Accordo di Pace in Sudan

Il 9 gennaio 2005 il continente africano ha vissuto una tra le giornate più intense e cariche di speranza degli ultimi anni. A Nairobi il governo di Karthoum e i rappresentanti dei ribelli del Movimento di liberazione popolare (SPLM/A), guidati da John Garang e provenienti dal sud del Paese hanno firmato un Accordo di Pace globale che pone fine a un terribile conflitto ventennale che ha causato più di 2 milioni di morti e ha creato 600.000 rifugiati nei Paesi vicini.

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Alla firma dell’accordo hanno partecipato rappresentanti dei diversi governi: i lunghi negoziati degli ultimi mesi sono stati fortemente sostenuti dalla comunità internazionale. Tra le tappe fondamentali dell’ultimo anno, la Dichiarazione di Nairobi del 5 giugno 2004, che rinnova i punti fondamentali del Protocollo di Machakosdel 2002, e il Memorandum d’intesa firmato il 19 novembre 2004. In quello stesso giorno il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva tenuto una storica sessione a Nairobi, nel corso della quale aveva manifestato nella ris.1574 (2004) il pieno supporto processo di pace nel Paese.

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L’accordo di pace è stato accolto in tutto il Paese con manifestazioni di giubilo, a testimonianza del desiderio di riconciliazione della popolazione e come segno di speranza forte per tutti coloro che non hanno creduto nell’inevitabilità del conflitto tra l’Africa araba e islamicada un lato e l’Africa sub-sahariana e cristiana o animista dall’altro.

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Il documento si articola in almeno cinque punti fondamentali. Si prevede un referendum per l'indipendenza, da tenersi dopo 6 anni di formale autonomia; il governo centrale dovrà ritirare entro due anni e mezzo il contingente militare di 91.000 elementi che si trova nella zona sud del Paese mentre le forze dei ribelli hanno 8 mesi per lasciare la parte settentrionale; il rinnovamento dell’esercito richiederà in particolare la costituzione di una da una forza congiunta di 39 mila uomini. L’accordo sancisce soprattutto che una riforma costituzionale riconoscerà che la Sharia, ossia legge islamica, non sarà applicata ai cittadini non mussulmani ovunque questi si trovino nel territorio sudanese. Appositi protocolli all’accordo regolamentano la distribuzione delle funzioni nel pubblico impiego. Priorità verrà offerta al personale del nord per quel che riguarda l’amministrazione centrale (70-30 per cento) mentre più bilanciata sarà la suddivisione degli incarichi nelle sedi dislocate nel sud del paese (55-45 per cento). La questione certamente più delicata ha riguardato i proventi derivanti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere, al centro degli interessi dei grandi colossi multinazionali: l’accordo stabilisce una equa suddivisione dei ricavi tra il nord e il sud del Paese.

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Il Rappresentante delle Nazioni Unite in Sudan, Jan Pronk, nel riferire dell’accordo di Pace in Sudan al Consiglio di sicurezza ha peraltro evidenziato la necessità di una risoluzione della drammatica situazione in Darfur, come punto essenziale di una pace duratura in Sudan.
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