democratico. Per gli attori privati, questa evoluzione del meccanismo della governance globale, potrebbe comportare una crescita del loro potere sulla scelta delle priorità della politica internazionale e sull’uso dei fondi pubblici. Insomma, la tesi sostenuta dal GPF, e condivisa dalla comunità delle ONG, è che il Panel usa il termine partnership con un significato eminentemente politico, cioè con l’intenzione, più o meno espicitata, di “abbassare (downgrades) il ruolo dei governi e delle organizzazioni intergovernative e elevare (upgrades) lo status (politico) degli attori privati, in particolare delle corporazioni transnazionali coinvolte in questi modelli di cooperazione”.
La terza preoccupazione sollevata dalle ONG, collegata alla precedente, riguarda la possibilità, che il Panel lascia intravedere, di una estensione del regime dello status consultivo, con tutti i privilegi ad esso collegati, alle altre constituencies, in particolare a quella del settore privato. La CONGO asserisce che “il più sicuro fondamento per un esame della attuale e della futura forma delle relazioni NU/società civile devono essere le rilevanti disposizioni della Carta delle Nazioni Unite”, in particolare l’art. 71 il quale, giova ricordarlo, riconosce alle NU la possibilità di stipulare accordi di consultazione soltanto con le ONG, le quali godono pertanto di uno “status basato sulla Carta”. Qualsiasi tentativo di uniformare la procedura di accreditamento comprendendo anche soggetti diversi dalle ONG, sostiene la CONGO, va oltre quanto espressamente disposto dalla Carta. La proposta del Panel di far confluire tutte le constituencies all’interno di un “Office of Constituency Engagement and Partnership” avrebbe come conseguenza quella di far crescere la confusione sull’identità delle ONG e sulla loro “Charter relationship to the United Nations” e di legittimare, pur se indirettamente, le organizzazioni for profit che molto avrebbero a che fare con i fini delle NU, ma che ben poco fanno per rispettarli e farli rispettare. Dunque, la proposta delle ONG è quella di creare sistemi di accreditamento e regole di comportamento distinti per le diverse constituencies.
Così le ONG se, da un lato, sostengono il punto di vista del Panel di potenziare la partecipazione delle istituzioni parlamentari e delle autorità di governo locale, dall’altro, asseriscono che parlamentari e membri di autorità locali, in ragione della loro partecipazione diretta nelle strutture di governo, non possono essere considerati come attori della “società civile” e quindi essere assimilati alle ONG.
Le ONG sostengono che mentre il Panel ha definito in modo chiaro le ragioni del “perché” migliorare le relazioni Nazioni Unite/società civile, le sue proposte sul “come” dovrebbero essere ulteriormente specificate e sviluppate prima di poter essere attuate. In particolare, restano ambigui i criteri di selezione delle ONG per la partecipazione ai lavori dell’AG, non sono enunciati i principi che dovrebbero guidare il processo di accreditamento delle varie constituencies, non si specifica se gli standards oggi in vigore per lo status consultivo contenuti nella Risoluzione 1996/31 dell’ECOSOC, costituiscono una sorta di “acquis of participation” oppure saranno messi in discussione. C’è qui la comprensibile preoccupazione delle ONG, non soltanto di natura “sindacale”, che le nuove regole per l’accreditamento possano erodere i loro diritti acquisiti. Ancora, di fronte al nuovo organigramma proposto dal Panel per gestire le relazioni Nazioni Unite/società civile, le ONG denunciano il pericolo che esso possa incentivare la burocratizzazione delle NU. Un’altra critica è che il Rapporto non fa alcun riferimento ai comportamenti di governi, sia del Nord che del Sud, volti ad indebolire, subordinare e controllare le ONG, così come non dice nulla con riferimento alle misure di sicurezza sempre più restrittive che ostacolano quotidianamente l’accesso delle ONG alle sedi delle NU. Un’ulteriore questione sollevata dalle ONG è che il Panel non intacca nel suo Rapporto la natura intergovernativa del Comitato preposto alla selezione delle richieste di status consultivo da parte delle ONG e alla sua sospensione o ritiro, pur in presenza del fatto che le stesse ONG avevano espressamente chiesto di trasformare il Comitato da organo a composizione intergovernativa a organo sopranazionale, in analogia con i comitati delle NU creati in virtù delle Convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani.
Per quanto riguarda i rapporti con i membri di assemblee elettive, le ONG constatano, con rammarico, che non è stata recepita la proposta formulata dall’Assemblea dell’ONU dei Popoli e da altri networks transnazionali di società civile di creare una Assemblea parlamentare delle NU quale organo sussidiario dell’Assemblea generale, in analogia con le assemblee parlamentari del Consiglio d’Europa, della OSCE, della NATO e, più di recente, dell’Unione Africana.
