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11/9/2013
Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

La Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia per il mancato versamento delle indennità dovute ad ammalati contaminati per trasfusioni di sangue infetto

La Corte europea dei diritti umani (CtEDU), con sentenza resa in data 3 settembre 2013 nel caso M.C. e altri contro Italia (ricorso n. 5376/11), ha condannato lo Stato italiano per il mancato versamento dell’indennità integrativa speciale adeguata al tasso di inflazione ad ammalati contaminati per trasfusioni di sangue infetto ed emoderivati. Si tratta di una "sentenza pilota" che, riscontrando il mancato rispetto dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) e dell’art. 1 del Protocollo I sul diritto di proprietà, impone all’Italia di adottare misure strutturali atte a rimediare alla violazione accertata.

La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver violato, attraverso l’adozione di una legge a sfavore dei ricorrenti durante un processo in corso (d.l. n.78/2010), il principio del giusto processo stabilito all’art. 6 CEDU in combinato con l’art.1 del Protocollo I sul diritto di proprietà. Infine, è stata evidenziata la mancata applicazione da parte dello Stato italiano della pronuncia della Corte Costituzionale che nel 2011 si era espressa a favore dei ricorrenti (sentenza n. 293/2011).

Entro sei mesi dall’assunzione del carattere definitivo della pronuncia della CtEDU, l’Italia dovrà indicare una data inderogabile entro la quale assicurare la corresponsione delle somme rivalutate non solo ai ricorrenti, ma ad ogni individuo che si trovi nella stessa situazione, risolvendo così in via definitiva il problema strutturale.

Una "sentenza pilota" è adottata, infatti, quando la Corte riceve un numero rilevante di ricorsi riguardanti la medesima situazione di violazione della CEDU. In queste circostanze, la Corte può selezionare uno o più casi tra i molti simili pendenti, trattarli in via prioritaria ed estendere le conclusioni raggiunte alla massa degli altri ricorsi pendenti. Ai sensi dell'art. 43 CEDU, l'Italia ha tre mesi per contestare la sentenza impugnandola dinanzi alla Grande Camera.