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Corte europea dei diritti umani: condanna dell’Italia per il rapimento e il trasferimento extragiudiziale in Egitto dell’imam Abu Omar

Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

Il 23 febbraio 2016, nel caso Nasr e Ghali c. Italia, la Corte europea dei diritti umani ha sancito all’unanimità il verificarsi delle violazioni dei seguenti articoli della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU):

  • nei confronti del ricorrente Nasr (Abu Omar): violazione dell’articolo 3 (proibizione della tortura), articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) in combinato disposto agli articoli 3, 5 e 8;
  • nei confronti della ricorrente Ghali (moglie di Nasr): violazione dell’articolo 3 (proibizione della tortura), articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) in combinato disposto agli articoli 3 e 8.

Il caso riguarda un piano di extraordinary rendition con rapimento effettuato da agenti della CIA, in collaborazione con ufficiali italiani, dell’imam egiziano Abu Omar (al quale era stato riconosciuto asilo politico in Italia) e il suo successivo trasferimento in Egitto. In Egitto, il richiedente fu tenuto segretamente prigioniero e torturato per diversi mesi.

Secondo la Corte, le autorità italiane erano consapevoli del fatto che Abu Omar fosse stato stato vittima di una extraordinary rendition, iniziata con il rapimento in Italia e poi proseguita con il trasferimento all’estero. In casi precedenti, la Corte di Strasburgo aveva già considerato simili condotte integranti la nozione di “tortura”, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione.

La Corte ha inoltre riconosciuto come il legittimo principio del “segreto di Stato” fosse stato applicato dal governo italiano solo per evitare che i responsabili degli atti dovessero rispondere delle proprie azioni davanti alla legge. Infatti, l’indagine e il procedimenti giudiziari a livello interno nei confroni degli agenti dei servizi italiani non hanno portato alla condanna dei responsabili, ai quali è stata di fatto garantita impunità.

Su tali basi, la Corte ha quindi stabilito che l’Italia dovrà risarcire 70.000 euro al signor Nasr e 15.000 euro alla signora Ghali per danni non patrominali, oltre a 30.000 euro a copertura delle spese.

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