6. Conclusioni
Il Rapporto elaborato dal Panel ha avuto l’importante merito di riaprire all’interno delle NU e nella comunità delle ONG il dibattito progettuale sul futuro delle relazioni NU/ONG nell’era della globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della sicurezza. Possiamo anche vederlo come un seguito alla “Agenda for democracy” di Boutros Boutros-Ghali riferito al livello internazionale della democrazia. Le Raccomandazioni formulate dal Panel si prestano per una seria presa in considerazione da parte degli organi delle NU, degli stati membri e delle stesse ONG, essendo anche il frutto di un’ampia consultazione dei principali networks di società civile globale. Le stesse preoccupazioni e critiche avanzate dalle ONG costituiscono un contributo imprescindibile lungo il cammino, certamente arduo ma già intrapreso, della democratizzazione delle NU.
È del tutto evidente che l’evoluzione delle relazioni NU/società civile non può limitarsi ad una, pur necessaria, estensione e razionalizzazione della prassi delle consultazioni. Il carattere fortemente evolutivo del sistema delle relazioni internazionali, la cui tradizionale identità interstatuale è messa in discussione da estesi e strutturali processi di mutamento quali, tra gli altri, l’interdipendenza planetaria, la transnazionalizzazione di rapporti e strutture, il riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani, la diversificazione e la pluralizzazione degli attori, dovrebbe indurre i decisori internazionali a trasformare lo status consultivo in uno status “co-decisionale”, almeno con riferimento a quei settori operativi quali, per esempio, i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo e la salvaguardia dell’ambiente in cui il ruolo centrale delle ONG è universalmente riconosciuto. Il diritto internazionale dei diritti umani rappresenta il principale punto di riferimento per la redistribuzione della statualità (che si assume coerentemente irenica e democratica) lungo una scala di livelli che ha come poli l’ente locale e regionale e le istituzioni sopranazionali. Per i governi, andare in questa direzione, comporta accettare l’idea, una volta per tutte, che i rispettivi stati sono sempre più sollecitati ad adattarsi alle esigenze di un più ampio sistema di governance, e riconoscere quale valore aggiunto alle loro capacità quello che può venire dall’azione delle ONG per la soluzione dei problemi globali. In quest’ottica, la partnership NU/società civile da questione procedurale diventa un tassello fondamentale per la costruzione di un ordine internazionale più umano e genuinamente democratico.
[1] 1 V. C.Alger, The Emerging Roles of NGOs in the UN System: From Article 71 to a People’s Millennium Assembly, in “Global Governance”, 8, 2002, pp.93-117.
[2] P. Willets, The Rules of the Game: The UN and the Civil Society, in J.W.Foster and A.Anand (eds), Whose World is it Anyway? Civil Society, the United Nations and the Multilateral Future, Ottawa, UNAC, 1999, pp.248 e 249.
[3] Per una completa ed organica ricostruzione delle relazioni tra le Nazioni Unite e le organizzazioni nongovernative, v. il rapporto Creating Global Governance. The Role of Non-Governmental Organizations in the United Nations, Helsinki, Finnish UN Association, 2000.
[4] V. sul punto A.Papisca, Democrazia internazionale, via di pace. Per un nuovo ordine internazionale democratico, Milano, Angeli, 1992 (4° ed.), p. 94ss. V. anche M.Mascia, L’associazionismo internazionale di promozione umana. Contributo all’analisi dei nuovi attori della politica internazionale, Padova, Cedam, 1992, p.192ss. Per una riflessione più recente sul tema v. A.Papisca e M.Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani, Padova, Cedam, 2004, p.265ss.
[5] Per esempio, quando a una ONG viene sospeso lo status consultivo, il Comitato intergovernativo dell’ECOSOC incaricato di seguire le relazioni con le ONG ha l’obbligo di motivare per iscritto la sua decisione e l’organizzazione interessata ha la possibilità di presentare allo stesso Comitato le sue osservazioni.
[6] V. A.Papisca, Democrazia internazionale, via di pace. Per un nuovo ordine internazionale democratico, cit., p. 88.
[7] Ibidem, pp. 98 e 99.
[8] Cfr. A.E.Rice et C.Ritchie, Relations entre les organisations non gouvernementales internationales et les Nations Unies, in “Transnational Associations”, 3/1996, pp.126-138.
[9] V. Creating Global Governance, op.cit., p. 36.
[10] United Nations General Assembly, Report of the Secretary-General, We the people: the role of the United Nations in the 21st Century, 2000, p. 50 e 51.
[11] Così C.Alger, op.cit., p.93.
[12] Per il testo, v. in “Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli”, VI, 2, 1992, pp.55-70.
