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Corte europea dei diritti umani: condanna dell’Italia per la detenzione illegale, le condizioni di detenzione e l’espulsione collettiva di alcuni cittadini tunisini nel 2011

Alcuni giudici della Corte Europea per i Diritti Umani in seduta
© ©Council of Europe

La Corte europea dei diritti umani (CtEDU), il 1 settembre 2015, si è pronunciata sul caso Khlaifia e altri c. Italia, condannando l’Italia per la detenzione illegale in un centro di accoglienza a Lampedusa di alcuni migranti, per le condizioni di detenzione definite come lesive nei confronti della dignità umana e per l’espulsione collettiva avvenuta senza aver analizzato la situazione specifica di ciascuno di loro.

Il caso risale al 16 e 17 settembre 2011 quando, a tre cittadini tunisini sbarcati sulle coste italiane durante gli eventi legati alla “primavera araba”, non vennero dichiarati i motivi per cui si trovavano in stato di detenzione in un centro di accoglienza sull’isola di Lampedusa e non venne loro concessa la possibilità di fare ricorso davanti ad un tribunale italiano contro la decisione delle autorità di trattenerli. Secondo quanto denunciato dai richiedenti, le condizioni igieniche a cui dovevano sottostare all’interno del centro erano insostenibili e non era permesso loro alcun contatto con l’esterno. Il 20 settembre 2011 i richiedenti sono riusciti ad evadere dal centro e successivamente, una volta arrestati dalla polizia, sono stati scortati a Palermo e trasferiti su due navi ormeggiate nel porto della città, dove i richiedenti sono rimasti per quattro giorni. Il 27 e 29 settembre infine si è proceduto alla loro espulsione. Prima del rimpatrio i tre richiedenti sono stati intervistati dal console tunisino che, secondo quanto affermato, ha semplicemente registrato i loro dati anagrafici in conformità agli accordi italo-tunisini conclusi ad aprile del 2011.

Sulla base di quanto sopra riportato, la Corte ha condannato l’Italia in maniera unanime per la violazione dell’art. 5.1 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 5.2 (diritto di essere informato dei motivi dell’arresto e dell’accusa formulata a carico dell’arrestato), 5.4 (diritto ad una rapida decisione di un tribunale sulla legalità della detenzione) della CEDU. A maggioranza è stata decretata la violazione da parte dell’Italia dell’art. 3 (diritto a non essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti) relativamente alle condizioni di detenzione all’interno del centro di accoglienza sull’isola di Lampedusa, dell’art. 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive di stranieri) e dell’art. 13 della CEDU (diritto ad un ricorso effettivo) in combinato disposto con gli articoli 3 e 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsione dei cittadini e divieto di espulsioni collettive di stranieri).

La condanna prevede un risarcimento di 10.000 euro a titolo di danno non patrimoniale che l’Italia dovrà pagare a ciascun richiedente, oltre a 9.344.51 euro totali in relazione ai costi e alle spese. Se le parti in causa non chiederanno un riesame della sentenza, quest'ultima diventerà definitiva tra 3 mesi.

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