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Save the Children Italia ha condotto una nuova indagine, “Non è un gioco”, sul lavoro minorile in Italia, per definirne i contorni, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, oltra ad indagare la relazione tra lavoro minorile e coinvolgimento nel circuito della giustizia minorile.
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza stabilisce, all’art.32, il divieto di lavoro minorile e in particolare che “I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, psichico, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione.”
La legge italiana fissa l’età minima per iniziare a lavorare a 15 anni, a condizione di aver assolto l’obbligo scolastico di 10 anni, elemento che sposta quindi l’effettiva possibilità di accesso al mondo del lavoro al compimento del sedicesimo anno di età.
Secondo l’ultima indagine, condotta da Save the Children e Associazione Bruno Trentin (ora Fondazione Di Vittorio) nel 2013, i minorenni tra i 7 e i 15 anni che avevano sperimentato una forma di lavoro minorile nel Paese erano circa 340mila, quasi il 7% della popolazione di riferimento. I minori che lavorano prima dell’età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita, alimentando la dispersione scolastica, già pari, nel nostro paese, al 12,7%, contro una media europea del 9,7%.
La crisi economica e l’aumento della povertà, inoltre, rischiano di far crescere ancora il numero di minori costretti a lavorare prima dell’età legale consentita, spingendo molti verso le forme di sfruttamento più intense. Al contempo, la mancanza nel nostro Paese di una rilevazione statistica sistematica sul lavoro minorile nega la possibilità di definirne più precisamente i contorni e di intraprendere azioni efficaci di contrasto.
Nell’indagine realizzata tra dicembre 2022 e febbraio 2023 dall’organizzazione, si stima che siano 336 mila i minorenni di età compresa fra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienza di lavoro in Italia, il 6,8% della popolazione di questa età, e tra i 14-15enni che hanno lavorato nell’anno precedente quasi uno su tre (il 27,8%) ha svolto lavori particolarmente dannosi per il proprio percorso di crescita, perché svolto durante le ore notturne (dalle 22 alle 7 del mattino seguente) , perché considerato da loro stessi molto o moderatamente pericoloso, oppure ancora perché svolto in modo continuativo (almeno 4 ore o più volte la settimana) durante il periodo scolastico.
Tra i 14-15enni che lavorano o hanno lavorato nell’ultimo anno precedente l’indagine, la maggior parte ha svolto attività nel settore della ristorazione (25,9%), nei negozi e nelle attività commerciali (16,2%) e in campagna (9,1%).
Si rileva che la maggioranza dei 14-15enni che sperimenta o ha sperimentato forme di lavoro minorile è composta da maschi (il 65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio, mentre il 65% dei minori che svolgono lavori di cura di fratelli, sorelle o parenti, a casa in modo continuativo, sono femmine. Questa percentuale sale al 90% per il lavoro di baby-sitting.
Oltre ad indagare gli aspetti quantitativi legati al fenomeno del lavoro minorile, il Rapporto ne ha esplorato anche alcuni aspetti qualitativi, analizzando i modi in cui il fenomeno del lavoro minorile si manifesta sui territori, con attenzione anche alle forme più dannose per lo sviluppo e il benessere del minore, e come, nei percorsi degli adolescenti, questo si intrecci con l’abbandono scolastico, il possibile scivolamento nella condizione di NEET, la povertà educativa e la marginalità sociale.