[13] V. United Nations General Assembly, Report of the Secretary-General, Strengthening of the United Nations: an agenda for further change, Doc. A/57/387, 9 September 2002, parag.135.
[14] L’inizio del dialogo delle ONG con il Consiglio di sicurezza viene fatto risalire al marzo del 1992, quando l’Ambasciatore del Venezuela Diego Arria, durante la crisi nella ex Jugoslavia, è stato l’unico membro del Consiglio ad incontrare un sacerdote bosniaco che avevo chiesto “udienza” allo stesso Consiglio. L’Ambasciatore fu così colpito dal racconto del sacerdote che decise di invitare tutti i membri del Consiglio di sicurezza nella Sala dei Delegati per un caffè insieme con il sacerdote. La riunione ebbe un grande successo e così è nata la “Arria Formula”, un meccanismo informale di consultazione delle ONG sulle questioni della pace e della sicurezza internazionale. Dal 2000, questo dialogo si svolge regolarmente, con una periodicità mensile, e ad alto livello (rappresentanti permanenti o loro sostituti). Le riunioni figurano nell’agenda ufficiale del Consiglio di sicurezza. Cfr. J.Paul, The Arria Formula, New York, Global Policy Forum, 2003.
[15] Del gruppo fondatore, promosso per iniziativa del Global Policy Forum, fanno parte Amnesty International, Earth Action, Lawyers Committee for Nuclear Policy, World Council of Churches, World Federalist Movement. Oggi, le ONG associate al Gruppo di lavoro sono oltre 100.
[16] Per esempio, al Summit sui bambini di New York del 30 novembre 1990 vi hanno partecipato 71 capi di stato o di governo, alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 erano presenti 55 capi di stato e 47 primi ministri, al Summit mondiale sulla sviluppo sociale di Copenaghen del 1995 i capi di stato o di governo presenti sono stati 117. V. J.Fomerand, UN Conferences: Media Events or Genuine Diplomacy?, in “Global Governance”, 2, 3, 1996, p. 363.
[17] V. R.Falk, The United Nations and Cosmopolitan Democracy: Bad Dream, Utopian Fantasy, Political Project, in D.Archibugi, D.Held, M.Köhler (eds), Re-imagining Political Community, Cambridge, Polity Press, 1998, pp. 322-323.
[18] Cfr. J.Fomerand, op.cit., p. 364ss.
[19] Ibidem, p.373.
[20] V. R.Falk, op.cit., p.318.
[21] V. United Nations General Assembly, Report of the Secretary-General, op.cit., parag.139.
[22] V. C.Alger, op.cit., p.98.
[23] V. J.Paul, NGOs, Civil Society and Global Policy Making, New York, Global Policy Forum, 1998, p. 2.
[24] Ibidem, pp.2-3.
[25] V. C.Alger, op.cit., p.99.
[26] Sul punto v. M.Mascia, La società civile nell’Unione Europea. Nuovo orizzonte democratico, Venezia, Marsilio, 2004, passim.
[27] Cfr. Union of International Associations, Yearbook of International Organizations. Guide to global civil society networks, 2002/2003, Edition 39, München, K.G. Saur Verlag.
[28] Del Panel, presieduto da Fernando Henrique Cardoso, già Presidente del Brasile, hanno fatto parte Bagher Asadi (Repubblica Islamica di Iran), Manuel Castells (Spagna), Birgitta Dahl (Svezia), Peggy Dulany (USA), André Erdös (Ungheria), Juan Mayr (Colombia), Malini Mehra (India), Kumi Naidoo (Sud Africa), Mary Racelis (Filippine), Prakash Ratilal (Mozambico), Aminata Traoré (Mali).
[29] Doc. A/58/817, 11 June 2004.
[30] Ibidem, p.8.
[31] Ibidem, p. 9.
[32] Ibidem, p. 8.
[33] Ibidem, p. 13.
[34] WFUNA, Response to the Cardoso Report on Civil Society Relations with the UN, August 2004; Towards a Consensus in Shaping the Future of United Nations-NGO Relations. Clarification of some common concerns and apparent misunderstandings, September 21, 2004.
[35] CONGO, Letter to United Nations Secretary General Kofi Annan, August 27, 2004.
[36] TWN, The Cardoso Report on UN-Civil Society Relations: A Third World Network Analysis, August 2004.
[37] WFM, Letter to United Nations Secretary General Kofi Annan, August 24, 2004.
[38] Amnesty International, Letter to United Nations Deputy-Secretary General Louise Fréchette, August 31, 2004.
[39] WEDO, Response to the Report of the Panel of Eminent Persons on UN-Civil Society Relations, September 2004.
[40] J.Martens and J.Paul, Comments on the Report of the Cardoso Panel, Global Policy Forum, 2004.