Salviamo i sopravviventi di Gaza!
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Ecco perché dobbiamo farlo!
Nessuno può chiudere gli occhi e il cervello di fronte all’uccisione sistematica di bambini, donne e uomini di ogni età. Uccidere è criminale.
Nessuno può assistere alla macellazione quotidiana di così tante persone costrette a patire le peggiori sofferenze fino a morire di fame. Questo è disumano.
Nessuno può accontentarsi delle parole di condanna che restano parole. Se lo facciamo tradiamo noi stessi, i nostri principi, i nostri valori e le nostre leggi.
Salvare i sopravviventi di Gaza è un nostro dovere morale e un obbligo giuridico. Ecco perché dobbiamo organizzare subito una “Operazione di Salvataggio” degli abitanti di Gaza.
Ecco perché dobbiamo intervenire con un piano concreto!
Primo. Perché da più di 600 giorni è in corso un crimine orrendo
che viola tutti i principi e le norme enunciati nella Carta delle Nazioni Unite, nel diritto internazionale umanitario, nel diritto internazionale dei diritti umani e nel diritto penale internazionale.
Il Primo Ministro Netanyahu è ricercato dalla Corte Penale Internazionale (Cpi). Le accuse sono gravissime. Il Procuratore della Cpi nel formulare la richiesta per un mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu scrive che esistono “ragionevoli motivi per ritenere che Netanyahu (e Gallant, ndr) sono responsabili penalmente, ai sensi delle norme del Diritto internazionale umanitario, del Diritto penale internazionale e del Diritto internazionale dei diritti umani, di crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi sul territorio dello Stato di Palestina (nella Striscia di Gaza) almeno dall'8 ottobre 2023”.
Il Procuratore accusa lo Stato di Israele dei seguenti crimini di guerra: inedia di civili come metodo di guerra; inflizione intenzionale di grandi sofferenze, o gravi lesioni al corpo o alla salute, o trattamenti crudeli; uccisione intenzionale o omicidio; attacchi intenzionalmente diretti contro una popolazione civile. E dei seguenti crimini contro l’umanità: sterminio e/o omicidio, anche nel contesto di morti per fame; persecuzione; altri atti inumani. Le prove raccolte, sostiene la Corte, tra cui testimonianze, materiale multimediale verificato e immagini satellitari, indicano che Israele ha deliberatamente e sistematicamente privato i civili di Gaza di tutte le risorse essenziali per la sopravvivenza umana.
Lo Stato di Israele sta violando tutte le norme delle principali Convenzioni internazionali sui diritti umani che ha ratificato: per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (ratificata nel 1950), sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ratificata nel 1979), Patto internazionale sui diritti civili e politici (1991), Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1991), contro la discriminazione nei confronti delle donne (1991), contro la tortura (1991), per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1991), per i diritti delle persone con disabilità (2012). Tali norme giuridiche sono, quanto a contenuto, norme di rango costituzionale e si collocano pertanto nella sfera dello jus cogens.
Lo Stato di Israele sta violando le principali fonti del diritto internazionale umanitario, in particolare, le 4 Convenzioni di Ginevra (che ha ratificato) e i due Protocolli aggiuntivi del 1977 (che non ha ratificato). Sta violando i principi di distinzione, di precauzione negli attacchi e di proporzionalità, che sono i capisaldi del diritto internazionale umanitario. La “regola fondamentale” statuisce che “allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari”. Un ulteriore principio fondamentale stabilisce che "in ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato. È vietato l'impiego di armi, proiettili e sostanze nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili. È vietato l'impiego di metodi o mezzi di guerra concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all'ambiente naturale”. Tale diritto vieta, inoltre, gli attacchi diretti nei confronti della popolazione civile anche a titolo di rappresaglia come pure gli "attacchi indiscriminati".
Lo Stato di Israele sta violando le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), massima giurisdizione mondiale indipendente e imparziale: del 26 gennaio 2024, del 16 febbraio 2024, del 28 marzo 2024 e del 24 maggio 2024. Con l’ordinanza del 26 gennaio 2024, la CIG ha stabilito che i palestinesi di Gaza hanno il diritto di essere protetti dagli atti di genocidio. In particolare, la Corte ha ritenuto che “Israele debba, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, nei confronti dei palestinesi di Gaza, adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell'ambito dell'Articolo II di questa Convenzione, in particolare: (a) uccidere membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica in tutto o in parte; e (d) imporre misure volte a prevenire le nascite all'interno del gruppo. La Corte ricorda che questi atti rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo II della Convenzione quando sono commessi con l'intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo in quanto tale. La Corte ritiene inoltre che Israele debba garantire con effetto immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti sopra descritti”. Con la stessa ordinanza, la CIG ha intimato lo Stato di Israele ad “adottare tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza” e ad “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza”. Con le ordinanze successive la Corte ha intimato ad Israele di rispettare l’ordinanza del 26 gennaio 2024, ma Israele ha proseguito nel suo intento genocidario.
Secondo. Perché abbiamo la “Responsabilità di proteggere”
Venti anni fa, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita a livello di Capi di Stato e di Governo, con la Risoluzione 60/1 del 16 settembre 2005, ha stabilito che “ogni singolo Stato ha la responsabilità di proteggere le sue popolazioni da genocidi, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. (…) La comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, ha anche la responsabilità di utilizzare adeguati mezzi diplomatici, umanitari e altri mezzi pacifici, in conformità con i Capitoli VI e VIII della Carta, per aiutare a proteggere le popolazioni da genocidi, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. In questo contesto, siamo pronti a intraprendere azioni collettive, in modo tempestivo e deciso, attraverso il Consiglio di sicurezza, in conformità con la Carta e del diritto internazionale (…) se i mezzi pacifici dovessero rivelarsi inadeguati e le autorità nazionali manifestamente non si assumessero in maniera chiara la protezione delle loro popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l'umanità”.
Il principio della “Responsabilità di Proteggere” trova fondamento nella Carta delle NU e negli specifici obblighi giuridici imposti dal Diritto internazionale dei diritti umani e dal Diritto internazionale umanitario.
Esso è stato più volte messo in pratica all’indomani della caduta del muro di Berlino. Si segnala l’intervento a protezione dei kurdi iracheni nel 1991, mediante la creazione di una “safe area” decisa dal Consiglio di Sicurezza. Con questa decisione il Consiglio di Sicurezza aveva espressamente esteso il campo delle sue competenze stabilendo che le violazioni massicce dei diritti umani sono tali da mettere in pericolo appunto la pace e la sicurezza e che quindi, in base all’eccezione contenuta nell’art. 2, par. 7, della Carta delle Nazioni Unite, lo stesso Consiglio è pienamente legittimato ad intervenire negli affari interni anche con l’uso della forza militare.
Dopo il caso kurdo si segnalano, per ricordare i più noti, gli interventi militari in Somalia (1993), Bosnia ed Erzegovina (1994) e Kosovo (1999). In quest’ultimo caso, in ambienti governativi si sono impropriamente, e strumentalmente, usate espressioni quali “guerra umanitaria” o “guerra per i diritti umani”.
L’intervento d’autorità della Comunità internazionale negli affari interni degli stati ai sensi del principio della responsabilità di proteggere può essere civile o militare a seconda del personale e dei mezzi impiegati, i quali a loro volta dovranno essere congrui rispetto agli obiettivi da perseguire. Le due forme possono coesistere in situazioni di particolare gravità.
Ovviamente, le forme più delicate e controverse di intervento sono quelle militari. Gli obiettivi specifici di queste devono necessariamente essere coerenti con la ratio legittimante dell’intervento, quindi proporsi di realizzare l’interposizione fra le parti in conflitto; la salvaguardia dell’incolumità delle popolazioni, delle terre, delle infrastrutture, dei beni monumentali e artistici; la somministrazione di viveri, medicinali, servizi di prima necessità; la cattura dei presunti criminali, in base al principio della responsabilità penale internazionale personale. Deve trattarsi quindi di operazione di polizia militare internazionale dove sono completamente assenti lo spirito di combattere (animus bellandi) e la volontà di distruggere (animus destruendi) caratteristiche tipiche di un’operazione di guerra.
La “Responsabilità di Proteggere” non tollera il doppio standard che contraddistingue il comportamento di gran parte dei governi europei in carica.
Terzo. Perché il diritto alla vita è un diritto inviolabile e inalienabile
“La vita, prima ancora di figurare nell'elenco dei diritti fondamentali della persona, è un valore assoluto, perché incarna la dignità umana cui ineriscono, come proclama l'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, tutti i diritti. Possiamo anche dire che la vita, il rispetto della vita, è il presupposto della legalità” (Antonio Papisca).
Il diritto alla vita è collegato al diritto alla libertà e al diritto alla sicurezza: è la triade vitale, come tale indissociabile. La libertà è un albero: libertà da (dal bisogno: povertà estrema, inquinamento, malattie epidemiche; dal potere prevaricatore: dittature, autoritarismi, partitocrazia, imposizioni di pensiero unico, armi); libertà di (esercitare tutti i diritti di cittadinanza, scegliere questo o quel lavoro, professare questa o quella religione o non credere); libertà per (realizzare un percorso di vita 'degna', perseguire insieme obiettivi di bene comune, condividere, accogliere, costruire percorsi di pace positiva). Secondo l'articolo 3, e in questa prospettiva multidimensionale, “le ragioni della sicurezza non possono prevalere su quelle della vita e della libertà, non possono quindi giustificare la violazione di diritti fondamentali”.
Chiediamo a tutti i responsabili della politica italiana, in virtù del principio della “Responsabilità di Proteggere”, di fare ogni sforzo per dare immediatamente il via ad una grande “Operazione di Salvataggio” dei bambini, delle bambine e di tutti i sopravviventi di Gaza. Ogni ora che passa, alcuni di loro saranno ammazzati, feriti, seviziati! E la colpa sarà anche nostra! Per sempre.
Al Parlamento e al Governo italiano chiediamo inoltre di:
- non rinnovare il Memorandum d’intesa per la collaborazione militare tra Italia e Israele (voto previsto per l’8 giugno 2025);
- interrompere ogni compravendita di armi e sistemi d’arma da e per Israele;
- sostenere la sospensione dell’Accordo di associazione tra Unione europea e Israele;
- riconoscere lo Stato di Palestina;
- sostenere la Corte Penale Internazionale.
Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” Università di Padova
Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace